N. 14 - Febbraio 2009
(XLV)
Il mito tra
Didattica e Storia
Un viaggio
allucinante
di Gennaro Tedesco
Vorrei cominciare ad affrontare questo difficile e
complesso rapporto tra Didattica e Storia a partire da
alcune considerazioni preliminari e di base scaturite
dalla predisposizione di un convegno effettivamente
svoltosi all’ex Irre-Lombardia il 16 giugno 2005
sull’argomento in questione e di un altro sullo stesso
argomento previsto nella sede dell’ex IRRSAE-Lombardia,
però, non svoltosi, in data precedente al 2005 che
avrebbe dovuto vedere la presenza e la partecipazione di
Edgar Morin.
Nella situazione attuale nelle scuole e nelle università
del Bel Paese la Didattica della Storia, malgrado
l’introduzione di notevoli innovazioni non solo
metodologiche, ma anche tecnologiche, è ancora
caratterizzata dalla prevalenza della lezione frontale.
I tentativi di integrazione delle Nuove Tecnologie
all’interno della didattica tradizionale non ne hanno
minimamente scalfito la logica unilineare,
sostanzialistica e riduttivistica.
Anche se ampiamente teorizzata, poco o nulla si pratica
una didattica della storia centrata sull’apprendimento
attivo, personalizzato e individualizzato del soggetto
con notevole riduzione dell’insegnamento diretto e della
lezione frontale in un contesto di laboratorio educativo
e formativo transazionale, d’interazione per gruppi.
Vi è assenza di apprendimento complesso e reticolare,
non lineare con flash-back, devianze, azioni,
interazioni e retroazioni.
Non meno assente è l’apprendimento della storia basato
sul gioco come motivazione e acquisizione delle
conoscenze e delle competenze, come costruzione sociale
del soggetto e dei soggetti.
L’acquisizione delle conoscenze e delle competenze non
avviene attraverso la soluzione di problemi reali e
concreti in situazione contestualizzata (problem-solving)
e carente è l’apprendimento cooperativo e collaborativo
(cooperative-learning).
Per stimolare l’interesse e sollecitare l’attenzione
degli allievi di un Biennio Superiore riformato verso la
storia antica e medievale si possono e si debbono
utilizzare le nuove tecnologie, dal computer ad
Internet, come spinta alla motivazione, alla conoscenza,
alle competenze e alla ricerca individuale e di gruppo.
Tecnologie nell’antico, nel medievale e nel presente in
interazione costante anche attraverso simulazioni
cibernetiche contro l’approccio grammaticalistico e
monotematico ai problemi della civiltà antica e
medievale.
Necessità dell’interdisciplinarità come modalità
didattica, educativa e formativa di maggiore aderenza
alla complessità della storia e del reale, pur non
raggiungendo mai, ovviamente, l’esaustavità.
Tali considerazioni preliminari e di base ampiamente e
abbondantemente sviluppate e approfondite in
www.instoria.it/home/modello_apprendimento.htm
dallo scrivente sono il punto di partenza per tentare di
far avanzare la discussione sul rapporto tra didattica e
storia, che, però, potrebbe aiutarci anche a chiarire
alcuni aspetti più generali della didattica.
Vorrei porre al centro del mio discorso simboli, miti e
riti che, in modo consapevole, sono o dovrebbero essere
gli elementi portanti di una didattica della Storia, ma
anche della didattica generale e della Scuola e
dell’Università, queste ultime come luoghi non solo
istituzionali.
Di recente per divulgare e approfondire per allievi di
un Biennio Superiore riformato lo studio della Romania e
dei Balcani mi sono servito del mito di Dracula.
Il mito draculico consente di portare al centro
dell’attenzione adolescenziale e giovanile una complessa
e avvincente simbologia e un notevole livello di
recondita e arcana ritualità.
