N. 138 - Giugno 2019
(CLXIX)
"What if?"
Per
una
didattica
della
storia
controfattuale
–
Parte
I
di
Giuseppe
Cilenti
Il
termine
francese
uchronie,
coniato
nel
1857
dal
filosofo
Charles
Renouvier,
equivale
all’inglese
alternate
history.
In
italiano
compare
a
partire
dall’inizio
del
‘900.
Per
indicare
le
riflessioni
ucroniche
si
usa
spesso
l’espressione
What
if?,
con
allusione
alla
loro
natura
ipotetica.
L’ucronia
«consiste
nella
sostituzione
di
avvenimenti
realmente
accaduti
[…]
con
altri,
frutto
di
fantasia
ma
verosimili»,
e si
basa
sul
concetto
di
“condizionale
controfattuale”,
un «enunciato
condizionale
al
congiuntivo
(corrispondente
a
quello
che
in
grammatica
è
detto
periodo
ipotetico
dell’irrealtà),
la
cui
protasi
enuncia
un’ipotesi
che
è
contraria
a
quanto
è
realmente
accaduto,
mentre
l’apodosi
enuncia
la
conseguenza
che
sarebbe
derivata
da
quell’ipotesi»
(definizioni
dall’Enciclopedia
Treccani).
I
condizionali
controfattuali
ricevono
notevole
attenzione
in
una
vasta
gamma
di
discipline:
esempi
evidenti
sono
la
matematica
e la
logica.
Tale
interesse
si
spiega
con
la
capacità
dei
condizionali
controfattuali
di
aiutare
a
chiarire
la
causalità
di
alcune
concatenazioni
di
eventi,
il
che
ne
illumina
il
valore
nell’ambito
della
riflessione
storica.
Cosa
sarebbe
accaduto
se
alcuni
eventi
non
si
fossero
svolti
come
li
conosciamo?
Da
quali
condizioni
di
partenza
discende
il
quadro
storico
contemporaneo?
Tali
domande
sono
meno
oziose
di
quanto
possano
apparire
a
prima
vista,
e
simili
valutazioni
sono
assai
antiche:
lo
stesso
Tito
Livio
(IX
17-19)
ragionò
su
cosa
sarebbe
accaduto
se
Alessandro
Magno
si
fosse
scontrato
con
la
nascente
potenza
romana.
L’ucronia
ha
trovato
le
sue
più
note
applicazioni
nella
letteratura
fantastica,
con
esempi
celebri
quali
La
svastica
sul
sole
di
Philip
K.
Dick
e
Fatherland
di
Robert
D.
Harris:
esiste
altresì
un
filone
di
cinema
ucronico,
con
esempi
indipendenti
dalla
letteratura
(It
Happened
Here,
GB
1965)
e
altri
a
essa
ispirati
(Delitto
di
stato,
USA
1994,
tratto
da
Fatherland).
Di
solito,
i
contesti
storici
preferiti
dalla
letteratura/cinematografia
ucronica
coinvolgono
versioni
alternative
della
Seconda
guerra
mondiale
con
l’Asse
vincitrice
(agli
esempi
precedenti
vale
la
pena
accostare
la
Trilogia
di
Occidente
di
Mario
Farneti,
con
un
regime
fascista
neutrale
durante
la
guerra
e
poi
prima
potenza
globale),
imperi
romani
dalla
lunghissima
durata
(nelle
opere
di
Robert
Silverberg
e
Sophia
McDougall),
medioevi
caratterizzati
da
scoperte
geografiche
e/o
tecnologiche
anticipate
(la
saga
di
Harry
Harrison
Il
Martello
e la
Croce)
o,
nell’ambito
della
letteratura
americana,
differenti
evoluzioni
della
guerra
di
indipendenza
o di
quella
di
secessione:
in
generale,
si
tratta
di
periodi
storici
attraenti
e
affascinanti,
o di
scenari
politicamente
coinvolgenti
per
il
pubblico.
Accanto
a
riflessioni
semplificate
sulla
teoria
degli
universi
paralleli
e
sul
concetto
di
“multiverso”,
il
tema
dell’ucronia
appare
diffusamente
nei
mondi
dei
comics
DC e
Marvel:
in
entrambi,
il
genere
del
What
if?
è
molto
gettonato,
ed
esistono
complesse
cosmologie
multidimensionali,
ben
note
agli
aficionados
e di
recente
trapiantate
anche
nel
cinema.
L’ucronia
non
esiste
solo
come
letteratura
di
genere
e di
nicchia,
per
sua
natura
bollata
come
narrativa
“bassa”.
