N. 41 - Maggio 2011
(LXXII)
diane arbus
la donna del futuro
di Michele Broccoletti.
“Non
ho
mai
fatto
le
fotografie
che
mi
ero
proposta
di
fare.
Le
foto
sono
sempre
state
migliori
o
peggiori.”
La
figura
di
Diane
Arbus
rappresenta
una
vera
e
propria
eccezione
nella
storia
della
fotografia.
Seconda
di
tre
figli
–
dei
quali
il
maggiore
Howard
è
stato
un
noto
poeta
statunitense
e la
minore
Renée
una
famosa
scultrice
–
Diane
Nemerov,
poi
Arbus
con
il
cognome
da
sposata,
nasce
a
New
York
in
un
mercoledì
di
metà
marzo,
il
14
marzo
per
la
precisione,
del
1923.
Appartenente
ad
una
ricca
e
benestante
famiglia
ebrea
originaria
della
Polonia
e
proprietaria
della
rinomata
catena
di
negozi
Russek’s,
fondata
da
suo
nonno
materno
e
specializzata
nella
vendita
di
pellicce,
Diane,
fin
da
subito,
viene
accolta
in
un
clima
di
agiatezze
e
attenzioni,
che
le
fanno
trascorrere
un’infanzia
ovattata
e
iperprotetta
dal
mondo
reale
esterno.
I
primi
anni
di
Diane
però,
non
trascorrono
tutti
serenemente
e
spensierati:
la
bimba,
quando
non
viene
saturata
dall’odore
di
pelliccie
dei
negozi
del
padre
o
dal
fumo
delle
sigarette
della
madre,
è
spesso
affidata
a
detestabili
e
severe
bambinaie,
cui
viene
affidato
il
compito
di
“educare”
Diane
secondo
i
principi
etici
e
morali
dei
borghesi
benpensanti.
I
rigidi
principi
etici
della
famiglia
Nemerov,
inoltre,
si
ripercuotono
anche
nella
scelta
degli
istituti
scolastici,
così
che
la
giovane
Diane
frequenta
prima
la
Culture
Ethical
School
e
poi
la
Fieldestone
School,
entrambe
caratterizzate
da
un
metodo
pedagogico,
allo
stesso
tempo
filosofico,
umanistico
e
religioso.
Oltre
ciò
le
due
scuole
sono
particolarmente
attente
alla
creatività,
che
viene
considerata
come
una
sorta
di
“nutrimento
spirituale”
per
l’animo.
Di
conseguenza
la
stessa
Diane
viene
agevolata
nello
sviluppare
il
proprio
talento
artistico,
che
in
questo
modo
può
manifestarsi
liberamente,
grazie
anche
agli
incoraggiamenti
del
padre,
il
quale
decide
addirittura
di
mandare
la
figlia,
ancora
dodicenne,
a
lezione
di
disegno
da
Dorothy
Thompson,
la
quale,
oltre
a
lavorare
come
illustratrice
per
la
Russek’s,
era
stata
allieva
di
George
Grosz.
È
proprio
questo
primo
“incontro
indiretto”
con
George
Grosz
– i
cui
acquerelli,
con
soggetti
insoliti
e
provocatori,
sembrano
essere
specializzati
in
una
sorta
di
grottesca
denuncia
dei
difetti
umani
–
che
lascerà
il
segno,
come
vedremo,
nella
personalità
di
Diane
e di
conseguenza
influenzerà
anche
la
sua
produzione
fotografica.
All’età
di
quattordici
anni
Diane
incontra
Allan
Arbus
il
quale,
quattro
anni
più
tardi,
nonostante
l’irremovibile
parere
contrario
della
famiglia
dovuto
alla
differenza
tra
i
livelli
sociali
dei
due
giovani,
diverrà
suo
marito
ed
avrà
con
Diane
due
figlie
(Doon
che
diverrà
una
scrittrice
e
art
director
e
Amy
che
seguirà
la
stessa
passione
per
la
fotografia
che
ebbe
anche
la
madre).
