N. 39 - Marzo 2011
(LXX)
TRA DESTRA E SINISTRA
EVOLUZIONE E VALIDITÀ DI UNA DICOTOMIA POLITICA
di Benedetta Rinaldi
“Che
cos’è
la
Destra,
che
cos’è
la
Sinistra?”
cantava
Gaber
con
ironia
tagliente.
E la
domanda
sembra
oggi
più
attuale
che
mai,
senza
trovare
per
altro
una
risposta
definitiva
nel
mondo
delle
scienze
politiche.
Cosa
intendiamo
oggi
quando
parliamo
di
Destra
e
Sinistra?
Questi
due
termini
nascono
all’indomani
della
Rivoluzione
Francese,
quando
nelle
prime
riunioni
del
parlamento
a
sinistra
prendevano
posto
gli
esponenti
della
corrente
più
rivoluzionaria
e a
destra
invece
si
sedevano
i
componenti
dei
partiti
filo
monarchici.
Al
centro
trovavano
collocazione
invece
coloro
che
con
spregio
venivano
definiti
i
membri
della
“palude”,
in
quanto
la
loro
posizione
circa
le
linee
da
seguire
all’indomani
della
Rivoluzione
erano
ancora
mutevoli
e
poco
chiare.
Se
con
la
Rivoluzione
Francese
i
termini
di
destra
e
sinistra
fanno
la
loro
comparsa
per
la
prima
volta
sulla
scena
politica,
configurandosi
da
subito
come
elementi
essenziali
della
democrazia
con
cui
vedono
la
luce,
con
gli
anni
i
significati
dei
due
termini
si
arricchiscono
di
connotazioni.
Nel
1848
viene
pubblicato
il
“Manifesto
del
Partito
Comunista”
di
Marx,
libro
che
condizionerà
la
storia
del
secolo
e
mezzo
successivo
e
nel
bene
o
nel
male
finirà
con
l’influenzare
la
definizione
degli
ideali
di
sinistra
e
per
opposizione
anche
quelli
di
destra.
Il
Novecento
si
apre
con
la
Rivoluzione
Russa
e
sul
continente
europeo
nell’arco
di
due
decenni
si
configura
l’era
dei
totalitarismi.
Il
dramma
della
Seconda
Guerra
Mondiale
rinnova
l’adesione
della
popolazione
europea
alla
democrazia
da
cui
aveva
preso
le
distanze:
si
riafferma
nei
cuori
dei
cittadini
il
valore
della
libertà
e
l’importanza
delle
scelte
individuali
in
campo
politico.
Sconfitti
i
fascismi,
si
inaugura
l’era
delle
grandi
ideologie.
Da
un
lato
il
capitalismo
americano,
dall’altro
il
comunismo
sovietico,
di
cui
ancora
non
si
conoscono
appieno
le
tragiche
somiglianze
con
le
dittature
appena
vinte.
Nel
blocco
occidentale,
unico
scenario
realmente
rispondente
al
modello
di
democrazia
liberale,
il
bipolarismo
si
accentua
e la
dicotomia
destra-sinistra
è
sempre
più
forte.
Dal
dopoguerra
fino
alla
caduta
del
muro
di
Berlino,
destra
e
sinistra
hanno
dei
significati
chiari
e
definiti.
Parlare
di
Sinistra
vuol
dire
riferirsi
a
valori
come
rivoluzione,
progresso,
giustizia
sociale,
emancipazione
delle
minoranze.
Citare
la
Destra
è
all’opposto
sottintendere
valori
come
la
meritocrazia,
il
conservatorismo,
l’adesione
alla
tradizione,
il
pragmatismo.
Con
la
caduta
delle
ideologie
i
termini
destra
e
sinistra
hanno
in
parte
perso
la
forza
del
loro
significato.
In
qualche
modo
da
termini
di
contenuto
sono
diventati
dei
contenitori
da
riempire
con
valori
adeguati
al
presente
in
cui
viviamo.
Ed è
in
questo
contesto
che
si
fa
largo
un
nuovo
quesito:
ha
ancora
senso
parlare
di
destra
e
sinistra
oggi?La
domanda
finisce
per
aprire
un
nuovo
terreno
di
scontro
accademico
tra
politologi
di
destra
e
politologi
di
sinistra.
Per
i
pensatori
di
sinistra,
la
dicotomia,
pur
avendo
subito
una
trasformazione
strutturale,
resta
valida.
