N. 16 - Aprile 2009
(XLVII)
Gli spettri nei
trattati di
demonologia
breve excursus
di Marzio Draghi
Siamo in Inghilterra a
cavallo tra Cinquecento e Seicento. Spettri, demoni e
streghe sono presenze con cui la gente convive
quotidianamente. Anche il potere se ne occupa e ci
crede.
Giacomo Stuart, che ascese
al trono d’Inghilterra - figlio della sfortunata Maria
di Scozia (Maria Stuarda), che finì decapitata, dopo
aver subito venti anni di carcere - scrive un trattato
che resterà fondamentale anche per l’influsso che avrà
sull’arte e sulla letteratura del tempo: da Shakespeare,
che farà riferimento ad essa nel Macbeth e nell’Amleto,
a Marlowe, che scrisse il dottor Faust sotto il
fascino di certe descrizioni che si trovano nel suo
testo.
L’opera, conosciutissima,
si intitola Demonologia e venne pubblicata nel
1597.
E’ un testo dialogico
perché riporta il dialogo che si svolge tra due amici,
Epistemon e Filomates (già i nomi dei protagonisti,
nelle loro radici, stanno a significare il desiderio di
apprendere ed conoscere).
Il libro è suddiviso in
tre parti che trattano rispettivamente di maghi e magie,
di negromanzia e di arti illecite, di sortilegi e,
appunto, di spettri.
A questo proposito, è
interessante rilevare come l’autore cerchi di
suddividere queste presenze secondo una logica
interpretativa: Umbrae mortuorum, fantasmi veri e
propri, licantropi, incubi e succubi.
L’argomento prevalente
però è la stregoneria in tutte le sue accezioni fino
allora conosciute con forti e circostanziate critiche
nei confronti di altri autori contemporanei, colpevoli
di aver frainteso l’interpretazione di questi fenomeni.
Una confutazione importante riguarda Reginald Scot, che
aveva scritto la Scoperta della Stregoneria nel
1584 e che si era schierato contro l’interpretazione
diabolica di certe manifestazioni, palesando in tal modo
tutto il suo scetticismo. Cosa che tra l’altro gli costò
la morte sul rogo, avvenuta vent’anni dopo.
Un altro scrittore preso
di mira da Giacomo Stuart è Johann Wier, autore del
De praestigiis daemonium et incantantionibus, del
1563, il quale sosteneva che certe alterazioni delle
cosiddette streghe, altro non erano che gli effetti di
droghe da esse assunte.
Giacomo Stuart non si
limita a criticare i suoi predecessori ma cerca di dare
alla sua interpretazione il valore di una vera e propria
filosofia. In ossequio a un certo maschilismo
dell’epoca, riduce il fenomeno delle streghe a passive
destinatarie dell’attenzione del Diavolo. Mentre agli
uomini che si occupano di questi temi, riconosce
l’impegno, quasi scientifico, di spingersi verso la
conoscenza dell’occulto, con i rischi e i pericoli che
ciò comporta, dal momento che cercano con le loro
pratiche di “soddisfare tale curiosità”.
Interessanti le sue prese
di posizione nei confronti dell’azione del Maligno.
Giacomo sostiene che il Diavolo è in grado di “farsi
scambiare per un angelo della luce” e di saper “togliere
dalla tomba un morto perché possa essere utile al suo
scopo per qualche tempo” magari rivelando in che modo è
stato assassinato. Chiaro, qui, il richiamo all’opera
shakespeariana!
Naturalmente, restano
famose di questo ponderoso lavoro le descrizioni delle
attività svolte dalle streghe, dei loro sabba, dello
loro pratiche, come quelle relative alla divinazione (in
particolare l’idromanzia, cioè l’arte di interpretare il
futuro attraverso i movimenti dell’acqua, o la
catrottomanzia, sistema poco conosciuto di divinazione,
utilizzando una serie di specchi).
Ma queste apparizioni, così frequenti, sono o no
diaboliche? Le risposte che arrivano da studiosi
precedenti a Giacomo Stuart prendono posizioni
articolate: Pierre Le Loyer nel suo trattato dal titolo
Livres des spectres ou apparitions et visions d’esprits,
angels et daemons, uscito nel 1586, conferma l’idea
che il Diavolo possa apparire sotto forma di parenti o
persone amate per ingannare la propria vittima.
Citiamo una frase
dall’opera: “qui se fait Ame pour decevoir et abuser”.
Altri autori confermano
questa tesi, considerando che sono le persone più
predisposte a sentimenti di malinconia quelle che
possono essere utilizzate dal Diavolo come strumento
passivo per queste visioni.
E’ la convinzione di Noel
Taillepied che nel 1588 scrisse un importante Traité
de l’apparition des esprits.
Non stupisce, quindi, che
in questa atmosfera particolare autori importanti come
Shakespeare e Marlowe subiscano influssi pesanti che li
rendono convinti assertori della presenza di fantasmi.
Che poi gli stessi sanno abilmente manovrare nelle trame
delle loro opere immortali.
Il Maligno, in questi
casi, diventa il deus ex machina ideale, ambiguo
e oscuro quanto serve.
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