moderna
I demonologi del Seicento
Francesco Maria Guaccio e Ludovico Maria
Sinistrari / II
di Enrico Targa
Al Compendium maleficarum si ispirò un altro
demonologo italiano, Ludovico Maria Sinistrari(1622-1701)
nella sua opera De Daemonialitate et Incubis et
Succubis (1680): il peccato di demonialità,
scrive il frate Ludovico Maria Sinistrari,
consultore del Santo Uffizio nella seconda metà del
Seicento, si commette con la fornicazione, il culto
e l’ossequio resi al demonio e con un patto di
associazione con lui. Ma succede talvolta che si
abbia solo un rapporto carnale con incubi e succubi
demoniaci, senza apostasia; e in questo caso non c’è
empietà, che è peccato gravissimo, ma nemmeno si
tratta di semplice bestialità, che èpeccato più
leggero.
Per ammissione di tutti i teologi, afferma
Sinistrari nel suo trattato Daemonialitas, il
congiungimento carnale col demonio è assai più grave
che quello con gli animali, tenuto conto che per
quest’ultimo la dottrina non stabilisce scale di
gravità. Ma conviene, dopo aver distinto il peccato
di demonialità da quello di bestialità, procedere
oltre nella lettura e discernere i vari ordini di
peccato indotti dal commercio con il demonio.
Le distinzioni specifiche non sono di poco rilievo,
perché il trattatello di Sinistrari (autore tra
l’altro di un Formularium criminalis e di un
manuale De delictis et poenis) è uno dei
testi di cui si serviranno i tribunali
dell’Inquisizione per stabilire, in base alla
gravità dei peccati, l’entità delle pene da
infliggere ai peccatori. In risposta agli increduli
che negano la presenza fisica del demonio, l’autore
non risparmia le sue repliche sarcastiche, che tra
l’altro allargano le nostre modeste prospettive su
quei peccati storici e sulle loro varianti: «Non
manca qualche saccente che nega quanto hanno scritto
i più autorevoli trattatisti e quanto risulta da
esperienza quotidiana: cioè che il demonio, sia
incubo o succubo, si congiunge carnalmente non solo
con esseri umani, ma anche con animali».
Come testimonia pure il frate ambrosiano Francesco
Maria Guaccio nel suo Compendium malefica rum
il demonio più di una volta alle donne ha mostrato
di preferire le puledre. Se queste consentono al
rapporto carnale, egli “intreccia le loro
variegate criniere con nodi di bizzarra e
inestricabile ingegnosità; se invece lo respingono,
le maltratta e le percuote, le fa deperire e infine
le uccide, come risulta dalla esperienza quotidiana”.
Ma in questi casi di effrazione demoniaca non si
possono mandare sul rogo le innocenti puledre, e i
diavoli ovviamente sfuggono alla cattura. Di
conseguenza, il trattato prende in considerazione
solo le unioni carnali del demonio con un essere
umano, ossia con le maghe, i maghi e le streghe,
oppure con persone estranee a qualsiasi sortilegio.
Nel primo caso, l’unione col demonio avviene durante
i sabba notturni dopo una promesso indissolubile, il
famoso patto col diavolo, con cui le streghe o i
maghi si pongono al suo servizio. Per mezzo di una
complessa cerimonia, questi “esseri nefandi” gli
rendono solennemente omaggio e vassallaggio “tenendo
la mano su qualche libro di colore nerissimo”.
Quando invece si volge alla seduzione di donne
estranee alla stregoneria, il demonio mette in atto
i suoi più sottili artifici, sollecitandole
all’amplesso con preghiere, lacrime, carezze,
regali, proprio come un innamorato travolto dalla
passione. Resistentissimi agli esorcismi ed esperti
di ogni malizia amorosa, questi diavoli compaiono
alle donne oneste sotto gli aspetti più allettanti.
È il caso di un demonio che si era presentato in
pieno giorno a una giovane donna di nome Girolama,
della parrocchia di San Michele a Pavia (dove
Sinistrari prestava servizio alle dipendenze del
cardinal Caccia), “nella figura di un paggio o di
un amino bellissimo dalle chiome rutilanti e
ricciute, barba bionda e splendente come oro, occhi
azzurri come il fiore di lino, passo maestoso e
abito spagnolesco”. Girolama resiste a tutte le
blandizie, ma il diavolo non si dà per vinto, la
sorprende di notte mentre si trova nel letto con il
marito e la scongiura strenuamente di farlo giacere
con lei. Girolama ancora una volta lo respinge con
fermezza, e il diavolo per vendetta innalza tutto
intorno al letto, fino all’altezza del baldacchino,
un muro tirato su con lastre di ardesia, di quelle
usate dai Genovesi nella loro città e in tutto la
Liguria per coprire i tetti delle case, tanto che i
due sposi dovettero usare una scala per uscirne.
Teologi e filosofi, scrive Sinistrari, concordano
nell’ammettere che dall’unione di un essere umano
con un demonio talvolta nascono dei figli. E questi
“risultano naturalmente grandi, robustissimi,
crudelissimi, superbissimi e pessimi”. Fra gli
uomini pessimi nati da unioni demoniache sarebbero
Romolo e Remo, Servio Tullio, sesto re di Roma,
Platone, Alessandro Magno, Seleuco, re di Siria,
Scipione l’Africano, l’imperatore Cesare Augusto, il
condottiero greco Aristomene di Messenia e MerIino,
figlio di un incubo. Il teologo Malvenda attribuisce
la medesima origine diavolesca anche al “dotatissimo
eresiarca” Martin Lutero.
