N. 119 - Novembre 2017
(CL)
L’aiuola della grecità
Mistrà e il despotato di Morea
di Giulio Talini
Truppe,
cannoni,
flotte,
fiumi
di
denaro
e
una
buona
dose
di
fortuna:
tutto
ciò
e
molto
altro
servì
agli
Ottomani
per
sopraffare
le
difese
di
Costantinopoli
il
29
maggio
1453.
Il
sultano
Maometto
II,
definito
“folle”
da
Isidoro
di
Kiev,
catturò
la
preda
più
ambita
dal
mondo
musulmano
e,
mentre
il
suo
impero
riceveva
la
consacrazione
definitiva,
un
altro,
quello
bizantino,
si
sgretolava
insieme
alla
sua
millenaria
eredità
greco-romana.
Responsabili
dell’ineluttabile
disastro
furono
tanto
gli
stessi
Bizantini
quanto
l’indifferente
Societas
Christiana
d’Occidente,
come
poi
avrebbe
rimarcato
Pio
II
nel
concilio
di
Mantova
del
1459.
E
tuttavia
il
corpo
morente
dell’Impero
bizantino
respirava
ancora:
oltre
alla
Trebisonda
dei
Comneni,
resisteva
in
Grecia
anche
il
despotato
di
Morea,
da
oltre
un
secolo
il
giardino
rigoglioso
di
un
palazzo
in
frantumi.
Era
il
1348
quando
Giovanni
VI
Cantacuzeno
(1347-1354),
l’antimperatore
in
lotta
col
genero
Giovanni
V
Paleologo
(1341-1391),
fondava
un
nuovo
despotato
in
Morea
(denominazione
bassomedievale
del
Peloponneso)
per
il
secondogenito
Manuele.
Il
XIV
secolo
era
per
Bisanzio
“un
periodo
di
disastri
politici”,
per
dirla
col
Runciman:
il
dilagare
della
Peste
Nera,
l’orrore
della
guerra
civile,
la
minaccia
turca
e la
frammentazione
politica
dell’area
balcanica
mettevano
a
repentaglio
la
saldezza
dell’Impero.
La
Morea
bizantina,
tuttavia,
seppe
discostarsi
dal
declino
dei
tempi.
I
despoti,
che
risiedevano
a
Mistrà,
centro
non
lontano
dall’antica
Sparta,
erano
principi
imperiali,
a
cominciare
dal
già
citato
Manuele,
ma
la
loro
fu
una
vita
tutt’altro
che
comoda.
Catalani,
Angioini,
Veneziani,
Genovesi,
Fiorentini,
Ospedalieri:
tra
repubbliche
marinare
e
eredi
dello
scomparso
Impero
latino
d’Oriente
(1204-1261)
la
Morea
del
Tardo
Medioevo
era
una
pericolosa
selva
di
potentati.
Fu
forse
per
tale
ragione
che
i
despoti
Cantacuzeni
mantennero
saggiamente
una
prudente
politica
di
consolidamento
fino
al
1383,
quando,
dopo
i
governi
di
Manuele,
del
fratello
Matteo
e
del
nipote
Demetrio,
il
despotato
passò
nelle
mani
dei
Paleologhi.
Sotto
i
governi
del
figlio
di
Giovanni
V
Paleologo,
Teodoro
I
(1383-1407),
e
poi
del
nipote
di
quest’ultimo,
Teodoro
II
(1407-1443),
il
despotato
di
Morea
conobbe
una
fioritura
tale
che
si
poteva
perfino
dubitare
che
facesse
parte
del
decadente
Impero
bizantino.
I
Paleologhi
si
curarono
anzitutto
di
fortificare
i
confini
(si
pensi
alla
ricostruzione
delle
mura
di
Hexamilion
sull’istmo
di
Corinto)
e di
espanderli
fino
a
ricomprendere
quasi
tutto
il
Peloponneso.
Inoltre
grazie
all’attenzione
da
loro
prestata
alle
arti
e al
sapere,
Mistrà,
non
per
nulla
definita
da
Ostrogorsky
“aiuola
della
grecità”,
divenne
la
culla
di
una
sorta
di
Rinascimento
orientale
incentrato
principalmente
sul
recupero
dell’ellenismo
e su
proposte
concrete
di
riforma
dell’ordinamento.
Protagonisti
indiscussi
di
tale
exploit
culturale
furono
Giorgio
Gemisto
Pletone,
fondatore
di
una
scuola
d’impronta
neoplatonica,
e
l’umanista
bizantino
Bessarione.
Intellettuali
del
loro
calibro
sapevano
passare
con
disinvoltura
dalla
sopraffina
erudizione
teorica
alla
concretezza
della
politica:
per
convincere
le
potenze
occidentali
a
scendere
in
campo
contro
gli
Ottomani,
promossero,
infatti,
con
grande
zelo
la
causa
dell’unione
delle
Chiese
greca
e
latina
ai
concili
di
Ferrara
e di
Firenze
tra
il
1438
e il
1439.
A
onor
del
vero,
nel
seguire
la
linea
del
riavvicinamento
a
Roma
e al
mondo
cattolico
non
furono
da
meno
i
despoti
di
Morea,
come
dimostrò
nel
1421
Teodoro
II
Paleologo
prendendo
in
moglie
Cleopa
Malatesta,
figlia
di
Malatesta
IV,
signore
di
Pesaro
e
Fano.
Gli
sforzi
di
mobilitare
l’Occidente
cristiano
contro
gli
infedeli,
tuttavia,
furono
vani
e
Costantinopoli
cadde
nel
1453
sotto
il
controllo
Maometto
II.
Il
despotato
di
Morea
sopravviveva
ancora,
ma
al
suo
interno
il
quadro
politico
si
era
complicato.
Già
Teodoro
II
negli
anni
precedenti
al
suo
ritiro
dalle
scene
nel
1443
era
stato
affiancato
dai
fratelli
Tommaso
e
Costantino.
Nel
1449
quest’ultimo
era
partito
alla
volta
di
Costantinopoli
per
insediarsi
sul
trono
dopo
la
dipartita
dell’imperatore
Giovanni
VIII.
Il
suo
posto
in
Morea
lo
aveva
quindi
preso
il
penultimo
dei
figli
del
basileus
Manuele
II,
Demetrio.
Costui,
da
subito
in
dissidio
con
l’altro
despota,
Tommaso,
fu
tanto
spregiudicato
da
rivolgersi
ai
nemici
di
sempre,
gli
Ottomani,
pur
di
strappare
territori
al
fratello.
Ma
tali
contrapposte
ambizioni
ebbero
l’unico
effetto
di
facilitare
la
fulminea
conquista
dell’intera
Morea
nel
1460
da
parte
di
Maometto
II,
che
poi
accolse
l’infido
Demetrio
alla
sua
corte.
Questa
la
fine
priva
di
eroismo
ma
non
di
malinconia
del
despotato
di
Mistrà.
Platonismo,
cultura
ellenica
e
audaci
voli
del
pensiero
furono
i
suoi
lasciti
più
significativi,
benché
non
gli
unici:
la
figlia
del
despota
Tommaso
Paleologo,
Sofia,
andò
in
sposa
nel
1472
a
Ivan
III
di
Moscovia,
che
apparve
così
il
successore
dei
Cesari
bizantini.
Appunto
del
titolo
di
zar
(dal
latino
Caesar)
si
fregiò
ufficialmente
nel
1547
Ivan
IV,
detto
il
Terribile,
dando
il
via
a un
cammino
politico,
quello
della
Russia
zarista,
protrattosi
fino
al
1917,
esattamente
cento
anni
fa.