contemporanea
1939-1941
LA FOLLIA NAZISTA NEI DIARI DI JOSEPH
GOEBBELS / PARTE III
di Francesco Cappellani
1941, primo semestre
L’esercito tedesco dilaga nei Balcani e
in Grecia. Nel frattempo iniziano i
preparativi segretissimi per l’invasione
della Russia, che inizierà in giugno. La
folle guerra a est contro Stalin
contribuirà in modo determinante alla
sconfitta della Germania e alla tragica
fine del nazismo e delle sue mire per
una totale egemonia sull’Europa.
Scrive Fred Taylor che, con l’invasione
della Russia, Goebbels può “riprendere
la sua vecchia parte di agitatore
anticomunista, chiamando alle armi la
Germania contro il Pericolo Rosso”.
Ma Goebbels è anche impegnatissimo a
seguire in ogni dettaglio le varie
campagne in corso nell’Europa
Sud-orientale e nell’Africa del Nord, a
registrare le incursioni aeree degli
alleati sempre più frequenti e
devastanti, nonché, incredibilmente, a
sorvegliare gli intrighi tra i capi
nazisti per ottenere le posizioni
migliori nell’Impero Mondiale dopo la
sicura vittoria alla fine della guerra!
I primi mesi del 1941 sono relativamente
tranquilli a parte i pesanti
bombardamenti tra cui quello su Genova
del 10 febbraio: «Gli italiani
denunziano 72 morti, e gli Inglesi
sostengono di avere scaricato sul porto
300 tonnellate di esplosivo (…) Sembra
che gli italiani siano in una situazione
di completo caos (…) I fronti sono
stabili in Albania. Ma in Africa le cose
sembrano molto inquietanti».
Il 13
febbraio annota: «In
Abissinia, la situazione sta diventando
molto grave per Roma, e in Libia è
piuttosto catastrofica (…) I rapporti
dall’Italia parlano del più nero
disfattismo (…) Ciano è assolutamente
finito, e la popolarità del Duce si
avvicina al livello zero (…) Dovremo
presto entrare in azione o l’Italia
finirà nel niente».
E il giorno dopo aggiunge: «Il Duce
commette un’infinità di errori
psicologici, anche nella sua vita
privata. Agli occhi della gente comune,
Ciano è un demonio. E dev’essere
incredibilmente corrotto».
Goebbels si interessa di tutto, il 15
febbraio scrive: «Il professor Auler
mi informa sulle condizioni della
moderna ricerca sul cancro. In questo
campo sono stati fatti enormi progressi.
Veri miracoli (…) Gli metto a
disposizione 100.000 marchi». Il 22
febbraio scrive che il generale Rommel è
arrivato a Tripoli e Mussolini gli ha
dato pieni poteri esonerando Graziani
dal comando. Registra che negli USA “l’umore
tende verso la guerra in una maniera
ancora più radicale. Adesso se ne parla
apertamente anche ai livelli più alti”.
Il 26 febbraio annota: «Magda mi
scrive una lunga lettera molto
affettuosa (…). In questo periodo è
molto tenera e dolce. Un bene per me».
Intanto nell’Olanda occupata vi sono
dimostrazioni antitedesche: «Seyss-Inquart
è troppo esitante nelle sue reazioni. La
solita storia: non è un vero nazista!».
Il giorno
dopo viene proclamata ad Amsterdam la
legge marziale; per Goebbels bisogna
colpire gli Olandesi nei loro portafogli
e nelle loro comodità: «Suggerisco
un’ammenda di 50 milioni di fiorini oro
(…) Ma Seyss ha abbastanza carattere?».
La situazione peggiora: «Ad
Amsterdam siamo costretti a sparare per
uccidere. 78 morti (…) Gli ebrei sono
alla testa dell’opposizione. Mi
piacerebbe poter mettere le mani su di
loro».
Scrive che alle città olandesi di
Amsterdam e Hilversum “sono state
imposte altissime penali finanziarie.
Questo raffredderà presto i loro ardori”.
Il 5 marzo annota: «Noi bombardiamo
pesantemente l’Africa. I nostri amici
dell’Asse si ritirano ulteriormente
nella Somalia italiana. L’occupazione
della Bulgaria si è conclusa senza
problemi». Il 7 marzo interviene
contro l’ambiente della moda “perché
reclamizza abiti che richiedono una
quantità eccessiva di stoffa, proprio di
questi tempi!” e poi discute di
musica dicendo che Richard Strauss è
davvero avido di denaro “ma la musica
la sa scrivere”.