Simboli, miti e riti draculici li consideriamo come
elementi di un linguaggio simbolico di un moderno,
cooperativo e collaborativo apprendimento, gestito e
coordinato da un interdisciplinare, transdisciplinare e
transazionale gruppo docente in un laboratorio storico
interdisciplinare appositamente concepito, allestito e
interattivamente praticato.
Studiare, riprogettare e praticare un mito incentrato su
un personaggio come Dracula tra immaginario e realtà
storica può rivelarci e aprirci la via al chiarimento di
alcune strutture profonde indispensabili per capire e
interpretare non solo il Simbolo Dracula, ma anche per
contestualizzare i suoi rapporti con la società e i suoi
fruitori.
Il modello draculico non è solo un monumento
istituzionale e floklorico perché, in quanto simbolo, si
iscrive all’interno di un linguaggio comunicativo e
attivistico, è comunicazione e azione.
Non a caso esso si è continuamente arricchito e nutrito
di contenuti, emozioni ed immagini, metafore ed analogie
in una estenuante evoluzione caleidoscopica e
mitopoietica senza limiti fino alla recente esplosione
di cd, ma soprattutto di siti e assemblaggi informatici
ed elettronici che ne moltiplicano le ibridazioni e ne
rinverdiscono il culto, accrescendone smisuratamente la
fama e garantendone una diffusione globale e
globalizzata senza precedenti.
Una saga rumena, risalente probabilmente ad epoche
storiche e preistoriche, intrecciatasi con avvenimenti
storici catalizzatisi nel Medioevo rumeno e fortemente
contaminata da influenze nordeuropee.
Questa, grossomodo, la struttura portante del simbolo,
del mito e del rito. Essa, poi, grazie al cinema, si è
ulteriormente trasformata, divenendo patrimonio
dell’immaginario universale.
Essa, comunicando e consolidando un patrimonio storico e
mitologico, possente, e comune nell’animo del contadino
rumeno, è stata sapientemente e abilmente manipolata e
interpretata dal dittatore rumeno Nicolae Ceaucescu per
agire sull’immaginario più profondo del popolo rumeno :
un sanguinario, storico e reale Dracul, contaminato da
un alone mistico e patriottico, è diventato il modello
dell’Eroe Nazionale, votato con la vita e la morte, a
difendere la patria rumena dall’Aggressione occidentale
ed orientale.
L’immaginario nazionalistico e vittimistico del
cittadino rumeno ha trovato piena e assoluta
soddisfazione e identificazione:
Dracul-Ceaucescu-Romania contro l’Aggressore Universale.
La riattualizzazione di un mito in funzione politica e
sociologica, ma anche riorientativa rieducativa, una
“innovativa” eEducazione alla cittadinanza
nazionalistica e sciovinistica, che apertamente e
chiaramente dichiara e denuncia la sua strutturazione
ideologica, un potente avvertimento ai nostrani e
“spensierati” sostenitori di un’asettica e neutrale
educazione alla cittadinanza.
Dal macrocosmo del simbolo e del mito al microcosmo
claustrofobico del nazionalismo e viceversa in un
circuito (cortocircuito) chiuso, ma transazionale e
interattivo al suo interno.
Il mito draculico non solo come asettica ed esotica
comunicazione di informazioni, ma anche come
attivizzazione di profondi processi mitopoietici,
identificativi e identitari e riconfigurazione,
rielaborazione e proiezione di nuovi atteggiamenti e
comportamenti “civici” e politici.
L’inesausta vitalità, potenzialità, trasformatività e
transazionalità del simbolismo e del ritualismo
draculico è riconfermata ai nostri giorni non solo dalle
riproposizioni e rivisitazioni cinematografiche,
teatrali ed elettroniche, ma anche dalla mitopoietica
adolescenziale e giovanile che a tutti i livelli
dell’immaginario lo pratica e lo utilizza in abbondanza.
Dai giochi non solo elettronici alle feste, dal gergo ai
siti informatici, dai ritmi sonori alle pratiche di
scrittura elettronica o meno che sia, i nostri
adolescenti e giovani sguazzano nel guazzabuglio
draco-gotico.
