N. 96 - Dicembre 2015
(CXXVII)
DESERT STORM
UNA GUERRA "DA MANUALE"
di Giovanni De Notaris
Terminata la guerra con l’Iran nel 1988, l’Iraq era un paese ben armato con armi sofisticate ma pieno di debiti. Nel mese di maggio del 1990 aveva cominciato a minacciare con più insistenza sia Israele che il Kuwait e per questo era stato ammonito. Il dittatore iracheno Saddam Hussein era infatti attratto dal confinante Kuwait ricco di pozzi di petrolio, e sempre in maggio le truppe irachene avevano cominciato a concentrarsi al confine con il Kuwait.
Negli
Stati
Uniti
l’amministrazione
di
George
H.
W.
Bush
pensava
che
Saddam
stesse
solo
bluffando
e
che
non
avrebbe
invaso
il
Kuwait
perché
dopo
la
guerra
le
truppe
irachene
erano
esauste
e ci
sarebbero
voluti
anni
prima
che
si
riorganizzassero.
Ma
nel
luglio
del
1990
le
immagini
satellitari
dimostrarono
che
le
truppe
irachene
si
stavano
ammassando
al
confine
con
il
Kuwait.
Sempre
nello
stesso
mese
anche
la
CIA
concordò
con
il
fatto
che
una
vera
e
propria
invasione
sarebbe
stata
impossibile
e
che
al
massimo
Saddam
si
sarebbe
impossessato
di
alcuni
pozzi
di
petrolio,
ma
niente
di
più.
Bush
allora
contattò
il
presidente
egiziano,
il
re
saudita
e
l’emiro
del
Kuwait;
nessuno
di
loro
credeva
a
una
possibile
invasione.
Ma
Saddam
accusò
l’emiro
del
Kuwait
di
aver
autorizzato
il
furto
del
petrolio
dai
pozzi
petroliferi
al
confine
tra
i
due
stati
e
così
il 2
agosto
1990
ordinò
l’invasione
del
paese
rivendicandone
il
possesso
in
base
ai
vecchi
assetti
territoriali;
140.000
soldati
iracheni
si
riversarono
in
Kuwait.
Il
dittatore
sperava
così
di
risolvere
i
problemi
economici
dell’Iraq.
Il 5
agosto
il
presidente
Bush
ammonì
Saddam,
condannando
l’invasione
e
vietando
il
commercio
con
l’Iraq.
Al
momento
Bush
però
non
aveva
ancora
contemplato
l’idea
di
un
attacco
perché
sperava
che
dopo
aver
ottenuto
i
pozzi
petroliferi
che
il
dittatore
rivendicava
si
sarebbe
poi
accontentato.
Ma
gli
iracheni
rimasero
in
Kuwait
e
destituirono
il
governo.
Negli
Stati
Uniti
si
cominciò
a
diffondere
il
timore
che
dopo
il
Kuwait
Saddam
avrebbe
rivolto
le
sue
attenzioni
all’Arabia
Saudita,
sempre
per
prendere
il
controllo
dei
pozzi
petroliferi.
E
così
dopo
aver
ottenuto
dall’Arabia
l’autorizzazione
a
inviare
le
truppe
nel
suo
paese,
Bush
varò
l’operazione
“Desert
Shield”
per
difendere
il
paese
dall’Iraq.
Poi
riuscì
a
ottenere
dall’ONU
una
risoluzione
che
approvasse
l’embargo
economico
contro
l’Iraq,
sperando
che
con
queste
due
mosse
Saddam
si
sarebbe
ritirato.
Ma
così
non
fu.
Il
presidente
dovette
allora
confrontarsi
con
il
Congresso,
a
maggioranza
democratica,
che
non
intendeva
autorizzare
la
guerra
ma
chiedeva
di
concedere
più
tempo
alle
Nazioni
Unite.
Intanto
il
segretario
di
Stato
James
Baker
III
lavorava
proprio
con
l’ONU
per
ottenere
una
risoluzione
che
approvasse
l’uso
della
forza.
Così
gli
Stati
Uniti
costituirono
una
coalizione
di
33
paesi
mediorientali
e
europei,
dispiegando
al
confine
con
l’Iraq
in
sei
mesi
circa
500.000
soldati
di
cui
300.000
americani.
Sempre
nell’agosto
del
1990
Saddam
ordinò
che
gli
stranieri
presenti
sul
territorio
kuwaitiano
appartenenti
alle
nazioni
della
coalizione
fossero
usati
come
scudi
umani.