L’8 marzo la situazione in Olanda è
ritornata alla normalità: «Ad
Amsterdam c’è stata anche una massa di
condanne a morte. Io sono favorevole
all’impiccagione per gli ebrei. Devono
imparare la lezione, quelli».
L’11 marzo scrive: «La gente si lagna
della qualità sempre più sfrenata della
nostra musica da ballo. Prendo immediate
contromisure», prosegue dicendo che
il Führer ha permesso i matrimoni tra
donne danesi, olandesi, norvegesi e
ufficiali tedeschi. «È giusto ed è
anche un esperimento politico». Il
12 marzo: «Ieri bombardata Colonia
(…) Traccio nuove direttive per
combattere gli incendi durante le
incursioni (…) Non più stare seduti in
rifugio lasciando che le nostre case
brucino. Troppo facile, per dirla chiara».
Il 14 marzo: «Ieri: da 8 anni sono
ministro. Che periodo, quante gioie e
quanto lavoro! Ma quale percorso verso
la sommità! Sono molto grato al destino»
Il 17 marzo: «Il Führer fa un
discorso magnifico. Fede assoluta nella
vittoria, anche contro gli USA. Questo
farà grande scalpore. Ormai egli ammette
di non essere più assolutamente sicuro
che questo sarà l’ultimo inverno di
guerra». Il 22 marzo «Thomas Mann
ha lanciato un appello al popolo
tedesco. Vecchio trombone! (…) Parlo con
il capo della Propaganda Norvegese. Un
uomo molto intelligente, per essere un
Norvegese. Il movimento di Quisling è in
crescita. Ma la Norvegia è ancora molto
favorevole agli Inglesi».
Il 30 marzo annota: «Ho depositato i
miei diari, 20 grossi volumi, nella
camera blindata sotterranea della
Reichsbank. Sono troppo preziosi perché
si possa rischiare che cadano vittime di
qualche incursione aerea. Offrono un
quadro della mia intera vita e dei
nostri tempi. Se il destino mi concederà
qualche anno da dedicare a questo
compito, intendo pubblicarli
nell’interesse delle generazioni future.
E potrebbero avere anche una certa
utilità per il mondo in generale».
Ma ritorna a pensare alla guerra: «L’operazione
contro la Grecia, preparata da tanto
tempo, deve incominciare il 7 aprile (…)
Noi avanzeremo verso Salonicco, poi i
soldati di Leeb faranno una conversione
a destra e la Iugoslavia sarà attaccata
da tutte le parti (…) Il grande piano
viene dopo: contro R».
Questo è il primo prudente riferimento
all’attacco all’Unione sovietica, che
verrà camuffato e tenuto nascosto,
spostando fittiziamente truppe verso
occidente: «Noi devieremo i sospetti,
indirizzandoli verso ogni sorta di
posti, tranne che verso l’Oriente. Si
sta preparando una finta invasione
dell’Inghilterra, ma quando i tempi
saranno maturi, tutto verrà cambiato in
un lampo e l’attacco incomincerà (…) Con
questo, le questioni dell’Est e dei
Balcani saranno definitivamente risolte.
Il progetto, nel suo insieme, presenta
qualche problema di carattere
psicologico. Paragoni con Napoleone,
eccetera. Ma noi li supereremo presto
per mezzo dell’antibolscevismo (…). Noi
siamo sulla soglia di grandi vittorie”.
Ma quando sulla Wehrmacht
incomberà l’implacabile inverno russo,
l’ottimismo di Goebbels comincerà a
vacillare.
Il 1⁰
aprile si trova col Führer: «Il
problema della Iugoslavia. Egli aspetta
semplicemente la sua ora, che verrà
presto. Allora agirà. Parole dure per
l’Italia. Gli Italiani non si sono
preparati affatto per questa guerra, ma
si sono limitati a fare andare la bocca.
”Otto milioni di baionette”, un concetto
che, in ogni modo, è privo di valore
nell’epoca dei carri armati».
Anche il generalissimo Franco non si
salva dalle critiche di Goebbels: «Un
pavone vanitoso e senza cervello».
