CONTRO LA DEMOCRAZIA
DALLA CICUTA
ALLE PALLOTTOLE
di Antonio
Montesanti
“Quella democratica è la più bella tra le
costituzioni: come un mantello variopinto, ricamato con
ogni sorta di fiori, così anch’essa può apparire
bellissima, ricamata com’è con tutti i tipi di
carattere. E forse molti la giudicherebbero appunto
bellissima, alla maniera dei bambini e delle donne
quando ammirano le cose colorate”.
Era tutto previsto, già potenzialmente in essere e
percepibile, a chi è in grado di trarre deduzioni dalla
realtà delle cose, conoscendo l’indole umana – le sue
attitudini, le sue debolezze – e le leggi del reale, che
ciò sarebbe accaduto.
Un filo sottilissimo ma in grado di stagliarsi lungo i
secoli e i millenni, congiunge assai finemente tra le
due estremità, i tre momenti del tempo, passato,
presente e futuro.
“All'improvviso ho avuto l'impressione
che fosse tutto collegato. Era come se potessi vedere
tutto. [...] Mi è sembrato di poter vedere quello che
era successo prima. E quello che ancora deve succedere.
Era come uno schema perfetto, disposto davanti a me...”
Un saggio di questi giorni – a cura di Franco Ferrari,
Platone. Contro la democrazia – e i fatti degli
stessi, propongono una memorabile e affascinate pellicola
su cui è disegnata una sorta di storia filmata che vede,
come i quadri o ancor meglio le metope di un tempio
greco, delle raffigurazioni che ripropongono quello che
è avvenuto e ciò che sta per avvenire: un film inanimato del quale
è possibile scorgerne il movimento e viaggiare con la
mente, tramite i racconti epici, al susseguirsi di
eventi, una volta che questi fossero stati appresi in
luoghi adatti appositamente creati per lo svago e al
contempo per la crescita culturale del popolo, quel
Teatro che, nell’Atene democratica, era diventata
un’istituzione. L’importanza della cultura individuale
basata su un sostrato comune che consentisse
l’indipendenza culturale ma che unanimizzasse i valori
comuni, era già conosciuta, appresa ed applicata appieno
nell’Atene del V sec. a.C.
Se oggi osservassimo un capolavoro figurato antico – un
dipinto vascolare, un affresco tombale o una
raffigurazione templare – potremmo scorgere il filmato
staticamente in essere di un avvenimento del nostro
presente che guarda al futuro.
La prima metopa, come un quadro, inserita in negativo in
una striscia di celluloide, se illuminata con la giusta
luce, inquadrerà in un angolo un piccolo gruppo di
giovani che discutono con una pattuglia di poliziotti.
Che siamo ad Atene è evidente. In alto, in secondo piano
si vede l’Acropoli che troneggia su Piazza Exarchia, il
luogo in cui tutto ha avuto origine, le stelle
mirabilmente collocate dall’artista ci dicono che è
notte, la notte del 6 dicembre del 2008.
"Allora lei sa che succederà. No, è una
sensazione. Ma posso indovinare. Con un simile caos
qualcuno commetterà una sciocchezza e quando questo
accadrà le cose si metteranno male”.
Uno dei poliziotti sembra nell’atto di estrarre una
pistola, subito dopo, un proiettile probabilmente
“deviato”, di rimbalzo, colpisce il giovane Alexandros,
Alexis per gli amici, Griegoropoulos.
La scena. Il fotogramma, la metopa successiva ci
racconterebbe ciò che accadde dopo. La rivolta. Rivolta
a quello che rappresenta una variabile d’assurdità
comune e che porta a spalancare la coscienza sopita di
coloro che fermamente si rendono conto di una
sostanziare antitesi politica che riflette i suoi
effetti sul sistema sociale.
Se continuassimo a proseguire la visita del nostro
capolavoro figurato osserveremmo anche che nel quartiere
di Exarchia la situazione dopo la morte di Alexis
sarebbe degenerata da una presa di posizione della
polizia decisa ad entrare nell’Ospedale Evangelismos
dove si trovava la salma del giovane, forse per
occultare prove scomode, se il corpo di un giovane può
essere considerato una prova.
La resistenza dei giovani greci, provocava l’attacco della
polizia con azioni repressive nel quartiere di Exarchia,
dove veniva arrestato uno dei rivoltosi,.
“…mentre il manganello può sostituire il
dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere;
perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e
per coloro che vorranno ascoltare, all'affermazione
della verità”.
Presa coscienza degli avvenimenti si è evoluta con
un'assemblea spontanea al Politecnico della capitale
greca, che ha portato gravi disordini nel centro di
Atene. Saranno allora attaccate dai rivoltosi, stazioni
di polizia e banche, fino alle prime ore della mattina
dopo. Contemporaneamente, una manifestazione spontanea
aveva avuto luogo, ma è stata affrontata dalla polizia
con il lancio di lacrimogeni. Altri tre edifici dell'Università
– tra cui le facoltà di legge e di economia –
sono stati occupati.