Allan
Arbus
rappresenta
un
punto
di
svolta
per
la
vita
di
Diane
in
quanto,
oltre
a
divenire
suo
marito,
è
anche
colui
che
insegna
il
mestiere
della
fotografia
alla
moglie.
Allan
infatti,
pochi
anni
dopo
il
matrimonio,
inizia
a
lavorare
proprio
come
fotografo
per
l’esercito
americano
e,
di
notte,
inizia
a
insegnare
a
Diane
tutto
ciò
che
apprende
il
giorno.
Quest’ultima
comincia
a
condividere
con
il
marito
interesse
e
passione
per
la
fotografia,
e i
due
decidono
di
aprire
uno
studio
di
moda
e
fotografia.
I
coniugi
Arbus
lavoreranno
insieme
per
vent’anni,
collaborando
con
successo
per
importanti
riviste
di
moda
come
Glamour,
Harper’s
Bazar,
Seventeen
e
Vogue.
Lo
studio
degli
Arbus,
fin
da
subito,
si
inserisce
pienamente
nel
vivace
clima
artistico
di
New
York
e
Diane
ha
l’occasione
di
conoscere
fotografi
e
illustri
personaggi,
tra
cui,
oltre
a
Louis
Faurer
e
Robert
Frank,
ricordiamo
anche
un
giovanissimo
Stanley
Kubrick
che
in
seguito,
in
Shining,
renderà
omaggio
a
Diane
con
l’allucinatoria
scena
delle
due
minacciose
gemelle,
che
fu
ispirata
proprio
da
una
foto
della
stessa
Diane
–
Identical
Twins
–
scattata
nel
1967.
Marito
e
moglie
diventano
noti
per
la
meticolosità
e la
precisione
degli
scatti
e,
anche
se
alcuni
criticano
il
perfezionismo
tecnico,
il
rigore
formale,
gli
alti
budget
richiesti
e la
lentezza
nelle
consegne,
i
più
apprezzano
le
produzioni
dello
studio
Arbus,
in
cui
solitamente
Allan
è il
fotografo,
mentre
Diane
la
stylist.
Presto
però
diventano
evidenti
le
prime
intolleranze
di
Diane
nei
confronti
del
mondo
per
cui
lavora:
contro
la
moda
e il
glamour,
la
giovane
si
prende
frequentemente
la
libertà
di
non
rispettare
i
canoni
di
bellezza
e
lei
stessa
si
mostra
spesso
trasandata,
con
lo
stesso
abito
e
senza
trucco.
Siamo
al
1957
quando
Diane
capisce
definitivamente
di
non
essere
più
interessata
alla
fotografia
di
moda
e
sceglie
di
abbandonare
lo
studio
che
aveva
fondato
con
il
marito,
per
dedicarsi
a
scatti
più
reali
e
immediati.
Lo
stesso
matrimonio
con
Allan
è
ormai
in
crisi
e
Diane,
allontanandosi
dal
maritro,
inizia
a
seguire
un
seminario
tenuto
da
Alexey
Brodovitch
e si
iscrive
alla
New
School
prendendo
lezioni
dalla
famosa
fotografa
di
origini
austriache
Lisette
Model
i
cui
scatti,
notturni
e
realistici,
influenzano
Diane,
che
è
incoraggiata
nella
ricerca
di
un
proprio
stile
personale.
Si
apre
così
per
Diane
una
nuova
fase
nella
quale
iniziano
ad
essere
indagati
tutti
quei
luoghi,
fisici
e
mentali,
che
le
apparivano
mutati
o le
erano
stati
vietati
dalla
rigida
educazione
ricevuta
in
famiglia.
La
giovane
fotografa
sembra
quasi
reagire
contro
le
rassicuranti
ma
noiose
convenzioni
borghesi
e,
schierandosi
apertamente
contro
ogni
moralismo,
inizia
a
esplorare
i
sobborghi
poveri
di
New
York,
le
spiaggie
di
Coney
Island,
Central
Park,
le
balere
di
Harlem
e il
Circo
delle
pulci.
