N. 138 - Giugno 2019
(CLXX)
"What if?"
Per
una
didattica
della
storia
controfattuale
–
Parte
Ii
di
Giuseppe
Cilenti
Oggi
vari
sostenitori
della
counterfactual
history,
come
N.C.
Ferguson
e
V.D.
Hanson,
sono
riconducibili
all’area
neocon.
Più
sospette
ancora
le
prossimità
destrorse
di
molti
specialisti
italiani
dell’ucronia,
fra
cui
Gianfranco
de
Turris,
Errico
Passaro
e
Mario
Farneti.
Forse,
però,
il
problema
è
l’uso
che
si
fa
dell’ucronia,
non
una
sua
presunta
“collocazione
ideologica
naturale”.
Ancorché
profondamente
umana,
oltre
che
diffusa
come
genere
letterario
e
“meta-storiografico”,
non
si
può
che
riconoscerlo:
l’ucronia
non
ha
mai
ricevuto
un
crisma
definitivo.
Recepita
come
mero
gusto
per
il
fantastico,
alla
meglio
è
accettata
come
divertissement
intellettuale
(celebri
le
riflessioni
in
tal
senso
di
Benedetto
Croce
ed
Edward
H.
Carr),
priva
di
qualsivoglia
utilità
concreta
e
persino
fuorviante
per
lo
storico
di
professione.
L’ucronia
può
essere
intesa
soltanto
nella
limitata
accezione
di
“storia
alternativa”,
mai
come
storia
che
–
dopotutto
– è
stata
plausibilmente
possibile
o
almeno
recepita
come
tale.
Fra
tanti
dubbi,
limiti
e
rischi,
a
cosa
possono
servire
l’ucronia
e la
counterfactual
history?
Ha
senso
parlarne
in
relazione
con
la
didattica?
A
queste
domande
sono
state
date
diverse
risposte,
alcune
delle
quali
possibiliste.
Di
sicuro,
non
si
può
affermare
che
il
pensiero
controfattuale
o,
tantomeno,
quello
ucronico
siano
estranei
al
quotidiano:
ognuno
di
noi
pensa
“controfattualmente”
quando,
in
seguito
a
qualche
evento
(perlopiù
spiacevole,
ma
non
è
detto),
ci
chiediamo
cosa
sarebbe
accaduto
se
le
nostre
azioni
o la
concatenazione
causale
che
l’hanno
preceduto
fossero
state
differenti.
Allo
stesso
tempo,
gettiamo
le
basi
per
un
futuro
ragionamento
ucronico
ogni
volta
che
pensiamo
ai
possibili
esiti
di
una
qualche
scelta.
Una
volta
effettuata,
e in
seguito
al
verificarsi
delle
sue
conseguenze
reali,
vale
forse
la
pena
ricordarsi
che,
in
precedenza,
altre
scelte
–
più
o
meno
plausibili
–
erano
state
considerate.
A
quali
risultati
avrebbero
potuto
condurre?
Il
problema,
beninteso,
è
che
non
c’è
alcun
modo
per
rispondere
con
precisione
a
tali
domande,
il
che
delegittima
qualunque
valutazione
concreta,
quantomeno
da
un
punto
di
vista
aderente
alla
realtà
esperibile.
Forse,
nell’ucronia
e
nel
pensiero
controfattuale
sono
da
individuare
nuove
prospettive,
se
non
di
ricerca,
di
didattiche
innovative.
Una
delle
maggiori
critiche
mosse
alla
storiografia
scientifica
è
l’impossibilità
di
una
sperimentazione
ripetibile:
gli
storici
hanno
a
che
fare
con
situazioni
e
contesti
già
avvenuti
che
non
possono
rivedere
in
laboratorio,
dato
che
è
poco
etico
sperimentare
su
campioni
di
società
umane
così
come
può
fare
un
hard
scientist.
In
certa
misura,
ciò
può
valere
anche
per
le
scienze
umane
e
sociali,
che
però
possono
almeno
lavorare
sul
presente:
dato
che
il
campo
d’azione
degli
storici
è il
passato,
questa
eventualità
non
è
loro
garantita.
La
simulazione
–
sempre
imperfetta:
non
è
possibile
replicare
tutte
le
condizioni
di
partenza
–
può
essere
ritenuta
un
potenziale,
ancorché
impreciso
sostitutivo.
Le
simulazioni
storiche
sono
una
realtà
da
quando,
fra
la
fine
del
XVIII
e
l’inizio
del
XIX
secolo,
ufficiali
tedeschi
d’accademia
(in
particolare
prussiani),
creano
il
wargame.
Inizialmente
materia
di
formazione
militare,
esso
si
diffonde
come
gioco
“civile”
dal
principio
del
‘900,
per
poi
diventare
divertimento
di
massa
a
partire
dalla
metà
del
secolo.
In
seguito,
attraverso
giochi
come
Diplomacy
(1954)
e il
celebre
RisiKo!