Non è solo una questione, pur importante, di ritrovarsi
a proprio agio in un immaginario e in una coinvolgente e
accattivante simbologia che li rende entusiasti e
goliardici.
Il “gioco” del draculismo e del gotismo adolescenziale e
giovanile è un gioco rituale in cui ci si immerge
totalmente e ci si identifica integralmente perché esso
consente alle nuove generazioni elettroniche, proprio
grazie alle potenzialità informatiche e virtuali, giochi
elettronici, simulazioni cibernetiche, realtà virtuali,
ipercomunicazione e iperaccelerazione della posta
elettronica e iperaccumulazione di siti e scambi
elettronici, di ricavarsi e di ritagliarsi uno spazio
mitopoietico, simbologico e soprattutto rituale in cui
prefigurare e allestire scenari alternativi e
“sovversivi” di transizione verso una Società, una
Scuola e una Università che si vorrebbe diversa da
quella che si vive quotidianamente.
In questo senso capire e interpretare le dinamiche
draco-gotiche, che non sono solo una effimera e
meteorica moda come qualcuno si azzarda ad affermare
ripetutamente, significa comprendere i complessi e
sottili legami che uniscono simbolismo, ritualismo,
immaginario e adolescenti-allievi e poterle, una volta
che ce ne siamo impadroniti come docenti e anche come
discenti, porre al servizio di una giovane e soprattutto
ermeneutica didattica.
Danze, canzoni, feste, mascherate, ibridazioni teatrali
ed amatoriali, simulazioni elettroniche, metabolismo
sanguinario, mito e rito della Rigenerazione e della
Vita, della Morte e della Resurrezione, Metamorfosi,
Apocalisse e Palingenesi sono morfologie di una
Simbologia sociale, adolescenziale e giovanile, che è
comunicazione e azione, che con il suo proprio
linguaggio cinetico, iconico, prossemico e gestuale,
manifesta una dinamica transalfabetica del disagio
esistenziale e della protesta politica.
Tale dinamica è al tempo stesso espressione,
identificazione, trasformazione, costruzione ed
innovazione all’interno di un linguaggio che è
comunicazione e azione, simbologia sociale e non mera e
autosufficiente ludicità e anarchismo confusionario e
inconcludente.
Internet, il cinema, la televisione, le trasformazioni
sociali, le metamorfosi delle istituzioni sociali,
l’irruenza dirompente delle tecnologie, la
globalizzazione economica e degli stili di vita, franti,
scissi, frammentari, disarticolanti, caotici e
stressanti, in una parola schizofrenici, ha prodotto la
iper-rigenerazione e iper-moltiplicazione di simbologie,
riti e miti, come quello draculico, che si collocano,
anzi, si ricollocano all’interno di un linguaggio
simbologico e sociale che non si serve più della
razionalità alfabetica, ma di una propria e originale
“razionalità” che tenta di decifrare e interpretare
quella sfera della comunicazione sociale che sta tra
quelli che normalmente e ufficialmente siamo soliti
definire i due poli opposti, o presunti tali, della
“razionalità “ verbale e dell’ “irrazionalità” emotiva.
Il simbolismo sociale e dinamico dell’immaginario
adolescenziale giovanile sembra sfuggire a questa
dilacerante e massacrante camicia di forza, che è l’
“alfabetismo” razionalistico, imposta da una società, da
una Scuola e da una Università in piena fase di
involuzione e di disgregazione.
La nascita di questo nuovo linguaggio simbolico e
sociale non è solo un fatto comunicativo di estrema
importanza senza il quale non possiamo capire e
interpretare l’universo mitopoietico dell’adolescenza e
della gioventù globalizzata.
Esso è molto di più, è la nascita di un modo di
apprendere e di un modo di percepire e guardare la
realtà che rifonda la Scuola, l’Università e la Società.