Dal momento che sono abili a generare figli,
Sinistrari si domanda quale sia la consistenza
fisica dei diavoli, quale sia la forma dei loro
corpi e se le varie membra siano rette da un ordine
essenziale come negli animali, ovvero da un ardine
occidentale “come nei corpi dei fluidi: olio,
acqua, nubi, fumo, eccetera”. Grave
interrogativo, al quale il frate inquisitore non può
dare una risposta del tutto soddisfacente e certo
per mancanza di esperienza diretto; ma è tuttavia in
grado di fissare alcuni punti fermi. Per esempio
che, sia pure nella trasparenza e sottigliezza della
materia che li compone, essi diavoli siano del tutto
simili all’uomo. Da questa affermazione
congetturale, confermata anche dalla dottrina,
l’autore deduce che “il piede non deve essere
contiguo alla testa né la mano al ventre, bensì ogni
membro sarà disposto in ordine e coerenza per poter
esplicare idoneamente la propria funzione”. Il
sottinteso è evidente, anche se non esplicito, dal
momento che costoro devono essere atti a generare: «Affermo
la necessità che alcune parti del loro corpo siano
più consistenti, altre meno, altre fini, altre
finissime, secondo la necessità di azioni
dell’organo stesso».
I mostri dei bestiari medievali, ben presenti alla
mente di Sinistrari, sono sterili nella loro
difforme unicità. Altri inquieti interrogativi si
pone il trattato. Se questi diavoli di cui
l’esperienza quotidiana ha accertato la presenza
nelle città e nelle compagne, siano soggetti a
malattie o ad altre imperfezioni di cui soffrono gli
umani, come ignoranza, paura, accidia, iracondia,
eccetera. Se sentano stanchezza e necessità di
dormire, mangiare, bere. Se siano soggetti alla
morte e se possano venire uccisi da animali o
dall’uomo o se possono morire per cause accidentali.
Se i corpi sottili dei demoni possano penetrare
altri corpi, come pareti in muratura, metallo,
legno, eccetera.
Il Seicento è il secolo del grande balzo scientifico
e Sinistrari risponde all’ultimo interrogativo
facendo appello alla scienza: «In tutti i corpi,
per compatti che siano, ci sono dei pori; con un
microscopio ben perfezionato si scorgono i pori dei
metalli con le loro diverse forme», e perciò i
demoni, attraverso questi sottilissimi pertugi,
potranno insinuarsi in qualsiasi corpo materiale.
Data la persistenza, la tenacia e la cocciutaggine
dei demoni, il trattato suggerisce di tenerli alla
largo con l’uso di erbe odorose come la ruta, la
verbena, la centaurea, e di pietre, come il
diamante, il diaspro o il corallo. Di impegno più
laborioso, ma efficacissimo, è l’odore di fegato di
pesce posto sulla brace.
A un diacono perseguitato dalla presenza di un
demonio che gli appare di giorno e di notte in
figura di scheletro, di porco, di asino, d’angelo,
di uccello e qualche volta, per estrema malizia,
sotto l’aspetto dello stesso priore del convento,
Sinistrari consiglia di ricorrere al tabacco e
all’acquavite, di cui il giovane prete faceva uso
abitualmente. Il diavolo non solo persiste nelle sue
apparizioni, ma, In assenza del diacono, ha la
sfrontatezza di presentarsi al priore del convento
per chiedergli ancora tabacco e acquavite che gli
erano piaciuti pazzamente.
Questo trattato di Sinistrari è una delle tante
pietre d’inciampo ideologico di un secolo pieno di
contraddizioni come il Seicento, un repertorio di
incredibili malefizi sul quale si sono consumate
lontane tragedie. Alla fine del suo testo, il frate
inquisitore lamenta che in Italia la legislazione
civile e canonica per punire le streghe sia carente
e non tenga conto che il commercio con il demonio
presuppone l’apostasia e “un numero quasi
infinito di altri misfatti, per cui fuori d’Italia
viene punito regolarmente con l’impiccagione e il
rogo”.
La tentazione di leggere questo breviario della
demonialità è quasi irresistibile e stride con i
principi che stavano emergendo dalla nuove scienze
basata sul pensiero razionalista induttivo di
Cartesio autore del Discorso sul metodo e del
metodo sperimentaleaffermato da Galileo Galilei nel
Dialogo dei massimi sistemi, (nei 300 anni
che vanno dal 1450 al 1750, in Europa furono uccise
per stregoneria circa 30 o 40.000 persone. Parliamo
di “persone” perché molto spesso, specie in alcuni
paesi, a finire sul rogo erano gli uomini pensiamo
al rogo di Giacinto Centini nel 1634, nipote del
cardinale Felice Centini, allora vescovo di
Macerata, reo di aver lanciato un malefizio
ai danni di papa Urbano VIII).
La proiezione di quei fanatismi eccentrici, che oggi
ci paiono così ingenui, è arrivato fino a noi come
una lunga e inguaribile malattia, per cui è
difficile affermare a cuor leggero che il demonio
non esiste. Esiste e, questa volta, non si può
dissentire da Sinistrari, ne sentiamo la presenza
insidiosa, come dimostra l’esperienza quotidiana.
Riferimenti bibliografici:
Francesco Maria Guaccio, Compendium Maleficarum,
a cura di Luciano Tamburini, Giulio Einaudi
Editore, Torino 1992.
Sergio Abbiati, Attilio Agnoletto, Maria Rosario
Lazzati, La stregoneria. Diavoli, streghe,
inquisitori dal Trecento al Settecento, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano 1984.
Oscar Di Simplicio, Autunno della stregoneria.
Maleficio e magia nell’Italia moderna, Il
Mulino, Bologna 2005.
Robert Mandrou, Magistrati e Streghe nella
Francia del Seicento: un’analisi di psicologia
storica, Laterza, Roma 1971.
Ludovico Maria Sinistrari, Demonialità,
Sellerio, Palermo 1986. |