Il 3 aprile scrive: «La Iugoslavia
sarà attaccata contemporaneamente dalla
Bulgaria e dall’Ungheria. Lo Stato sarà
smembrato, l’Italia avrà la costa, la
Bulgaria avrà la Macedonia e il nostro
Gau Ostmark (l’Austria) riprenderà le
province che un tempo appartenevano
all’Austria». Intanto conia uno
slogan da usare in Gran Bretagna a
proposito degli USA: «Gli Usa
combatteranno fino all’ultimo Inglese».
Il 6 aprile scrive: «Le cose vanno
molto male in Abissinia. Ora gli
Italiani hanno autoaffondato quattro
delle loro cacciatorpediniere».
L’attacco nei Balcani iniziato il 7
aprile con un bombardamento su Belgrado
con 300 aeroplani è seguito la notte
successiva da “un’altra massiccia
incursione, con bombe ad alto potenziale
esplosivo e incendiarie. Faremo uscire
con il fumo i cospiratori serbi dalle
loro tane”.
L’offensiva va avanti secondo i piani e
intanto Goebbels attacca i cronisti
della radio americana, a Berlino, che si
dimostrano impudenti: «Io faccio dare
loro un serio avvertimento, e intendo
cacciarli via, se non si correggono«.
Poi proibisce il ballo, perché “non è
conveniente durante un’offensiva”.
Belgrado continua a essere bombardata
mentre, spezzata la linea fortificata
greca, le truppe tedesche marciano verso
Salonicco. Ma “i Greci si battono con
grande coraggio. Proibisco ai giornali
di denigrarli”. Anche il Führer “ammira
il coraggio dei Greci e gli duole dover
combattere contro di loro (…) Il Führer
è un uomo in armonia con l’antichità.
Odia il cristianesimo, perché ha
mutilato tutto quanto è nobile
nell’umanità (…) Che differenza tra il
benevolo e sorridente Zeus e il Cristo
crocifisso e distrutto dal dolore. Anche
l’idea di Dio, nei popoli antichi, era
molto più nobile e più umana di quella
dei cristiani. Quanta diversità tra una
tetra cattedrale e un tempio antico,
luminoso e arieggiato (…) Il Führer non
può stabilire un rapporto con la
mentalità gotica. Detesta la malinconia
e il cupo misticismo. Vuole chiarezza,
luce, bellezza (…) In tal senso il
Führer è un uomo completamente moderno”.
Goebbels è quasi spaventato dal suo
superattivismo: «Un uragano di lavoro
infuria intorno a me, in ufficio e in
casa. In questo periodo sto alla
scrivania dalle 16 alle 18 ore al
giorno. Sono così stanco che potrei
crollare. Ma ne vale la pena». In
effetti pensa di vivere e di partecipare
da protagonista a un evento storico
eccezionale.
Proseguono i bombardamenti alleati e
questa volta a farne le spese è l’Opera
di Stato di Berlino e anche l’Università
e la Biblioteca di Stato. La conquista
della Iugoslavia procede a passo spedito
mentre Rommel avanza in Africa del nord:
«La sua avanzata precipitosa può
quasi mettere in ansia». Belgrado e
la Iugoslavia capitolano, “I resti
dell’esercito iugoslavo si sono arresi
incondizionatamente”, e Goebbels si
concede in Olanda l’acquisto di “qualche
stupendo quadro di Van Dyck”.
Il 18 aprile scrive: «Noi compiamo la
più grande incursione effettuata finora
su Londra, con 650 bombardieri, mille
tonnellate di esplosivo ad alto
potenziale e 50.000 tonnellate di bombe
incendiarie. Come rappresaglia al
Quartiere Culturale di Berlino».
Commenta la campagna d’Africa: «I
Tommy si difendono come leoni. Essi
stanno già ritirando truppe dall’Africa
orientale, che noi dobbiamo dare per
persa». La situazione in Ungheria lo
preoccupa: «Horthy è un vero magiaro,
vale a dire un intrigante e ipocrita.
Gli ungheresi (…) sono maestri nel
tradimento». 21 aprile: «Ieri
compleanno del Fuhrer. La città è un
mare di bandiere (…) Dio voglia
preservare il Führer per molto tempo
ancora. Così possiamo essere certi della
vittoria». Poi si distende
ascoltando al teatro dell’Opera “Un
ballo in maschera” con Beniamino Gigli:
«Il pubblico impazzisce (…) Che
meraviglioso e raro piacere!».