Vi
sono
esempi,
certo
più
sporadici,
di
letteratura
“alta”
che
si
basano,
per
intero
o
solo
in
parte,
sui
meccanismi
del
What
if?
e
della
controfattualità.
Fra
gli
altri,
spiccano
autori
come
il
già
citato
Philip
K.
Dick,
ormai
definitivamente
emancipato
da
certi
stigmi,
o
pesi
massimi
come
José
Saramago.
Nel
suo
História
do
cerco
de
Lisboa,
il
grande
scrittore
portoghese
delinea
due
narrazioni
parallele
e
reciprocamente
compenetrate:
la
prima,
quella
di
un
correttore
di
bozze
intento
a
rivedere
un
testo
sulla
conquista
della
futura
capitale
lusitana
(1°
luglio
- 25
ottobre
1147),
che
cede
a
un’irresistibile
impulso
e
individua
un
potenziale
turning
point
della
storia
nel
momento
in
cui
un
gruppo
di
crociati
in
viaggio
verso
la
Terrasanta
decide
di
aiutare
il
re
Alfonso
I
Henriques
nell’impresa;
la
seconda,
quella
dell’assedio
stesso,
durante
il
quale
la
banda
di
crociati
non
assiste
i
portoghesi
come
realmente
accaduto,
introducendo
così
una
nuova
timeline,
differente
da
quella
a
noi
nota.
A
partire
dai
concetti
di
turning
point
(o
point
of
divergence)
e di
timeline
alternative,
hanno
ragionato
sull’ucronia
sia
la
cultura
pop
(nella
trilogia
di
Back
to
the
Future,
USA
1985-1990,
o
nel
romanzo
di
Michael
Crichton
Timeline,
da
cui
fu
tratto
nel
2003
un
omonimo
film
di
scarso
successo:
in
entrambe
le
vicende
il
quadro
ucronico
è
arricchito
dallo
spunto
fantascientifico
del
viaggio
nel
tempo),
sia
rappresentanti
della
cultura
“alta”,
fra
cui
storici
ed
esponenti
politici.
In
quest’ultimo
contesto,
i
temi
ucronici
hanno
avuto
un
certo
successo
nel
mondo
anglosassone.
Fra
i
primi
e
più
noti
classici
dell’ucronia
è
l’antologia
If
It
Happened
Otherwise
(1931),
in
cui
l’intellettuale
britannico
John
Collings
Squire
raccoglie
vari
saggi
controfattuali
a
firma
di
personaggi
di
spicco
(perlopiù
connazionali),
fra
i
quali
Winston
Churchill,
Herbert
A.L.
Fisher
e
Harold
G.
Nicolson.
Proprio
nella
cultura
anglosassone,
che
non
ha
mai
voluto
condannare
senza
riserve
le
prospettive
ucroniche,
si è
cercato
di
legittimare
un
loro
prudente
utilizzo
storiografico,
distinguendo
fra
alternate
history
(con
accezione
narrativa
e
letteraria)
e
counterfactual
history
(con
accezione
storiografica
e
“quasi-scientifica”):
non
a
caso,
quest’ultima
fa
esplicito
riferimento
al
pensiero
controfattuale.
Dagli
anni
’80
del
XX
secolo,
sempre
grazie
a
storici
anglosassoni
–
forse
in
connessione
con
la
presunta,
ancorché
temporanea,
“fine
della
storia”
(Francis
Fukuyama)
–
l’ipotesi
ucronica
ottiene
rinnovata
visibilità.
Fra
i
principali
ispiratori
di
questa
New
Wave
è
Niall
C.
Ferguson,
storico
britannico
assai
critico
nei
confronti
della
longue
durée
della
Nouvelle
Histoire,
e
favorevole
a
una
rinnovata
centralità
dell’approccio
evenemenziale
e
dell’attenzione
alle
scelte
dei
singoli
individui
(soprattutto
se
grandi
statisti
e
condottieri).
Alla
luce
di
tale
impianto
metodologico,
Ferguson
cura
la
pubblicazione
di
Virtual
History:
Alternatives
and
Counterfactuals,
una
scelta
di
saggi
centrati
sull’analisi
e la
rivisitazione
di
alcuni
dei
più
traumatici
eventi
e
fenomeni
della
storia
occidentale
moderna,
dalla
guerra
civile
inglese
alla
guerra
d’indipendenza
americana,
dalle
guerre
mondiali
alla
guerra
fredda
e
alle
vicende
legate
a
leader
iconici
come
John
F.
Kennedy
e
Michail
S.
Gorbačëv.
Nello
stesso
periodo,
si
manifesta
una
corrente
“polemologica”
della
counterfactual
history,
in
particolare
negli
USA:
ciò
non
stupisce,
se
si
pensa
a
quanto
sia
frequente
la
scelta,
come
point
of
divergence,
di
celebri
scontri
militari
o
conflitti.