Infatti la comunicazione simbologica e sociale, nella
sua struttura essenzialmente olistica, scuote alla e
fondamenta il modo di essere a scuola.
Essa non può tollerare ambiti e contesti educativi che,
genericamente, possiamo definire “freddi”. Per poter
funzionare e dare il meglio di sé, il linguaggio
simbologico e sociale ha bisogno di contesti educativi
non solo vagamente accoglienti, ma soprattutto caldi.
Il mito e il rito di Dracul non è solo un mito e un rito
esaltante e coinvolgente per adolescenti e giovani delle
nostre Scuole Esso, in quanto simbologia sociale, è uno
di quei non molti contesti apprenditivi ed educativi in
cui gli allievi percepiscono di elidere la loro
alienazione educativa. E non solo.
Essi sperimentano anche la possibilità di liberarsi e di
svincolarsi da quel disagio sottile, insinuante e
persistente che non è solo psicologico, sociale,
politico, comunicativo e relazionale, ma è anche e
soprattutto esistenziale e metafisico, essi si liberano
dall’ansia e dall’angoscia indicibile dell’essere
gettati nel mondo, si riconciliano con l’esistenza e con
se stessi prima che con gli altri.
Il laboratorio d’apprendimento collaborativo,
cooperativo, interdisciplinare e transazionale nonché
elettronico e virtuale comincerebbe a configurarsi come
un luogo particolare, originale e specifico, si verrebbe
a costituire quasi come uno spazio teatrale, come una
zona sacra al cui interno pubblico e attori, allievi e
docenti, cesserebbero di recitare separatisticamente le
loro parti, i loro copioni per recuperare fisicamente,
metaforicamente e spiritualmente una dimensione olistica.
Non sarebbe un’operazione facile, tutt’altro, ma a chi
scrive, essa pare una delle poche possibili, se non
l’unica, per ricominciare a movimentare, rinnovare e
riattualizzare la Scuola, che negli ultimi anni,
accentuando il distacco dalla “realtà”, immaginario,
codice, linguaggio ed esperienza esistenziale e
metafisica oltre che psicologica, storica e politica
degli adolescenti e giovani, non sembra godere buona
salute e ancor meno interesse e attenzione presso i
propri principali fruitori, adolescenti e giovani non
solo italiani.
La mitopoietica draculica porterebbe al centro del
laboratorio non solo miti, riti, metafore, analogie e
altro ancora, ma anche e soprattutto le nude e crude
strutture profonde e portanti di quello che abbiamo
definito il nuovo linguaggio, situato tra la razionalità
verbale e l’irrazionale, le cui immagini metamorfiche e
dinamiche diventerebbero oggetto di peculiare e
rilevante interesse oltre che di penetrante analisi non
convenzionale.
L’analisi non convenzionale della saga draculica
solleciterebbe, stimolerebbe e incentiverebbe la
formazione di un vero e proprio, originale e
preziosissimo circolo ermeneutico, prodotto proprio
dalla esuberante inesauribilità e infinita generatività
del draculismo. E non sarebbe solo un’ermeneutica
proveniente dal dinamismo olistico dell’interazione
collaborativa e cooperativa di allievi e docenti.
Infatti la configurazione anche teatrale del laboratorio
consentirebbe di volta in volta di sperimentare ruoli e
parti diverse e, soprattutto, di assumere identità
continuamente interscambiali così da consentire a tutti
di entrare nei panni del personaggio del Principe della
Notte e di interpretarlo e, facendolo proprio, riviverlo
in tutti i modi e le modalità possibili.
Il simbolismo sociale, associato al simbolismo teatrale
e potenziato dall’olismo intrinseco alla realtà
elettronica e virtuale, immette l’allievo in una
dimensione spazio-temporale che, prima che psicologica,
è soprattutto comunicativa, esperienziale, dinamica e
metafisica.