In
questi
luoghi
Diane
incontra
fame
e
miseria,
ma
soprattutto
viene
attratta
dai
cosidetti
freaks,
i
quali
le
si
presentano
come
una
sorta
di
mondo
parallelo
a
quello
che
fino
ad
allora
era
per
lei
il
mondo
“normale”.
Affascinata
da
questo
oscuro
e
nuovo
mondo,
Diane
comincia
a
frequentare
l’Hubert’s
Dime
Museum
e,
dopo
aver
assistito
agli
spettacoli
da
baraccone
che
vi
erano
organizzati,
cerca
di
incontrarne
e
fotografarne
in
privato
i
protagonisti.
In
questi
anni
si
definiscono
le
peculiarità
dell’arte
di
Diane,
le
cui
fotografie
si
snodano
così
tra
giganti
e
nani,
travestiti,
prostitute,
nudisti,
omosessuali
e
ritardati
mentali,
ma
anche
tra
persone
comuni,
colte
però
in
comportamenti
e
atteggiamenti
incongrui.
Nel
1963
e
nel
1966
Diane
ottiene
due
borse
di
studio
finanziate
dalla
fondazione
Guggenheim,
riuscendo
così
a
pubblicare
le
sue
foto
su
importanti
giornali
e
riviste
come
il
New
York
Times
e il
Sunday
Times
di
Londra.
Nel
1965
inoltre
espone
alcuni
scatti
al
Museum
Art
di
New
York
e
subito
divampa
la
polemica
dovuta
al
fatto
che
alcune
immagini
sono
ritenute
troppo
forti
ed
offensive:
i
borghesi
benpensanti
disprezzano
e
sputano
letteralmente
sulle
opere
esposte,
ma
allo
stesso
tempo,
intellettuali
e
amici
fotografi
appoggiano
e
sostengono
l’arte
di
Diane.
Solo
due
anni
più
tardi,
presso
lo
stesso
museo,
viene
allestita
una
sua
mostra
personale,
intitolata
Nuovi
Documenti,
che,
oltre
alle
solite
critiche
dei
benpensanti,
suscita
opinioni
e
commenti
positivi:
ormai
Diane
Arbus
è
una
fotografa
riconosciuta
e
affermata.
La
fine
degli
anni
‘60
per
Diane
è
come
un
vortice
in
cui
la
fotografa
viene
travolta
da
una
fervente
attività
e da
forti
emozioni.
Allo
stesso
tempo
Diane
incontra
i
suoi
primi
problemi
di
salute
causati
dall’epatite,
ma
soprattutto
si
intensificano
le
sue
crisi
depressive
e il
suo
fisico
si
indebolisce
con
il
massiccio
uso
di
farmaci
antidepressivi.
É il
26
luglio
del
1971,
il
giorno
in
cui
Diane
Arbus,
incidendosi
le
vene
dei
polsi
e
ingerendo
una
forte
dose
di
barbiturici,
si
toglie
la
vita.
Un
anno
più
tardi
il
MOMA
le
dedicherà
un’importante
retrospettiva
consacrandola
definitivamente
tra
i
più
importanti
fotografi
del
secolo.
Ma i
tributi
postumi
non
finiranno
qui
e
tra
tutti
i
riconoscimenti
ricordiamo
anche
che
Diane
Arbus
è la
prima,
tra
i
fotografi
americani,
ad
essere
ospitata
alla
Biennale
di
Venezia
del
1972,
dove
viene
esposta
A
box
of
ten
photographs,
le
cui
immagini
erano
state
stampate,
firmate
e
annotate
dalla
stessa
Diane.
La
parabola
artistica
di
Diane
Arbus
si
concentra
in
soli
undici
anni,
che
vanno
dal
1960
–
anno
in
cui
esce
la
sua
prima
pubblicazione
su
Esquire
dal
titolo
A
vertical
jorney:
six
movements
of a
moment
within
the
heart
of
the
city
in
cui
si
compie
un
vertiginoso
viaggio
in
pensioni
di
quart’ordine
dove
si
incontrano
puttane
e
travestiti,
boy
scout,
mostri
e
macellai
– al
1971
–
anno
della
sua
morte
– ma
allo
stesso
tempo
la
sua
produzione
è
ampia
e
numerosa
e si
allontana
da
ogni
schema
precostituito.