È in
linea
con
tale
tendenza,
a
cavallo
del
millennio,
la
pubblicazione
(a
cura
dello
storico
militare
americano
Robert
Cowley)
di
tre
nuove
raccolte
di
contributi
intitolate
What
If?,
due
di
“storia”
generale
e
una
di
“storia”
americana.
Molti
degli
episodi
militari
trattati
hanno
in
comune
una
certa
notorietà
e
sono
perlopiù
ammantati
di
toni
epici,
caricati
di
eccessiva
importanza
strategica
e,
talvolta,
di
atmosfere
politico-ideologiche
fin
troppo
attuali.
Esempi
significativi
sono
le
battaglie
di
Maratona
e
Salamina
(490/480
a.C.),
del
Granico
(334
a.C.),
di
Teutoburgo
(9
d.C.),
il
secondo
assedio
di
Costantinopoli
(717),
la
battaglia
di
Poitiers
(732),
di
Lechfeld
(955),
di
Lepanto
(1571),
il
fallito
sbarco
spagnolo
nelle
isole
britanniche
(1588),
la
battaglia
di
Vienna
(1683),
di
Gettysburg
(1863),
la
prima
battaglia
della
Marna
(1914)
e la
battaglia
d’Inghilterra
(1940).
In
questi
saggi
risalta,
se
non
la
parzialità
dell’autore,
la
notevole
disinvoltura
con
cui
si
fanno
discendere
conseguenze
eccessive
da
un
unico
evento,
sia
pure
storicamente
centrale.
Emblematiche
le
considerazioni
del
classicista
Victor
D.
Hanson,
che
in
What
If?
(1999)
immagina
una
vittoria
persiana
a
Salamina
e
arriva
a
concepire
la
celebre
battaglia
del
480
a.C.
come
una
«supreme
confrontation»
fra
Est
e
Ovest,
da
cui
furono
determinati
infiniti
futuri
possibili.
Non
sempre
tali
approcci
rispettano
una
regola
fondamentale
che
gli
stessi
“controfattualisti”
più
accorti
si
sono
dati:
la
cosiddetta
minimal-rewrite
rule.
In
base
a
essa,
è
auspicabile
contenere
il
più
possibile
la
portata
dei
cambiamenti,
dal
momento
che
un
solo
intervento
nella
sequenza
degli
eventi
porterebbe
a
ulteriori
mutamenti,
che
a
loro
volta
potrebbero
innescare
una
cascata
di
conseguenze
imprevedibili,
in
linea
con
la
nota
“teoria
del
caos”:
vale
a
dire,
lo
studio
attraverso
modelli
di
fisica
matematica
dei
sistemi
che
esibiscono
una
sensibilità
esponenziale
rispetto
alle
condizioni
iniziali
o,
più
chiaramente,
dei
sistemi
in
cui,
perturbando
il
dato
iniziale,
si
ottengono
comportamenti
completamente
diversi.
In
parole
povere,
la
migliore
ucronia
cambia
la
storia
il
meno
possibile.
Che
l’esito
di
una
battaglia
sia
determinante
per
gli
eventi
successivi
è
ovvio.
Tuttavia,
sostenere
che
le
premesse
di
quella
battaglia
si
trovano
in
una
lunga
catena
di
“fatti”
(come
avrebbe
detto
Leopold
von
Ranke),
dimenticando
che
alla
base
c’è
una
complessa
e
sistemica
rete
di
eventi,
processi
e
fenomeni
è,
nella
migliore
delle
ipotesi,
assai
miope:
una
data
situazione
storica
si
spiega
con
molti
preamboli.
Invero,
la
priorità
o
l’esclusività
garantite
all’evenemenziale
da
certa
counterfactual
history
lasciano
perplessi,
anche
perché
lo
stesso
concetto
di
timeline
appare
una
rischiosa
semplificazione
da
sostituire,
forse,
con
il
concetto
di
timenet.
Ma i
problemi
della
counterfactual
history
non
sono
finiti:
se
una
sua
versione
imprudente
pare
discutibile,
essa
rischia
anche
scomode
associazioni
ideologiche.
All’estremo,
una
lunga
tradizione
materialista
l’ha
esplicitamente
bollata
come
nostalgia
reazionaria
e
pericolosa
esaltazione
postmoderna.
Lo
stesso
J.
Collings
Squire
–
come
vari
intellettuali
britannici
degli
anni
Venti-Trenta
– fu
vicino
a
organizzazioni
filo-fasciste
quali
il
January
Club
e la
British
Union
of
Fascists.