È proprio l’abitudinaria e conformistica prassi
dell’andazzo quotidiano, senza aneliti e senza speranze,
senza prospettiva di senso e di significato, che
allontana l’allievo, sia adolescente che giovane, dalla
Scuola, dall’Università e dalla Società.
L’eventuale senso politico di un rifiuto e di una
possibile rivolta tanto adolescenziale quanto giovanile
contro la Comunità Educante è pervaso da un disagio
soprattutto esistenziale che scaturisce in parte
notevole da quella mancanza di senso, ma abbondanza di
iper-razionalismo parolaio e verbalistico che corrode le
membra, lo spirito e la mente della nostra società a una
dimensione.
All’adolescente il mito di Dracula o qualunque altro
mito possente e significativo, consente di ritrovare
quei sentimenti profondi, che trasmessi e potenziati dal
simbolismo sociale e da quello teatrale, intesi come
comunicazione e azione e non come mero psicologismo, lo
riavvicinano alla essenza naturale dell’ uomo.
La violenza, la crudeltà, la malvagità, la brutalità
insite nella saga draculica, ma non solo in essa, non
sono incentivi alla “Maleducazione”, ma sollecitazioni a
giochi profondi, a riconsiderazioni, riflessioni e
rivisitazioni delle nostre emozioni.
E queste emozioni di adolescenti e giovani non sono
contemplate nell’alfabeto razionalistico e verbalistico
della Scuola e dell’Università.
Solo il simbolismo sociale e teatrale, con le sue realtà
immaginarie e “oggettive” perché nelle cose che ci
circondano e non nella “mente” di qualcuno, suscitano il
coinvolgimento assoluto dell’allievo.
L’immersione nella crudeltà mitopoietica di Dracul o di
qualunque altro essere “mostruoso” è sprofondare nel
proprio terrore, riconoscerlo e riemergerne rinnovati, è
un ennesimo e totalizzante rito di passaggio, è
riscoprire il significato di un linguaggio solo
apparentemente interiore, ma profondamente incarnato
nelle “esteriori” simbologie sociali e teatrali,
irriducibili alla gabbia del verbalismo razionalistico e
del generico e superficiale paniconismo psicologistico e
mass-mediologico.
Il riconoscimento delle proprie paure attraverso la
brutalità draculica è il riconoscimento di un mondo che
va al di là della pura fisicità, in questo senso, in
questa direzione e in questa dimensione è pura
metafisica, una metafisica delle emozioni riconducibili
al linguaggio del simbolismo sociale e teatrale, ma non
riducibili ed esauribili in esso.
La potenza e la radicalità del mito e del suo alfabeto,
posseduto da adolescenti e giovani, sta proprio nella
sua inesauribilità interpretativa, ma soprattutto
esistenziale e metafisica, nel riuscire ad attrarre e
captare, trasformandole, latenze primordiali.
Il mito contribuisce non solo all’estrinsecazione di
nuove forme di apprendimento e comprensione, ma
soprattutto, attraverso il suo incarnato simbolismo
sociale e teatrale, al superamento di quel senso di
mancanza, di carenza, di assenza, che contraddistingue
le nuove generazioni globalizzate, attraversate e
profondamente lacerate dall’ansia e dall’angoscia
dell’essere gettati nel mondo e spinte dalla propria
solitudine e separatezza esistenziale alla continua,
perenne e sacrosanta ricerca di senso e significato e di
una assoluta quanto altrettanto mitica e metafisica
Comunità assoluta a cui ricongiungersi.
Riferimenti bibliografici:
C.Geertz, Antropologia interpretativa, Bologna,
2006
J.Bruner, La Cultura dell’Educazione, Milano,
2002
A.Calvani, M.Rotta, Comunicazione e Apprendimento in
Internet, Trento, 2001
L.Vygotskij, Pensiero e Linguaggio, Firenze, 2007
P.Watzlawick, La realtà inventata, Milano, 2008
V.Turner, Dal rito al teatro, Bologna, 2007
A.Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino,
2006.
|