Mentre
i
paesi
europei
cominciavano
a
inviare
nel
Golfo
Persico
navi
e
aerei,
il
29
novembre
l’ONU
autorizzò
l’uso
della
forza
intimando
all’Iraq
di
lasciare
il
Kuwait
entro
il
15
gennaio.
Gli
Stati
Uniti
intanto
dispiegavano
nel
Golfo
altri
100.000
soldati.
Finalmente
il
12
gennaio
1991
anche
il
Congresso
americano
autorizzava
Bush
all’uso
della
forza
per
costringere
Saddam
a
ritirarsi.
Così
alle
3.00
del
17
gennaio
1991
i
bombardieri
americani
attaccarono
l’Iraq;
al
comando
fu
posto
il
generale
Norman
Schwarzkopf.
I
bombardamenti
sarebbero
durati
più
di
un
mese
annientando
le
infrastrutture
del
paese.
L’Iraq
rispose
lanciando
i
missili
Scud
su
Tel
Aviv
e
Haifa
sperando
che
lo
stato
di
Israele
entrasse
anch’esso
in
guerra
con
la
coalizione
scatenando
poi
l’odio
degli
arabi
contro
gli
ebrei
e
provocando
quindi
una
sorta
di
guerra
santa
dell’Islam
contro
l’Occidente.
Israele
però
non
reagì
alla
provocazione
anche
grazie
all’intervento
dei
missili
americani
Patriot
che
intercettavano
gli
Scud
iracheni.
Messo
alle
strette,
il
23
gennaio
Saddam
ordinò
di
bruciare
i
pozzi
petroliferi
kuwaitiani
il
cui
petrolio
si
riversò
poi
nel
Golfo
creando
un
enorme
danno
ecologico.
Il
30
gennaio
nei
pressi
di
Khafj,
al
confine
tra
l’Arabia
Saudita
e il
Kuwait,
si
ebbe
il
primo
scontro
di
terra,
e il
21
gennaio
Bush
lanciò
un
altro
ultimatum
a
Saddam
intimandogli
di
ritirarsi.
Senza
risposta
il
23
febbraio
le
forze
della
coalizione
entrarono
in
Kuwait
dando
inizio
all’operazione
“Desert
Storm”
uccidendo
100.000
uomini
e
facendone
prigionieri
90.000.
Tutto
l’Iraq
meridionale
venne
occupato.
Il
26
febbraio
le
truppe
della
coalizione
entrarono
a
Kuwait
City,
e il
28
febbraio
Bush
annunciò
la
fine
delle
ostilità.
In
realtà
il
presidente
sperava
che
la
sconfitta
di
Saddam
avrebbe
causato
pure
la
caduta
del
suo
regime
e
incitò
le
rivolte
di
sciiti
al
sud
e
curdi
al
nord,
aiutati
dalla
CIA.
Ma
cosi
non
fu.
Saddam
reagì
per
reprimere
le
rivolte
e
gli
americani
non
seppero
intervenire
per
tempo
causando
la
morte
di
migliaia
di
persone
e
l’esilio
di
altre
migliaia.
Vennero
poi
istituite
due
no-fly
zone
per
impedire
il
movimento
di
veicoli
iracheni.
La
guerra
era
vinta
ma
Saddam
restava
al
potere
e
aveva
ancora
attivi
i
piani
per
portare
avanti
il
suo
programma
nucleare.
Dopo
la
guerra
infatti
una
commissione
speciale
dell’ONU
si
recò
in
Iraq
alla
ricerca
di
armi
biologiche
e
nucleari.
Dai
loro
rapporti
e da
quelli
della
CIA
si
deduceva
che
nell’arco
di
un
anno
l’Iraq
avrebbe
ottenuto
la
sua
prima
arma
nucleare.
Ma
tutto
questo
non
colpì
il
popolo
americano
che
vide
la
vittoria
come
un
successo:
il
Kuwait
era
stato
liberato
e la
popolarità
di
Bush
era
alle
stelle.
Il
presidente
aveva
ristabilito
gli
equilibri
in
Medio
Oriente
e
temeva
che
se
avesse
continuato
la
guerra
per
invadere
l’Iraq
avrebbe
perso
la
coalizione
internazionale
perché
l’ONU
non
aveva
autorizzato
l’invasione.
Bush
inoltre
spiegò
al
suo
gabinetto
che
se
avessero
invaso
il
paese
poi
avrebbero
dovuto
anche
occuparsi
della
ricostruzione
post
bellica
a
cui
gli
americani
non
erano
preparati
oltre
a
perdere
molte
vite
e a
protrarre
l’occupazione
per
un
tempo
indefinito.
Parole
che
più
di
dieci
anni
dopo
il
figlio
George
W.
avrebbe
dovuto
ricordare.