Il 22 aprile scrive: «Articolo sulla
Pravda: i Russi non hanno nulla contro
la Germania. Mosca vuole la pace
eccetera. Stalin ha fiutato quello che
bolle in pentola ed agita il ramoscello
d’ulivo. Questo è indice della nostra
forza attuale». Intanto in Grecia il
fronte, malgrado l’aiuto degli inglesi,
sta crollando con la resa ai tedeschi
delle armate dell’Epiro e della
Macedonia. «Rapporto dall’Italia: là
tentano di rubacchiare i nostri successi
e di trasformare le nostre vittorie in
loro. C’era da aspettarselo. Ma il mondo
non nutre che disprezzo per l’Italia».
Il 25 aprile: «Esamino con Speer i
suoi nuovi modelli per la ricostruzione
di Berlino (…) Incomparabilmente
monumentali. Il Führer erigerà un
monumento commemorativo di se stesso in
pietra». Poi annota: «Il Duca
d’Aosta combatte ancora in Abissinia. Un
individuo coraggioso».
Il 28 aprile: «Entriamo in Atene (…)
La nostra bandiera sventola sopra
l’Acropoli. Orgogliosa sensazione di
trionfo. Gli inglesi sono in fuga”.
La stagione d’opera italiana a Berlino
termina col Falstaff: «Magda ne è
rimasta incantata (…) Almeno in questo
campo, gli Italiani sono riusciti a fare
qualcosa». Il giorno dopo discute
col Führer sul Vaticano e il
Cristianesimo: «Il Führer è un feroce
oppositore di tutte quelle ipocrisie, ma
mi proibisce di abbandonare la Chiesa.
Per ragioni tattiche. E così sono ormai
10 anni che pago le mie tasse alla
Chiesa, per sostenere quelle
scempiaggini. È questo che fa più male».
La situazione alimentare comincia a
farsi critica: «Dal 2 giugno la
razione di carne dovrà essere ridotta a
100 grammi alla settimana (…) Se dovremo
passare un altro inverno di guerra,
consumeremo tutte le ultime riserve di
pane (…) la nostra condizione non è
certo rosea. Ora, mi trovo di fronte al
problema di come presentarla alla
popolazione». Poi medita
sull’attacco alla Russia: «L’intera
struttura del bolscevismo crollerà come
un castello di carta. E forse scopriremo
che i nostri soldati, là, saranno
accolti bene».
Nota in seguito che il duca di Windsor,
che notoriamente aveva simpatia per
Hitler: «ha concesso un’intervista a
una rivista americana nella quale nega
in tutta franchezza ogni possibilità di
una vittoria britannica». Il 4
maggio scrive: «Gli italiani si fanno
sempre più impudenti nelle loro
esigenze: l’intera Dalmazia, sovranità
sulla Grecia e sulla Croazia e anche sul
Montenegro. Il loro comportamento è più
che spregevole. E già insegnano nelle
loro scuole che l’Italia ha sconfitto la
Francia!». Il 5 maggio legge
D’Annunzio: «Ma in tempi come questi,
non si può trovare piacere a leggerlo.
Uno spaccone vanitoso, tronfio e senza
tatto!».
L’8 maggio esamina il rapporto sul
morale della popolazione: «Molti
desiderano la pace. Essi considerano
ogni nuova impresa come un’estensione, e
quindi un prolungamento della guerra.
Dovremo presentare gli argomenti adatti
e seguitare a mettere in evidenza il
significato universale di questa guerra».
Il 13 maggio: «La sera, arrivano
notizie terrificanti: Hess, a dispetto
degli ordini del Führer, è partito con
un aeroplano ed è disperso da sabato (…)
I suoi aiutanti, gli unici ad essere al
corrente delle sue intenzioni, sono
stati arrestati per ordine del Führer.
La dichiarazione del Führer spiega il
gesto con forme di fissazioni, una
specie di pazzia connessa a illusori
sondaggi di pace». La faccenda,
commenta Goebbels, sarà difficile da
chiarire e comunque avrà un impatto
enorme in tutto il mondo: «Il Führer
è proprio sconvolto».