Le
sue
prime
foto
sono
sgranate
e
contrastate
ma
presto
arriva
ad
una
semplificazione
formale,
anche
grazie
all’uso
della
macchine
fotografiche
reflex
“medio
formato”,
il
cui
spazio
quadrato
e
simmetrico
pone
in
risalto
i
soggetti
ritratti,
che
sono
quasi
sempre
vittime
di
congenite
deformità,
o
individui
eccentrici,
tutti
rigorosamente
ritratti
nelle
loro
abitazioni,
a
testimoniare
il
grado
di
intimità
che
Diane
riusciva
a
instaurare
con
i
personaggi
fotografati.
Nei
suoi
scatti,
non
solo
Diane
non
mostra
compassione
per
i
fotografati,
ma
anche
gli
stessi
soggetti
non
esprimono
sofferenza
o
disagio
per
il
loro
essere
“strani”,
come
se
“strani”
apparissero
solamente
ai
nostri
occhi...
Gli
individui
che
posano
per
Diane
guardano
l’obiettivo
senza
inibizioni
come
se
avessero
un’incongruente
solennità,
e
comuinicano
emozioni
inattese,
testimoniando
una
voglia
di
vivere
più
forte
della
vergogna
e
manifestando
il
desiderio
di
una
normalità
troppo
spesso
negata.
Molte
fotografie
di
Diane
Arbus
sono
ormai
famosissime
e
alcuni
dei
suoi
scatti
hanno
fatto
il
giro
del
mondo.
Tra
tutte
le
foto,
simbolicamente
possiamo
commentare
“Child
with
Toy
Hand
Grenade
in
Central
Park,
New
York”
(1962),
in
cui
un
bambino
magrissimo,
con
le
braccia
irrigidite
lungo
il
corpo,
regge
una
granata
giocattolo
nella
mano
destra,
mentre
con
la
mano
sinistra
sembra
imitare
una
sorta
di
uncino
o
artiglio.
Il
bambino
non
ha
niente
di
rassicurante
e
sembra
quasi
essere
uscito
da
un
film
dell’orrore
con
l’espressione
del
viso
che
si
potrebbe
definire
maniacale
e
schizzofrenica
e
viene
catturata
da
Diane
tramite
uno
stratagemma:
con
la
scusa
della
ricerca
dell’angolazione
giusta,
la
fotografa
inizia
a
girare
intorno
al
ragazzino
che
presto
diviene
impaziente
e
dice
a
Diane
di
sbrigarsi
a
fotografare,
creando
l’espressione
con
il
“terribile
ghigno”,
immortalata
nella
foto.
In
fin
dei
conti
però,
il
soggetto
era
un
comune
bambino
che,
incuriosito,
era
intenzionato
a
giocare
con
la
macchina
fotografica
di
Diane,
la
quale,
con
la
sua
abilità,
fa
emergere
un
particolare
aspetto
del
carattere
del
bambino.
Possiamo
quasi
arrivare
a
pensare
che
forse
sia
la
stessa
Diane
Arbus
che
possiede
qualcosa
di
speciale
e di
disarmante:
sembra
quasi
che,
con
i
suoi
scatti,
Diane
riesca
a
indagare
il
profondo
di
ogni
soggetto
immortalato,
così
che
ogni
figura
impressa
sulla
pellicola
si
carica
di
un’intensità
tale
da
disintegrare
qualsiasi
atteggiamento
prevenuto
che
possa
essere
assunto
nei
confronti
dello
stesso
individuo
ritratto.
Osservando
le
immagini
scattate
da
Diane,
si
può
addirittura
avere
l’impressione
di
non
aver
mai
visto
prima
una
fotografia:
Diane
possiamo
definirla
come
la
donna
del
futuro...