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N. 80 - Agosto 2014 (CXI)

I diari dell’Amm. Mario Falangola
Quando l’F7 affondò il piroscafo austriaco Pelagosa

di Vincenzo Grienti

 

Il 12 febbraio del 1918 il bollettino settimanale di guerra austriaco batteva: “Nel pomeriggio il piroscafo armato «Pelagosa» in ricerca di sommergibili a sud-ovest di Lussino è stato silurato da un sommergibile nemico, e alla sera è affondato presso lo scoglio di Gruica”.

 

È l’epilogo di una operazione navale portata a termine dall’F.7, il sottomarino italiano comandato dal comandante Mario Falangola. La missione, riportata nelle sue memorie, era iniziata alle 11.40 del 12 febbraio 1918, l’ultimo anno della Grande Guerra. La zona operativa era lo specchio di acqua a ponente di Asinello, fra Sansego e Premuda.

 

Il sommergibile F.7, inviato in zona operazioni, si trovava in completa immersione e sfrecciava all’attacco di una squadriglia di cinque cacciatorpediniere austriache classe Hussard che si stavano dirigendo da Nord verso il canale di Selve, a quasi due miglia di distanza dalla costa di Lussino.

 

La velocità del sommergibile della Regia Marina era di 7 miglia e, come scrive nel suo diario il comandante Falangola “le strutture esterne più leggere e sporgenti come la battagliola della plancia, le draglie di coperta e le serrette della intercapedine vibravano per la resistenza al moto dell’acqua”.

 

I due periscopi, quello di attacco e quello di riserva erano stati rientrati e i cappelli dei tubi di lancio aperti. I siluri pronti per essere lanciati.

 

Insieme al comandante Falangola nella camera di manovra c’era il tenente di vascello Enrico Doria, ufficiale in 2ª, mentre il direttore di macchina, capo Vacca, monitorava i timoni orizzontali e verticali pronto a dare l’ordine a un meccanico di procedere ad operare alla tastiera dell’aria compressa al fine di dare la giusta spinta ai siluri al momento dell’attacco.

 

C’era silenzio nella sala motori elettrici e si ascoltava solo il ronzio cupo e forte dei motori. In camera di manovra, invece, si sentiva solo il rumore intermittente della trasmissione del timone orizzontale e il tic-tac regolare della girobussola “Sperry” di cui era dotato l’F.7.

 

I sottomarini classe “F” furono varati tra il 1915 e il 1917 per un totale di 24 unità. Si trattava si sommergibili costieri costruiti per la stragrande maggioranza nei cantieri Fiat San Giorgio di La Spezia e un dislocamento di 262/319 tonnellate. A parte le unità F.23 ed F.24 che furono venduti alla Spagna con il nome rispettivamente di “Narciso Monturiola” e riclassificato A.1 e Cosme Garcia riclassificato A.2, gli altri 22 battelli operarono sotto costa per tutta la Prima Guerra mondiale inanellando molti successi (F. Bargoni, Tutte le navi militari d’Italia 1861-2011, USMM, Roma 2012). Erano entrati in linea cinque anni dopo il varo della classe “Medusa”, di cui faceva parte l’Argo, già precedentemente comandato da Falangola prima di assumere la guida dell’F.7.

 

Una delle caratteristiche delle unità classe “F” è che non avevano “servomotore” elettrico, dunque a velocità elevate risultavano, scrive il comandante Falangola “un po’ duri”.

 

Tuttavia, il termine “velocità elevata” di 7 miglia è pur sempre relativa se si confronta con la velocità degli attuali sommergibili, ma la Prima Guerra mondiale ha rappresentato per la storia industriale dell’Italia una evoluzione rispetto ai decenni precedenti. Non a caso si parla di “meccanizzazione” del conflitto.

 

Certo, sia per l’Aviazione che per la Marina, ma anche per l’Esercito il primo conflitto mondiale La Grande Guerra fu un banco di prova per l’industria del Paese, dunque anche per quei battelli, come l’F.7, che per l’epoca rappresentavano il fiore all’occhiello della Regia Marina.

 

Non era facile governare il sommergibile. Basti pensare che alla velocità di 7 miglia orarie, corrispondente a 3,60 metri al secondo, l’inclinazione dello scafo di un solo grado rispetto al piano orizzontale era sufficiente a far variare la quota di 63 millimetri al secondo, ossia circa due metri in mezzo minuto.

 

Per riuscire perciò a mantenersi in quota era necessario annullare continuamente con i timoni le più piccole inclinazioni nel piano verticale passante per la chiglia. Dunque le manovre non erano facili e diventavano ancora più complesse quando si era in situazione di combattimento, o peggio, quando si dovevano evitare mine o i colpi dei cannoni nemici.

 

L’F.7 era partito alle ore 22.00 dell’11 febbraio 1918 da Ancona. Le istruzioni che il comandante Falangola aveva ricevuto dal capo flottiglia erano quelle di procedere ad un “agguato” in prossimità del passo di Sleve, e di studiare con attenzione l’area di operazione e in particolar modo le correnti locali.

 

La navigazione verso il quadrante operativo non era stata molto tranquilla. Dopo aver superato gli sbarramenti di torpedini della Regia Marina posti davanti ad Ancona l’F.7 aveva fatto rotta poco a Sud dell’isola di Sansego. Col mare agitato i movimenti di rollio e di beccheggio di un piccolo sommergibile sono a volte bruschi, ripetuti e violenti.

