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N. 108 - Dicembre 2016 (CXXXIX)

Didone, eroina epica o elegiaca?
Due modelli a confronto
- Parte I
di Paola Scollo

 

Fra i ritratti più celebri che la tradizione ci ha consegnato di Didone un ruolo di assoluta centralità è senza alcun dubbio rivestito dal celebre racconto virgiliano del IV libro dell’Eneide. Occorre, tuttavia, ricordare che non si tratta dell’unica testimonianza letteraria di cui oggi disponiamo per delineare i tratti della leggendaria regina di Cartagine.

 

Di notevole interesse è, per esempio, l’immagine tracciata da Ovidio nelle Heroides, raccolta di epistole poetiche divisa in due parti: la prima (1 - 15) comprende lettere scritte da celebri donne, protagoniste soprattutto del repertorio mitologico greco, agli amanti o ai mariti lontani; la seconda (16 - 21), invece, presenta le lettere di tre innamorati, ossia Paride, Leandro e Aconzio, accompagnate dalle risposte delle rispettive amanti Elena, Ero e Cidippe.

 

Settima, all’interno del primo gruppo, è l’epistola di Didone a Enea. Va da sé che qui modello di riferimento per Ovidio è quello virgiliano. Occorre tuttavia sottolineare che, al pari delle altre lettere della raccolta, anche per l’epistola di Didone il poeta di Sulmona seleziona alcuni tratti della tradizione epico-tragica per inserirli, dopo averli reinterpretati e deformati, all’interno della tradizione elegiaca. Ne deriva un genere letterario nuovo e, a un tempo, antico attraverso cui l’elegia torna a essere poesia del lamento, ossia specchio dello stato d’animo infelice della donna lasciata sola o abbandonata dall’amato.  

 

Tale processo di riscrittura in chiave elegiaca della tradizione letteraria epico-tragica risulta particolarmente evidente per la vicenda di Didone. Del ritratto virgiliano Ovidio seleziona solo gli elementi funzionali alla sua intenzione poetica di far emergere, anzitutto, la volontà persuasiva di Didone di trattenere a sé Enea, convincendolo a non partire. Ben si comprende così l’insistenza sul motivo della gravidanza (7 133 ss.), che per il personaggio virgiliano è tenera speranza dolorosamente delusa, mentre per quello ovidiano è instrumentum per porre Enea di fronte alle sue responsabilità. Ma, a ben vedere, questo non è l’unico motivo di divergenza tra i due ritratti. Osserviamoli dunque puntualmente.

 

Nell’Eneide Didone è un’eroina epica con evidenti risvolti tragici. La regina di Cartagine nutre nell’animo feroci propositi di vendetta: per esempio, prova rammarico per non aver ucciso Enea e non avergli imbandito le carni del figlio. Di contro, nelle Heroides Didone non è attraversata da questo furor drammatico: spinta da una forma di mero opportunismo, ipotizzando il naufragio di Enea giunge persino a pregare per lui. È questo un ulteriore elemento del tutto assente in Virgilio.

 

La Didone virgiliana non reprime la furia dei suoi sentimenti ed è incurante delle possibili conseguenze; quella ovidiana, invece, tenta di persuadere Enea a restare, quindi prospetta all’amato, con evidente partecipazione emotiva, i mali che si abbatteranno su di lui per averla abbandonata, ossia la perdita della reputazione e la punizione divina.

 

Se in Virgilio Didone, dietro il pretesto del rito, cela la propria intenzione di uccidersi, in Ovidio la decisione di morire maschera il reale tentativo di riconquistare Enea. Nelle Heroides Didone è più propensa a umiliarsi, a supplicare, quindi a ricoprire un ruolo secondario e subalterno pur di stare accanto a Enea. Ma c’è di più. Incapace di nutrire odio e di maledire, questa Didone ha perso i tratti dell’orgoglio regale proprio del modello virgiliano. In sintesi, non appare né eroina epica né tragica.

 

Ulteriore motivo di dialogo polemico con il testo virgiliano è la rievocazione da parte della Didone ovidiana della misteriosa scomparsa di Creusa durante l’ultima notte di Troia. La regina, che nell’Eneide si era proprio innamorata di Enea dopo averne ascoltato i racconti, nelle Heroides avanza dubbi sulla credibilità di quella ricostruzione (vv. 81 ss.). Si tratta, ovviamente, di un’interpretazione tendenziosa volta a screditare Enea e a dipingerlo come uomo inaffidabile, particolarmente incline ad abbandonare le sue donne.

 

Inoltre, la Didone di Virgilio, colta nella fase dell’innamoramento, crede alla semidivinità di Enea: nessun comportamento le lascia presagire che l’animo dell’eroe non sia aderente al carattere divino della madre. Ovidio, invece, rovescia tale giudizio positivo, considerandolo frutto di un autoinganno di Didone. L’eroina ovidiana appare, nel complesso, più incline a giustificare il proprio cedimento alla passione per Enea.

 

Ma il punto di maggior divergenza tra l’eroina ovidiana e il suo modello è da porre soprattutto nel differente atteggiamento riguardo al suicidio. In Virgilio Didone sceglie di uccidersi a prescindere dalla decisione di Enea sul rinvio della partenza: la sua dignità di regina non può infatti tollerare né l’umiliazione dell’abbandono né il tradimento del voto di fedeltà al marito defunto. Così, in un andirivieni di sentimenti feroci e contrastanti, si toglie la vita quasi fosse un’eroina del teatro tragico sofocleo. La Didone ovidiana, invece, per quanto esibisca fin dall’inizio l’intenzione di uccidersi, svela a un certo punto il carattere utilitaristico del suo ragionamento, facendo dipendere la sua scelta dalla risposta di Enea.



 

 

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