Se
infatti
da
un
lato
la
fine
del
bipolarismo
mondiale
ha
portato
come
conseguenza
una
certa
contaminazione
di
valori
tra
destra
e
sinistra
“tradizionali”-
portando
per
esempio
la
destra
ad
accettare
una
seppur
minima
partecipazione
dello
Stato
nell’organizzazione
economica
del
Paese,
in
particolare
nel
settore
del
Welfare
(epocale
in
questo
senso
il
passo
compiuto
dagli
Stati
Uniti
d’America
con
la
decisione
di
assicurare
l’assistenza
medica
a
tutti
i
cittadini)
-
vero
è
che
su
determinati
valori
restano
immutate
le
visioni
opposte
tra
esponenti
di
destra
ed
esponenti
di
sinistra.
Ne
sono
un
esempio
i
concetti
opposti
di
disuguaglianza
sociale
e
disuguaglianza
naturale,
strettamente
legati
per
altro
alla
dicotomia
egualitarismo/
meritocrazia.
Ma
anche
il
valore
che
la
tradizione
ancora
rappresenta
per
i
partiti
di
destra,
in
opposizione
all’accento
posto
dagli
esponenti
di
sinistra
sull’idea
di
emancipazione.
Ancora,
la
destra
punta
su
un’idea
risolutiva
del
“fare”,
cercando
di
smarcarsi
dall’importanza
attribuita
dalla
sinistra
alla
“progettualità”.
Secondo
illustri
filosofi,
tra
cui
Bobbio,
questi
opposti
finiscono
per
essere
il
significante
della
dicotomia
destra-sinistra
che
dunque,
supportata
dalle
reali
implicazioni
che
i
temi
sopracitati
ancora
avrebbero
sullo
scenario
politico,
resta
valido
strumento
per
la
comprensione
della
sfida
democratica
tra
i
partiti.
Diversamente
la
pensano
i
principali
politologi
della
destra,
che
in
primo
luogo
ritengono
la
difesa
della
dicotomia
destra-sinistra
una
battaglia
della
sinistra
per
mantenere
una
rendita
di
posizione
politica.
La
ragione
di
tale
conclusione
sarebbe
data
dal
fatto
che
i
due
termini
che
compongono
la
diade
si
presenterebbero,
nella
visione
dominante
per
l’opinione
pubblica,
come
fortemente
diseguali
e
squilibrati.
Se
davvero
destra
e
sinistra
singolarmente
sono
privi
di
contenuto
ma
rappresentano
solo
dei
contenitori
all’interno
dei
quali
può
essere
inserito
qualunque
tipo
di
valore
diffuso
e
accettato
collettivamente,
non
esiste
allora
alcuna
ragione,
secondo
questa
corrente
di
pensiero,
per
cui
la
dicotomia
non
possa
essere
rimpiazzata
da
una
nuova
coppia
di
termini
che
suggeriscano
in
maniera
più
attuale
e
immediata
i
concetti
a
cui
si
riferiscono.
Nascono
così
le
proposte
di
basare,
per
esempio,
la
sfida
politica
sulle
categorie
di
Comunitari
e
Liberal.
Ma
numerose
altre
sono
le
alternative
proposte:
locale/globale,
Occidente/Terzo
Mondo,
populismo/new
class,
centro/periferia,
inclusione/esclusione,
politica/anti-politica,
particolarismo/universalismo,
individualismo/organicismo,
statalismo/anti-statalismo,
moderno/anti-moderno.
Tutte
categorie
che,
secondo
chi
le
propone,
hanno
la
capacità
di
attraversare
trasversalmente
le
tradizionali
famiglie
politiche,
potendo
così
venire
a
creare
inedite
forme
di
confronto
o
conflitto
politico,
non
più
riconducibili
al
consueto
schema
della
politica
parlamentare.
Altro
punto
su
cui
la
dicotomia
destra/
sinistra
appare
criticabile
è lo
sviluppo
esponenziale
di
movimenti
trasversali
a-politici
o
pre-politici.
Ne
sono
un
esempio
i
partiti
ecologisti,
i
diversi
movimenti
indipendentisti
e
autonomistici,
i
movimenti
che
si
ispirano
al
populismo,
per
non
parlare
delle
varie
specie
di
integralismo
politico-religioso
sempre
più
diffuse
nel
mondo.
Che
posizione
dare
a
questi
grandi
centri
propulsori
di
idee
e
azioni
nel
panorama
politico
tradizionale?
Sono
di
destra
o di
sinistra?