 

Il mare grosso però proprio alle prime ore dell’alba del 12 febbraio aveva abbandonato l’equipaggio dell’F.7 e intorno alle 6 di fronte a una folta foschia e all’avvicinarsi della costa nemica il comandante Falangola dava ordine di immersione.

 

Qualche miglio più avanti, sulla costa, si potevano scorgere i monti Ossero e San Giovanni di Lussino e la sommità di Sansego. L’F.7 si trovava a circa due miglia da questa isola. Secondo l’Ufficio Informazioni della Regia Marina gli austriaci avevano disposto uno sbarramento di torpedini. Intorno alle 3 miglia dalla costa si videro chiaramente i caccia austriaci che navigavano in fila a una distanza di circa 300 metri l’uno dall’altro.

 

“All’istante dell’avvistamento – scrive nelle sue memorie Falangola – feci la considerazione di trovarmi a circa 60° dalla prua della prima unità navale nemica e quindi già troppo «sguardato» dalla sua rotta per avere la possibilità di avvicinarla a una distanza inferiore alla corsa dei siluri che era di 1000 metri. Capivo bene – prosegue Falangola – che andavo all’attacco partendo da una posizione sfavorevole e che difficilmente sarei arrivato a distanza di lancio” (Amm. Mario Falangola, Il sommergibile F.7, Ed. Ardita, Roma, 1933).

 

Dopo aver effettuato i calcoli consueti, cioè rotta e velocità delle unità nemiche, l’F.7 si portò a 9 metri di quota pronto per sferrare l’attacco. La curiosità di guardare il nemico attraverso il periscopio era forte, ma uscire il periscopio fuori avrebbe significato farsi intercettare in quanto lo strumento visivo avrebbe generato una scia.

 

A circa 90° dalla prua dell’ultimo caccia, le unità austriache si allontanavano rapidamente. In pratica il tenente di vascello Doria, facendo un calcolo sulla carta nautica, aveva già intuito qualche minuto prima che la navigazione delle navi austriache era molto più veloce di quella dell’F.7.

 

Il comandante Falangola non poté far altro che guardare i 5 Hussard allontanarsi. Ma, subito dopo, seguì la riflessione che le navi austriache avevano sicuramente “seguito” una rotta sicura per evitare mine e sbarramenti di torpedini. E inoltre: la più elementare prudenza da parte dei comandanti delle 5 unità austriache era quella di passare ben al largo di eventuali sbarramenti antisommergibili.

 

In base a questa considerazione l’equipaggio dell’F.7 si convinse che lo specchio d’acqua fra Sansego, Lussino e Asinello non era pericoloso. Dunque si poteva procedere alla missione ricevuta di effettuare un “agguato”. Naturalmente non prima di avvertire il Comando navale di Venezia, attraverso l’emersione e poi con il lancio dei piccioni messaggeri, che i 5 Hussard stavano procedendo verso una possibile destinazione “nemica”.

 

La foschia del mattino, intanto, era scomparsa e l’F.7 proseguì con la sola torretta a galla circa 3mila metri a Sud-Ovest di Asinello il comandante procedette a far lanciare i due piccioni con le notizie dell’avvistamento degli Hussard. Poco dopo il battello fu condotto in immersione.

 

L’assetto era buono e una volta sceso a 9 metri proseguì la missione mantenendosi a circa un miglio e mezzo a Sud Ovest di Asinello.

 

Ad un tratto il sottufficiale di guardia al periscopio annunciò “fumo in direzione di Selve”. Il comandante Falangola corse a guardare. Una nave usciva al passo, era lontana ma si scorgeva bene il pennacchio di fumo. La nave dirigeva verso l’F.7.

 

Il battello prese rapidamente il suo assetto di combattimento. I tubi di lancio furono allagati e i cappelli di lancio furono aperti. L’equipaggio si preparò alla manovra, i motori elettrici a moderata andatura, si iniziò la manovra d’attacco.

 

La nave si avvicinava, si trattava di un piroscafo armato. L’F.7 si trovava proprio sulla sua rotta, così una volta giunti a quota periscopio il comandante Falangola inquadrò il bersaglio e poi “a dritta fuori, a sinistra fuori” e partirono i due siluri espulsi dall’aria compressa. Le scie dei due siluri erano visibilissime.

 

Il bersaglio fu colpito e si scorsero dal periscopio i marinai che abbandonavano la nave con le imbarcazioni di salvataggio. L’equipaggio austriaco ebbe modo di accorgersi del periscopio dell’F.7.

 

Sul “Giornale di operazioni” della nave affondata negli anni che seguirono si poté leggere: “… 16.30. Si avvista circa 20° a dritta della prora alla distanza di 300 metri un periscopio. Si mette la macchina indietro a tutta forza. Il Smg. Lancia. Prima che la macchina esegua l’ordine, un siluro colpisce e un secondo passa sotto la poppa. Non è possibile pensare a turare la falla, perché sulle due murate vi sono parecchi punti in cui l’acqua entra… I due cannoni da 47 mm. SFK sono così deformati che non è più possibile introdurre in essi le cartucce. Per evitare inutili perdite di vite umane nel caso di nuovo siluramento si dà ordine di armare le imbarcazioni. Alle 16.50 la nave viene abbondonata in perfetto ordine. Le imbarcazioni si concentrano a 300 metri del Pelagosa”.

 

Si consumò così l’affondamento del piroscafo armato fortunatamente senza perdite di vite umane.

 

Cosa purtroppo non sempre avvenuta in altre circostanze dove morirono migliaia di marinai e ufficiali delle Marine impegnate in quella “inutile strage” che fu la Grande Guerra per le gravi perdite di vite umane.



 

 

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