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N. 63 - Marzo 2013 (XCIV)

Le dimissioni del papa

ripercorrendo il pontificato di benedetto XVI
di Laura Ballerini

 

Il 13 marzo scorso è salito al soglio pontificio il Cardinale Josè Mario Bergoglio, che è diventato successore di Pietro con il nome di Francesco. La sua prima preghiera è stata rivolta al suo predecessore Benedetto XVI, il quale, come è noto, ha scelto di dimettersi per lasciare alla Chiesa una nuova guida, che sappia, meglio di lui, condurla in un momento così critico.


« Cari fratelli e sorelle, dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere.»


Con queste parole, il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger divenne Papa Benedetto XVI, mostrando da subito quell’umiltà (o senso di inadeguatezza) che lo ha portato 8 anni dopo ad abbandonare il soglio pontificio. “Non ho più le forze, lascio per il bene della Chiesa” ha spiegato il Papa nel concistoro da lui convocato l’11 febbraio scorso, lasciando i cardinali – e poco dopo il mondo intero – senza parole.

 

Padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, lo ha definito “concentrato” e “solenne” mentre leggeva “senza alcuna incertezza” il testo in latino, preparato per portare avanti una decisione, a quanto pare, maturata da molto tempo. Joseph Ratzinger ha compiuto così un gesto che i più hanno definito di grande coraggio, in piena libertà, nel rispetto del diritto canonico. Ma quali motivazioni possono averlo spinto a un tale passo?


“Negli ultimi mesi il mio vigore è diminuito” ha affermato il Santo Padre: con il sopraggiungere dell’età e delle tante nuove sfide aperte dalle questioni di attualità, non ha più sentito in sé la forza di portare avanti il suo ministero.

 

Per comprendere compiutamente questa scelta, però, occorre cercare di capire come sia stato realmente il pontificato di Benedetto XVI. La difficile eredità di Giovanni Paolo II, un uomo che aveva costruito sul carisma il suo lungo pontificato, capitò proprio a colui che era noto per la sua riservatezza e predilezione per lo studio.

 

Ratzinger infatti aveva studiato a lungo filosofia e teologia all’università di Monaco di Baviera, acquisendo una competenza tale che portò Giovanni Paolo II a nominarlo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (organo che si occupa di vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica) nel 1981.

 

Ben cinque volte Papa Woitila gli rifiutò il permesso di tornare in Baviera con il fratello (anch’egli sacerdote), per dedicarsi ai suoi amati studi, ma anzi fu elevato alla dignità di cardinale vescovo nel 1993 e decano del Collegio cardinalizio nel 2002. Nel 2005, infine, contrariamente alle sue aspettative (e forse desideri), divenne successore di Pietro. Egli si ritrovò alla guida di una Chiesa secolarmente affetta da una piaga strisciante, la cui eco, proprio in quel momento, risuonava nei media più forte che mai: gli abusi sessuali sui minori da parte di membri del clero.

 

Ratzinger, quindi, doveva prendere una posizione molto più ferma e dura di quanto non avesse fatto da Cardinale, a causa, per i più maligni, dei presunto coinvolgimento del fratello Georg. Il Vaticano doveva diventare il primo inquisitore dei preti pedofili, così da far cadere le accuse di protezione, omertà e silenzio, che in più momenti erano state rivolte ai vertici della Chiesa: Benedetto XVI affrontò la questione apertamente, scegliendo di procedere verso una maggiore trasparenza, obbiettivo che in parte raggiunse.


Il pontificato di Benedetto XVI dovette affrontare un'altra delicata e controversa questione, riportata in luce nel 2005 da una telefonata anonima al programma televisivo Chi l’ha visto: la sparizione di Emanuela Orlandi.

 

Non è facile fare chiarezza su questo caso, non si può parlare di prove certe, ma di numerose ipotesi che vedono collegati il rapimento della ragazza (allora sedicenne) nel 1983, la Banda della Magliana, membri del Vaticano e dello IOR (Istituto per le Opere di Religione). La telefonata giunta al programma televisivo suggeriva che era possibile capire il mistero della sparizione andando a guardare chi era stato sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare, proprio dove la ragazza frequentava una scuola di musica.

 

L’illustre seppellito era Enrico de Pedis, boss della Banda della Magliana, che si ritiene abbia fatto una grande donazione alla Basilica, divenendo così un “benefattore”, a cui il cardinale Ugo Poletti, allora presidente della Cei, concesse la sepoltura in territorio Vaticano. Alcune piste, dunque, portano a ritenere autori del rapimento membri della Banda della Magliana, collusi con esponenti del Vaticano.