Basta
etichettarli
come
extra-parlamentari
per
risolvere
il
quesito?
La
crisi
politica
che
il
mondo
Occidentale
sta
vivendo
è
lampante
ed è
quindi
certamente
utile
e
fecondo
interrogarsi
su
quali
possano
esserne
le
cause,
anche
a
partire
dalle
categorie
politiche
che
fino
a
oggi
hanno
contraddistinto
il
panorama
politico
internazionale.
Ma
forse
ciò
che
davvero
manca
alla
politica
attuale
non
è un
valido
nome
per
la
dicotomia
all’interno
della
quale
si
sviluppa
il
confronto
democratico.
Quello
che
spaventa
e
crea
una
sempre
più
grave
disaffezione
e
distanza
dei
cittadini
dalla
politica
è
probabilmente
il
fatto
che,
indipendentemente
da
come
si
vogliano
chiamare
le
categorie
politiche,
queste
restano
sempre
e
solo
dei
contenitori.
E
che
i
contenuti
sembrano
tuttora
mancare.
In
un’era
dominata
dalla
velocità,
dalla
possibilità
di
proporre
e
diffondere
punti
di
vista
rapidamente
e
ovunque,
in
un
mondo
caratterizzato
sempre
più
dal
pluralismo,
le
idee
sembrano
le
vere
grandi
assenti
sul
panorama
politico.
Nonostante
l’incalzare
del
progresso
tecnologico
e
dei
cambiamenti
di
costume,
la
politica
non
sembra
in
grado
di
accogliere
e
fare
proprie
le
innumerevoli
correnti
ideologiche
che
attraversano
la
società,
restando
ancorata
a
retoriche
antiquate
e
sempre
più
lontane
dalla
società
reale
e
dalle
sue
esigenze.
Così
come
la
libertà
di
scelta
delle
prime
democrazie
del
Novecento
ha
in
qualche
modo
colto
impreparata
la
maggioranza
della
popolazione,
che
paralizzata
ha
non-scelto
rifugiandosi
nelle
certezze
promesse
dalle
dittature,
così
sembra
che
la
pluralità
di
pensiero
e
gli
orizzonti
possibili
di
una
società
multietnica
abbiano
messo
all’angolo
l’intraprendenza
e la
volontà
di
adeguarsi
alla
contemporaneità,
tenendo
destra
e
sinistra
anacronisticamente
zavorrate
a un
passato
che
non
solo
non
c’è
più,
ma
di
cui
non
si
cerca
neppure
di
comprendere
le
dinamiche.
Difficile
dire
se
destra
e
sinistra
siano
termini
esaustivi
oggi.
Certamente,
la
scena
politica
attuale
non
sembra
essere
ancora
stata
in
grado
di
rimpiazzarli,
anche
se
la
confusione
circa
le
scelte
ideologiche
che
stanno
alla
base
dell’una
o
dell’altra
restano.
Soprattutto,
resta
la
difficoltà
per
gli
elettori
di
comprendere
quali
differenze
la
scelta
dell’una
o
dell’altra
parte
comporterebbero
sulla
Realpolitik
dei
propri
paesi,
specie
in
un
periodo
di
crisi
economica
come
quello
che
il
mondo
occidentale
si
trova
ad
affrontare
in
questo
momento.
Riferimenti
bibliografici:
Adler
et
alii,
Destra
e
sinistra:
storia
e
fenomenologia
di
una
dicotomia
politica,
a
cura
di
Alessandro
Campi
e
Ambrogio
Santambrogio,
Roma,
Pellicani,
1997
Bobbio,
Norberto,
Destra
e
sinistra
–
ragioni
e
significati
di
una
distinzione
politica,
quarta
edizione,
Roma,
Donzelli,
2004
Cofrancesco,
Dino,
Destra
e
sinistra:
per
un
uso
critico
dei
due
termini-chiave,
Verona,
Bertani,
1984
Gauchet,
Marcel,
Storia
di
una
dicotomia:
la
destra
e la
sinistra,
traduzione
dal
francese
di
Andrea
Michler,
Milano,
Anabasi,
1994
Santambrogio,
Ambrogio,
Destra
e
sinistra
–
un’analisi
sociologica,
Bari,
Laterza,
1998
Veneziani,
Marcello,
Comunitari
o
liberal
– la
prossima
alternativa?,
Bari,
Laterza,
1999
Veneziani,
Marcello,
Sinistra
e
destra
–
risposta
a
Norberto
Bobbio,
Firenze,
Vallecchi,
1995