Il 14 maggio: «Finalmente una
certezza. Hess è atterrato in Scozia con
un paracadute. Ha lasciato che il suo
aeroplano si fracassasse e si è lussato
una caviglia nella caduta. Poi è stato
trovato da un agricoltore e in seguito
arrestato dalla Home Guard. Una
tragicommedia (…) Silenzio assoluto, per
intanto. Ignorare tutte le dicerie. Il
Führer mi aspetta. Leggo le lettere che
Hess ha lasciato per lui: assolutamente
confuse, dilettantismo da scolaretto».
Dice che voleva convincere gli inglesi
della loro disperata situazione, «rovesciare
il governo di Churchill con l’aiuto di
Lord Hamilton, in Scozia, e poi
concludere una pace che salvasse la
faccia di Londra. Sfortunatamente non ha
capito che Churchill l’avrebbe fatto
arrestare subito (…) Le sue lettere sono
cosparse di teorie di occultismo mal
digerite. Il professor Haushofer e la
moglie di Hess sono stati la mente
diabolica in tutta questa faccenda (…)
Mi piacerebbe bastonare di santa ragione
quella sua moglie, i suoi aiutanti e i
suoi dottori (…) Pubblichiamo una nuova
dichiarazione: bisogna attribuire la
colpa del caso alle fissazioni mentali
(…) La gente si domanda, e a ragione,
come mai uno stupido come questo potesse
essere il vice del Führer».
Il 15 maggio aggiunge: «Il caso Hess
ha causato danni spaventosi. In patria,
secondo il rapporto dell’SD e altre
indagini, il tracollo è completo. Il
pubblico, semplicemente, non riesce a
capire cosa è successo (…) All’estero
l’effetto è indescrivibile (…). Io
soffro acutamente per la vergogna del
caso Hess (…) La sua ingenuità infantile
ci sta provocando un danno incalcolabile».
Il 16 maggio: «Emano un ordine deciso
contro l’occultismo, la chiaroveggenza,
eccetera. Queste oscure sciocchezze
saranno eliminate una volta per sempre
(…) La faccenda Hess deve essere
soffocata dal silenzio, non si deve
seguitare a parlarne».
Il 19 maggio annota: «Il duca di
Spoleto è stato proclamato re di
Croazia, a Roma. Poveri Croati! (…)
Intanto in Africa, intorno a Tobruk,
infuria una vera e propria guerra di
trincea (…) In Abissinia il dramma sta
per finire. Il duca d’Aosta è costretto
ad arrendersi».
Proseguono accaniti combattimenti per
scacciare gli inglesi da Creta.
Bombardamenti aerei e navali e più di
15.000 uomini della Wehrmacht con
armamenti pesanti sono sbarcati
sull’isola. Il 24 maggio Goebbels
ragiona con convinta sicurezza sul
futuro assetto della Russia dopo
l’occupazione tedesca: «La Russia
sarà divisa nelle parti che la
costituiscono (…) Noi non tollereremo
più un immenso monolito nell’Est (…) Il
bolscevismo diventerà una cosa del
passato. Così noi avremo adempiuto il
nostro grande dovere verso la storia».
Goebbels si felicita per “il
grandioso inganno” per quanto
riguarda l’invasione della Russia “le
notizie fasulle e le informazioni false
in circolazione sono talmente tante, che
all’estero non hanno più un’idea di
quello che sia inventato e quello che
sia vero”.
Il 27 maggio viene affondata dalla Royal
Navy la corazzata Bismarck, e Goebbels,
per distogliere l’attenzione, annuncia
che la situazione a Creta si sta
volgendo a favore dei tedeschi. Intanto
scrive: «sembra che Stalin, a poco a
poco, veda la luce. Ma, per il resto del
tempo sta lì a guardare fisso, come un
coniglio davanti al serpente».
Inizia l’Operazione Barbarossa,
designazione ufficiale dell’invasione
della Russia: «Ora dobbiamo occuparci
del primo grande inganno. L’intero Stato
e la macchina militare vengono
mobilitati (…) 14 divisioni saranno
trasportate verso l’Occidente. Il tema
dell’invasione dell’Inghilterra verrà
portato lentamente in primo piano».