 

Nel giugno del 2008, infatti, la stampa rese note le dichiarazioni che Sabrina Minardi – amante di De Pedis tra il 1982 e il 1984 – rilasciò agli organi giudiziari, secondo le quali il rapimento di Emanuela Orlandi sarebbe stato commissionato a De Pedis da monsignor Marcinkus, all’epoca presidente della IOR, per colpire qualcuno più in alto.

 

Altri invece rifiutano il coinvolgimento di denaro e potere e ritengono – tra questi il giornalista Pino Nicotri e Padre Gabriele Amorth –che la ragazza sia morta a causa di abusi sessuali subiti da alte personalità della sfera ecclesiastica.


Per quanto non vi fosse nulla di certo, tutto questo non fu facile da gestire, e rappresentò un brutto colpo per il Vaticano, a cui si aggiunsero le vicende relative allo IOR. Erroneamente conosciuto come la banca vaticana, lo IOR ha il compito di amministrare i beni mobili e immobili ricevuti da persone fisiche o giuridiche per opere di carità.

 

Questo Istituto era già stato coinvolto, alla fine degli anni ’80, nello scandalo del Banco Ambrosiano, di cui era il maggiore azionista, in quanto il suo presidente di allora, il sopracitato monsignor Marcinkus, venne indagato nel 1987 per concorso in bancarotta fraudolenta e accusato di riciclaggio del denaro mafioso.

 

Tali accuse non vennero portate avanti per l’immunità penale garantita dall’art. 11 dei Patti Lateranensi ed egli continuò a manifestare la sua estraneità ai fatti. Lo IOR ebbe una piccola parte anche in Tangentopoli, successivamente, nel 2010, negli appalti del G8 e della Maddalena e nello stesso anno la procura di Roma aprì un’indagine per comprendere i rapporti tra lo IOR e altre importanti banche.

 

Vi erano stati infatti trasferimenti di denaro sospetti, che hanno fatto pensare all’occultamento di reati come evasione fiscale, truffa e violazione delle leggi antiriciclaggio. Il Papa allora dichiarò l’adesione dello IOR alla convenzione monetaria europea e l’adozione delle norme antiriciclaggio per la trasparenza bancaria, che però non impedirono all’istituto di lacerarsi in lotte di potere interne e irregolarità nell’applicazione di tali norme, al punto che, il maggio scorso, il presidente Ettore Gotti Tedeschi rassegnò le sue dimissioni.

 

È molto difficile sbrogliare una simile matassa, ma quel che è facile comprendere è la diffidenza e l’aura di sospetto che si formò intorno i vertici della Chiesa. La decisione di Benedetto XVI di procedere verso la trasparenza venne quindi ostacolata da fazioni interne, ed è forse questo il vero nodo della questione; nel corso del suo ministero, infatti, il Papa aveva preso più volte una posizione molto ferma contro il carrierismo diffuso ai vertici della Curia, e questo viene fuori anche dall’ultimo grande scandalo che ha coinvolto la Chiesa: Vatileaks.

 

Nei primi mesi del 2012 c’è stata una fuga di notizie provenienti da documenti privatissimi di Ratzinger, trafugati dal suo stretto collaboratore, il maggiordomo Paolo Gabriele, che hanno ispirato il libro di Gianluigi Nuzzi, Sua Santità.

 

Oltre alle notevoli informazioni contenute in questo dossier, quello che può essere utile tenere in conto per capire le dimissioni del Santo Padre, sono proprio le motivazioni addotte dal maggiordomo: egli disse di aver agito per “un amore viscerale per la Chiesa e il Papa”, nella volontà di difendere quest’ultimo dalle pressioni e dalle malefatte dei membri del Vaticano, poiché lo vedeva come una vittima in mezzo a due fuochi, a cui voleva prestare aiuto.

 

In molti hanno messo in discussione le condizioni psicologiche del maggiordomo e le sue dichiarazioni, che rimangono comunque significative nell’analizzare la situazione interna al Vaticano.

 

Alla luce di quanto detto si delinea un quadro molto complicato dipinto da intricati retroscena che verosimilmente hanno impedito a Benedetto XVI di portare avanti il suo pontificato come desiderava, e forse proprio il gesto di dimettersi è stato il più grande stimolo alla trasparenza per il prossimo futuro della Chiesa.



 

 

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