N. 79 - Luglio 2014
(CX)
in difesa di Venezia
la grande guerra e la porta d’oriente
di Vincenzo Grienti
Nel
1917,
un
anno
prima
della
conclusione
della
Grande
Guerra,
l’Ufficio
Speciale
del
Ministero
della
Marina
pubblicò
una
serie
di
monografie
dal
titolo
“La
Marina
Italiana
nella
Guerra
Europea”.
Si
trattava
di
64
pagine
corredata
da
oltre
100
illustrazioni.
Ogni
volume
costava
1,50
lire
ed
era
edito
da
Editori
Alfieri
&
Lacroix
di
Milano.
L’intera
opera
fu
tradotta
in
quattro
lingue,
francese,
tedesco,
inglese
e
spagnolo,
e
restò
tra
le
più
originali
pubblicazioni
mensili
che
raccontavano
le
imprese
della
Marina
Italiana
laddove
tutti,
invece,
erano
concentrati
nei
movimenti
di
truppe
che
avvenivano
nelle
trincee
e
nelle
vette
del
centro
Europa.
Tra
i
dodici
volumi
di
cui
si
componeva
l’opera
il
più
richiesto
e
interessante
fu
quello
intitolato
“Per
la
difesa
di
Venezia”.
La
Serenissima,
infatti,
da
sempre
rappresentava
la
porta
che
da
oriente
si
apriva
all’occidente,
lo
snodo
tra
l’Europa
centrale
e
quella
dell’Est.
Perciò
fu
particolarmente
importante
sotto
il
profilo
strategico
e
geopolitico
difendere
la
città
lagunare
dagli
attacchi
della
Triplice
Alleanza.
La
Marina
Italiana
era
in
prima
linea.
All’alba
del
24
maggio
1915,
giorno
dell’entrata
in
guerra
dell’Italia
insieme
alle
nazioni
dell’Intesa,
Venezia
ebbe
dal
cielo
il
suo
primo
brusco
saluto.
I
veneziani
videro
due
velivoli,
esili
come
zanzare,
che
andavano
ronzando
sopra
i
cieli
mentre
la
città
del
Doge
dormiva
ancora.
Nonostante
ciò
le
guardie
armate
erano
già
sopra
le
altane,
le
batterie
nascoste
nelle
isole
veneziane.
Da
li a
poco
il
fragore
di
quella
che
poteva
intendersi
come
la
prima
forma
di
contraerea
rispose
agli
attacchi.
Caddero
le
bombe
sul
Canal
Grande,
ben
diciannove,
come
riporta
la
monografia.
In
seguito
ne
caddero
altre
seicento
di
bombe,
ma
Venezia
non
crollò.
La
cronaca
raccontata
in
sedici
pagine
fu
scritta
da
Umberto
Fracchia
che
sgombrò
subito
il
campo
da
fraintendimenti:
“Quanto
era
stato
fatto
fino
allora
per
la
difesa
di
Venezia
nel
corso
della
Prima
guerra
mondiale
era
opera
principalmente
della
Marina.
Elementi
dell’Esercito
avevano
concorso
e
concorrevano
ancora,
portando
il
loro
contributo
e la
loro
speciale
competenza,
ma
la
direzione
di
ogni
servizio,
come
il
supremo
Comando
della
Piazza,
apparteneva
alla
Marina”.
L’arma
navale
italiana
aveva
un
suo
debito
d’onore
nel
salvaguardare
la
città
adriatica
dalle
nuove
offese
provenienti
sia
dal
mare
che
dal
cielo.
Gli
ufficiali
ammiragli
che
si
erano
succeduti
fino
ad
allora
al
Comando
della
Piazza
avevano
concorso
con
una
grande
attività
di
addestramento
e
preparazione
di
equipaggi
e
truppe
di
terra
a
difesa
delle
installazioni
costiere.
Il
massimo
livello
di
preparazione
raggiunto
fu
sotto
l’ammiragliato
di
Thaon
di
Revel.
L’ammiraglio
dovette
far
fronte
non
solo
ai
problemi
di
artiglieri,
ma
anche
a
questioni
minori.
Inoltre
approfondì
moltissimo
gli
studi
sul
tiro
verticale
della
fucileria
e si
erano
predisposte
le
armi
con
uno
speciale
mirino.
Era
importante
per
l’ammiraglio
Thaon
di
Revel
prevedere
e
fronteggiare
le
incursioni
notturne.
Per
tale
ragione
si
perfezionarono
i
riflettori,
sperimentando
carboni
di
nuova
fabbricazione
per
ottenere
fasci
di
luce
più
intensi
e
luminosi.
A
questo
si
aggiungeva
l’addestramento
del
personale
su
bersagli
piccoli
e
sperduti
nel
buio.
Si
lavorò
inoltre
per
estendere
e
aumentare
il
numero
di
osservatori
avanzati
lungo
il
mare,
nelle
isole
e in
terra
ferma,
mettendo,
si
direbbe
oggi
“in
rete”
ogni
posto
di
vedette,
ogni
batteria,
ogni
semaforo
portuale,
ogni
posto
di
fucileria,
ogni
comando
con
una
linea
telefonica
molto
intricata
da
sabotare.