Il 2 giugno Creta è conquistata e
Goebbels scrive: «Mi sento
assolutamente felice e contento di
essere al mondo». Il 4 giugno: «Direttive
per la propaganda indirizzata verso la
Russia: niente antisocialismo, né
ritorno dello zarismo, nessuna aperta
ammissione del piano di dividere il
paese (…) Attacchi contro Stalin e i
suoi padroni ebrei (…). Serie accuse al
bolscevismo e ai suoi fallimenti in ogni
campo (…) La nostra campagna d’inganno
funziona perfettamente. Il mondo intero
parla della futura alleanza tra Berlino
e Mosca». Ma in realtà Stalin inizia
a mettere al corrente le masse della
gravità della situazione, e di questo
Goebbels è ben consapevole.
L’8 giugno scrive: «La Russia
asiatica non è presa in considerazione.
Noi ci interessiamo soltanto delle sue
parti europee». Poi ha un momento
d’entusiasmo: «Ho acquistato un
meraviglioso Goya da una collezione
privata francese. Un capolavoro!».
L’11 giugno riferisce di un discorso del
Duce alla Camera: «Mussolini è
piuttosto generoso nell’attribuire a se
stesso le nostre imprese militari».
L’argomento Russia torna in evidenza: «Il
Times ha pubblicato un articolo molto
sospettoso in proposito e in realtà
abbastanza esatto (…) Le cose stanno
andando ancora bene. Ma non riusciremo a
continuare ancora a lungo con l’inganno».
Nel frattempo: «Tutti gli astrologhi,
gli antroposofi, i cultori del
magnetismo eccetera, sono stati
arrestati e ogni loro attività vietata
(…) Abbastanza stranamente nessun
chiaroveggente ha predetto che sarebbe
stato arrestato. Una pubblicità meschina
per la professione!».
Il 15 giugno annota: «Sappiamo da
intercettazioni radio che Mosca ha messo
in stato di allarme la flotta russa. Ma
i preparativi sono del tutto
dilettanteschi. Non da prendersi sul
serio, quando si tratta di vera guerra».
Il giorno successivo colloquio col
Führer: «La prima offensiva sarà
sferrata in vari punti. Il nemico sarà
respinto con un unico movimento
uniforme. Secondo il Führer, per
l’operazione ci vorranno quattro mesi
(…) Dobbiamo agire. Mosca intende
tenersi fuori dalla guerra finché
l’Europa sarà esausta e dissanguata.
Allora Stalin si muoverà per
bolscevizzare l’Europa ed imporre il suo
dominio. Noi sconvolgeremo i suoi piani
con un colpo solo (…) Quando la Russia
sarà stata messa in ginocchio (…)
potremo dare inizio all’attacco contro
l’Inghilterra (…). L’Italia e il
Giappone ora saranno informati della
nostra intenzione di presentare certe
richieste alla Russia, sotto la forma di
un ultimatum, agli inizi di luglio».
Ma il mondo: «comincia piano piano a
mangiare la foglia sul nostro inganno
riguardante la Russia (…) Ora Londra ha
capito completamente la faccenda».
22 giugno 1940:
«L’attacco incomincerà alle 3.30 del
mattino. 160 divisioni complete lungo un
arco di 3.000 chilometri (…) La più
grande concentrazione di forze in tutta
la storia (…) Camminiamo avanti e
indietro col Führer nel salone per tre
ore. Non abbiamo altra scelta che
l’attacco. Questa piaga cancerosa deve
essere cauterizzata. Stalin cadrà (…) Il
Duce verrà informato completamente
domenica (…) Dopo qualche discussione,
fissiamo le 5,30 come ora della lettura
del proclama alla radio. Il nemico
allora saprà quello che sta capitando e
sarà giunto il momento di informarne
anche la nazione e il mondo (…) 3.30, a
quest’ora i nostri cannoni cominciano a
tuonare. Che Dio benedica le nostre
armi! Berlino e tutto il Reich dormono.
Ho una mezz’ora di tempo, ma non posso
dormire. Cammino su e giù per la stanza,
irrequieto. Si può sentire il respiro
della storia. È giunta una meravigliosa
ora di gloria, in cui sta nascendo un
nuovo impero. La nostra nazione si
incammina verso la luce». Non lo
sfiora neanche lontanamente il pensiero
delle centinaia di migliaia di morti che
questa velleitaria e assurda invasione
comporterà.
23 giugno: «Molotov parla: insulti
selvaggi mescolati ad un appello al
patriottismo (…). L’atteggiamento
dell’Inghilterra ancora ambiguo (…)
Negli USA nient’altro che sbalordimento,
per ora (…) L’Italia ha dichiarato
guerra alla Russia. Molto decente.