(Risk,
1957),
il
wargame
si
sviluppa
in
varianti
sempre
diverse,
fino
a
definire
l’attuale
modello
di
gioco
di
strategia
e
simulazione,
boardgame
o
videogame,
con
capisaldi
come
Axis
&
Allies
(1981),
Civilization
(1991),
Age
of
Empires
(1997)
e
Total
War
(2000),
in
un
vasto
panorama
che
oggi
è
impossibile
delineare
nella
sua
completezza.
A
partire
dal
2000,
specialista
dei
grand
strategy
video
games
è la
svedese
Paradox
Interactive:
con
vari
giochi
raggruppati
in
serie
tematiche,
ciascuna
di
esse
si
concentra
su
un
periodo
storico,
così
da
offrire
un’ampia
scelta
fra
Medioevo
(Crusader
Kings),
età
moderna
(Europa
Universalis),
“Lungo
Ottocento”
(Victoria)
e
seconda
guerra
mondiale
(Hearts
of
Iron).
Il
cosiddetto
grand
strategy
video
game
di
oggi,
sia
pure
nelle
sue
inevitabili
inesattezze
e
semplificazioni,
è
un’affascinante
e
utilissima
palestra
storica
che,
se
non
può
sostituire
nell’apprendimento
la
storiografia
tradizionale
(anche
perché
troppo
impegnativo,
distraente
e
totalizzante),
può
però
offrire
spunti
di
riflessione
o,
semplicemente,
far
nascere
un
rinnovato
interesse
per
periodi
e
temi
“noiosi”,
così
come
la
curiosità
di
porre
nuove
domande.
Perché
non
impostare
un
laboratorio
di
storia
sul
tema
dell’ucronia?
I
temi
dell’ucronia,
delle
linee
temporali
alternative
e
degli
universi
paralleli
fanno
ormai
parte
di
un’affascinante
twilight
zone
fra
scienza
e
cultura
di
massa:
è
probabile
che,
in
una
classe
di
adolescenti,
numerosi
siano
quelli
in
grado
di
raccogliere
la
maggior
parte
delle
suggestioni
pop
disseminate
fra
le
pagine
di
questa
breve
riflessione,
così
come
di
divertirsi
con
esse.
Allo
stesso
tempo,
basta
fare
un
giro
fra
post
e
commenti
dei
vari
social
media
per
capire
quanto
l’apprendimento
tradizionale
sia
sempre
più
inefficace
e
meno
compreso.
Insistere
soltanto
su
di
esso,
in
un
mondo
tecnocratico
in
cui
i
giovani
sono
bombardati
da
sollecitazioni
sensoriali
molto
più
accattivanti,
non
ha
più
alcuna
ragione
d’essere.
Se,
infine,
come
ormai
sembra
chiaro
(soprattutto
nel
mondo
della
scuola
più
progressista),
è
illogico
distinguere
ancora
con
severo
snobismo
fra
cultura
“alta”
e
“bassa”,
tanto
vale
guidare
gli
studenti
nell’esplorazione
della
sempre
meno
profonda
frontiera
fra
esse.
Non
di
resa
si
parla,
ma
di
adattamento
a un
contesto
più
influente
di
qualunque
nostalgia.
Di
sicuro,
non
c’è
salvezza
della
cultura
“alta”
nel
preservarla
dalla
contaminazione:
la
stalla
è
aperta,
i
buoi
sono
già
scappati.
Fra
le
varie
discipline
legittimate
dall’insegnamento
tradizionale,
quale
ha
più
bisogno
di
rinnovamento
della
Storia,
percepita
come
noiosa
e
mnemonica?
E
quale
miglior
espediente
del
gioco
per
intaccare
tale
percezione?
Un’esperienza
ludica
di
simulazione,
se
ben
contestualizzata
dal
punto
di
vista
storico,
geografico,
politico
ed
economico,
può
essere
riletta
a
sua
volta
come
ucronia:
partendo
da
un
dato
momento
“reale”,
e
sempre
assistito
da
un
insegnante
accorto
che
lo
aiuti
a
selezionare
i
migliori
criteri
di
plausibilità,
lo
studente
può
percorrere
lo
snodarsi
di
possibilità,
di
svolte
alternative,
e
toccare
con
mano
la
complessità
delle
scelte
e
delle
variabili
che
si
pongono
da
sempre
sul
cammino
di
chi
attraversa
la
Storia.
Al
termine
di
questa
personale
counterfactual
history,
sarà
possibile
rivederne
i
passaggi
e le
deviazioni,
così
da
far
emergere
quella
che
dovrebbe
essere
la
grande
verità
chiara
a
chiunque
si
occupi
di
interrogare
il
passato,
sia
esso
uno
storico
professionista
o un
appassionato:
nella
Scelta
del
momento
presente,
in
ultima
analisi,
nulla
esiste
di
certo.
Nella
Storia
del
momento
passato,
d’altro
canto,
ciò
che
è
già
avvenuto
non
è
mai
stato
predeterminato.
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