Tra
i
problemi
fondamentali
che
dovette
affrontare
l’ammiraglio
Thaon
di
Revel
fu
la
difesa
dei
monumenti
veneziani.
Egli
dispose
un
sistema
di
difesa
con
ripari
alquanto
ingegnosi
che
modificarono
l’aspetto
della
città.
Fra
un
arco
e
l’altro,
lungo
il
porticato
di
Palazzo
Ducale
vennero
eretti
grandi
pilastri
per
reggere
le
facciate
delle
costruzioni.
Nelle
finestre
erano
state
installate
gabbie
di
travi.
La
nuova
Loggetta
del
Sansovino,
ai
piedi
del
Campanile
era
stata
interamente
ricoperta
con
tavole,
lastre
di
ferro
e
sacchi
di
sabbia.
L’interno
di
San
Marco
era
diventato
simile
all’interno
di
una
fortezza,
con
bastioni
e
fasciature
enormi.
Molte
opere
d’arte
furono
nascoste
in
profondi
sotterranei.
Molto
si
dibatté
sul
coprire
o
meno
la
Basilica
con
una
grande
tettoia.
Dopo
l’inverno
scoppiò
la
primavera
e
con
essa
anche
nuovi
bombardamenti.
Il
nemico
ritornò.
Venezia
era
pronta
a
ricevere
altri
assalti
dal
cielo
e
dal
mare.
Ad
affiancare
la
Marina
Italiana,
quella
Francese
con
una
squadriglia
di
idrovolanti
Newports.
L’incursione
del
15
maggio
fu
condotta
da 9
velivoli
che
lanciarono
sulla
città
57
bombe,
colpendo
e
demolendo
per
metà
una
piccola
vecchia
casa
in
Calle
delle
Razze.
Fu
questo
il
primo
segnale
che
“la
passione”
di
Venezia
solo
all’inizio
e
che
la
stagione
delle
lunghe
notti
bianche
non
era
finita.
Gli
austriaci
si
accanirono
sulla
città
con
particolare
violenza.
Ogni
attacco
durava
circa
tre
quarti
d’ora
e
veniva
effettuato
al
tramonto
o di
prima
mattina.
Quasi
sempre
arrivavano
aerei
distanziati
fra
loro
di
qualche
miglio,
compivano
una
serie
di
virate
per
poi
sganciare
le
bombe.
A
quel
punto
i
segnalatori
della
Marina
Italiana
davano
l’allerta,
si
spegneva
ogni
lume,
i
telefonisti
erano
inchiodati
ai
loro
apparecchi
e il
Comando
Centrale
impartiva
i
suoi
ordini.
Gli
altri
tutti
nei
rifugi.
Dopo
aver
incassato
i
colpi
dei
nemici,
la
Marina
italiana
rispondeva
all’attacco
dopo
ogni
aggressione
puntando
a
danneggiare
le
basi
aeree
e
navali
del
nemico.
In
due
di
queste
“spedizioni
punitive”
trovarono
la
morte
nell’agosto
del
1916
i
francesi
Roulier
e
Costerousse
mentre
nel
febbraio
1917
il
tenente
di
vascello
Giuseppe
Garassini.
La
morte
di
questi
marinai
fu
eroica.
All’alba
del
15
agosto
per
rispondere
all’attacco
nemico
di
quattro
giorni
prima,
una
squadriglia
di
idrovolanti
italiani
e
francesi
spiccò
il
volo
verso
Trieste.
Qui
la
nostra
“aviazione
di
marina”
sganciò
granate-mine
e
bombe
incendiarie
di
30
chilogrammi.
La
reazione
degli
austriaci
fu
immediata.
Si
alzarono
in
volo
Lohner
e
Fokker
e
iniziò
la
battaglia
nei
cieli
triestini.
Fu
un
duello
mortale
senza
tregua.
Nelle
tre
stagioni
fra
il
15
maggio
e il
18
settembre
del
1915,
secondo
anno
di
guerra,
Venezia
subì
dodici
attacchi
a
fondo,
senza
contare
quelli
che
furono
interrotti
e
respinti
al
largo.
In
totale
gli
austriaci
lanciarono
sulla
città
432
bombe,
tra
esplosive
e
incendiarie.
In
una
sola
volta,
in
un
bombardamento
di
appena
trenta
minuti,
il 9
agosto
1916,
caddero
142
bombe.
Un
anno
dopo,
il
14
agosto
1917,
passati
lunghi
mesi
di
assoluta
pace,
nell’incursione
tentata
al
primo
chiarore
dell’alba,
essendo
divenute
le
ombre
notturne
infide
e
più
pericolose
della
luce
nel
cielo
veneziano,
gli
assalitori
non
poterono
godere
più
di
nessuna
specie
di
incolumità.
Dei
15
aerei
mandati
all’attacco
di
Venezia,
quattro
furono
distrutti
e
altri
tre
vennero
colpiti
dalla
contraerea
italiana.
Gli
idrovolanti
inoltre,
sempre
nello
stesso
giorno,
colpirono
in
pieno
un
cacciatorpediniere
austriaco
che
“scortava”
la
flotta
aerea.
Fu
un
successo.