Un’ondata di anticomunismo spazza
l’Europa (…) Nel pomeriggio la risposta
di Londra è di sostenere che Hitler è
pazzo, citando l’esempio di Napoleone,
un paragone già suggerito da Molotov».
24 giugno: «Ieri gli sviluppi
militari nell’Est sono ottimi e superano
ogni nostra aspettativa. Le nostre nuove
armi conquistano tutto quello che si
trovano davanti (…) Finora 1.500
aeroplani russi distrutti. Cadono come
mosche. I loro caccia sono più lenti dei
nostri Junkers 88. Tutto si svolge
secondo il piano e anche meglio (…) Il
Führer è in procinto di partire per il
fronte (…). È molto serio e solenne.
Possa ritornare vittorioso e salvo! Con
l’aiuto di Dio!». Le truppe tedesche
avanzano anche se “i Russi resistono
coraggiosamente”. Entrano a Kaunas
mentre interi quartieri di Leningrado
sono in fiamme. L’armata Rossa sta
perdendo un numero incalcolabile di
carri armati e aeroplani: «Ci
troviamo sulla soglia di un enorme
successo».
Il 28
giugno Goebbels è ancora più ottimista:
«L’Europa sta serrando le file, sotto
la nostra guida. L’intero continente è
in fase di risveglio. Piccole e grandi
nazioni si uniscono a noi (…) Noi
andremo avanti, avanti, avanti, finché
giungerà la grande ora». Il 30
giugno: «Due
armate rosse intrappolate a Bialystok
(…) Minsk è nelle nostre mani. I Russi
hanno perso 2.233 carri armati e 5.107
aeroplani».
Il 1⁰
luglio scrive: «In generale le cose
vanno bene, sebbene i Russi combattano
più energicamente di quanto non avessimo
previsto. Le nostre perdite in fatto di
uomini ed equipaggiamenti non sono
insignificanti (…) Se avessimo aspettato
di più, cosa sarebbe successo? Una volta
ancora, l’istinto del Führer si è
dimostrato giusto».
Il 4 luglio: “«All’estero, specie
negli USA e perfino a Londra,
considerano la posizione di Mosca molto
brutta: Essi credono di assistere alle
fasi iniziali di una delle più grandi
guerre di annientamento della storia. E,
senza dubbio, non hanno torto (…) Le
perdite dei Russi nella sacca di
Bialystok sono enormi. I 160.000 uomini
fatti prigionieri sono superati di gran
lunga dal numero di morti e feriti (…).
In questo momento il bolscevismo sta
subendo la sua grande crisi, sia
intellettuale, sia organizzativa».
8 luglio, ultimo giorno del diario
pubblicato da Fred Taylor: «La nostra
lotta contro il bolscevismo ci ha
procurato molti amici. Ma l’effetto
della fame è troppo forte. Perfino nei
Balcani (…) c’è una vera carestia.
Specialmente in Grecia (…) Anche a
Berlino la situazione alimentare è
brutta. Ritardi negli approvvigionamenti
di verdura e patate». Ma poi
l’ottimismo torna a prevalere: «Nessuno
ha più dubbi sul fatto che saremo
vittoriosi in Russia (…) Smolensk
bombardata due volte. Ci stiamo
avvicinando a Mosca sempre di più».
Leggendo
questi diari appare chiaro come per
Goebbels la mitologizzazione del Führer,
all’ombra del quale ha vissuto senza
sovente nemmeno essere consultato sulle
decisioni fondamentali, abbia
contribuito in modo decisivo al
rafforzamento della propria autostima e
autoaffermazione. Come sottolinea Peter
Longerich nella sua monumentale
biografia Goebbels pubblicata da
Einaudi nel 2016, il diario “nato
come luogo di autoanalisi e autocritica,
diventò ben presto per Goebbels un mezzo
per consacrare se stesso alla luce dei
successi ottenuti ed eternare una
carriera trionfale, insabbiare sconfitte
e fallimenti, ritemprarsi e motivarsi a
continuare la strada intrapresa. Se nei
primi anni, i brani di autocritica sono
la parte più interessante, l’assenza
quasi completa di autocritica è forse
l’aspetto più appariscente degli ultimi”. |