Le
manifestazioni si sono moltiplicate in una risposta
spontanea, migliaia di persone si sono riunite nei
centri della maggior parte delle città greche, dove
manifestazioni, azioni dirette e disordini hanno avuto
luogo in tutto il paese. A Thessaloniki (Salonicco),
seconda città ellenica, una grande manifestazione
spontanea è nata sull’onda della ribellione: due
stazioni di polizia sono state attaccate, molte agenzie
bancarie date alle fiamme e Via Egnatia – la strada
principale – è stata bloccata per ore con cassonetti
incendiati. Le stesse scene, con uguale intensità si
sono avute nei maggiori centri ellenici: Ioannina,
Iraklio, Chania, Komotini, Mitilini, Xanthi, Serres,
Sparta, Alexandroupolis e Volos.
Ma cosa c’entrano le banche? Perché attaccare le banche? E
le Università? Occupare le Università, perchè…
Se non si capisce quello che ci si presenta nell’attualità
e si prefigura nell’immediato futuro è colpa
probabilmente di una situazione in cui viene, o è,
precluso il passato, poichè il tempo dovrebbe essere
letto come un libro.
Il sistema occidentale ha lavorato negli ultimi 300 anni
alla possibilità di elargire benessere a tutti. Questo
lo si deve ad una forma culturale, tipicamente europea,
basata su un background storico evoluzionale di
effettiva riuscita. Questo sistema politico, e ancor
prima il nostro sistema culturale, ci ha consentito di
poter vivere in maniera economicamente discreta e civile
negli ultimi anni. Il benessere è stato l’obbiettivo
degli stati occidentali, benessere per tutti, per coloro
che non potevano permetterselo, per coloro che avrebbero
potuto comprarselo. Eppure alla fine questa forma
d’agiatezza ha investito, dopo millenni, il mondo
Occidentale – Europa / Stati Uniti / Oceania – che è
riuscito a far si che la proiezione dello “star bene”,
presente dell’immaginario collettivo, diventasse realtà.
“Come molti di voi io apprezzo il
benessere della routine quotidiana, la sicurezza di ciò
che è familiare, la tranquillità della ripetizione. Ne
godo quanto chiunque altro”.
Sorge solo un dubbio, base della conoscenza. Il benessere,
la sicurezza, la tranquillità sono stati ottenuti senza
ripercussioni? Ovvero, è possibile che i tre stati
d’agiatezza umana siano stati acquisiti tramite
un’oculata politica economica e culturale? O anche, si
può definire lo stato attuale come un risultato
antropologicamente puro, privo di conseguenze?
Per la prima volta ci rendiamo conto, per esempio, che
sotto il profilo ambientale questo tipo di cultura
politica non ha prodotto buoni risultati, anzi per la
prima volta nella storia del genere umano ci troviamo di
fronte all’eventualità, poco remota, che delle decisioni
umane e politiche abbiano modificato, in maniera,
radicale il futuro della Terra. Economicamente non ne
parliamo. Certo, nascondere il fattore ambientale, era
un po’ più difficile…
Insomma sarebbe necessario iniziare a domandarci se il
sistema così ottenuto nella nostra evoluzione, sia un
sistema, non tanto buono o cattivo, ma sostenibile.
Dovremmo iniziare a chiederci a cosa porta o conduce una
nostra azione, individuale o collettiva, comune che sia.
Dovremmo sapere che se ad un’azione corrisponde una
reazione uguale e contraria, non potremmo sperare nel
fatto che dalla combustione degli idrocarburi si
sprigioni ossigeno. Questo dovrebbe avvenire anche
ponendosi altre domande, del tipo: “Se immettiamo
nell’atmosfera massicce concentrazioni di CO2 cosa
potrebbe accadere?”
Tutto questo, queste domande, avviene, ma solo in parte.
È necessario rilevare come un sistema, uno stato o nazione,
basato sul benessere provochi una specie di rilassamento
che quasi sconfina in una sorta di torpore mentale (e
spesso anche fisico) dovuto all’assenza o alla presenza
di strumenti di svago utilizzati non come duplice
obbiettivo, di rilassamento/divertimento e di cultura,
ma spesso ci troviamo di fronte solo alla necessità, da
parte di chi governa, di elargire piacere, benessere
mentale e questo, come il lavoro manuale esercita le
membra del corpo, al contrario non fa si che la mente
umana rimanga allenata al ricordo, alla logica, al
calcolo.
Se dunque era estremamente comprensibile al mondo greco
antico che le arti fossero fondamentali, – tanto da
mettervi a protezione di ognuna una Musa a loro volta
generate dalla memoria dalla dea della Memoria – era
anche normale che la Grecia antica, Atene in
particolare, abbia puntato sempre su due cardini, indici
e causa di benessere: cultura e svago.
Ognuno di noi è in grado di porsi delle domande su quello
che avviene nel reale e sembra certo che questo non
avvenga ormai da tempo o che questa sia una prerogativa
limitata a pochi.
Pericle aveva capito l’importanza del teatro e alle sue
ancelle, Melpomene e Talia, aveva chiesto di rendere
edotti i suoi concittadini, i quali non solo si recavano
di buon grado in Teatro, ma percepivano una sorta di
stipendio minimo, una paga: il testatico.
Ad Atene c’era comunque qualcuno disposto a pagare perché
la gente apprendesse; durante l’apoteosi dell’esperienza
democratica, si vennero a creare i primi scandali
d’identificazione figurativa, di natura ideologica e
sessuale. Lo stesso Pericle che aveva utilizzato il
teatro come un fascio energetico in grado di “orientare”
il processo democratico, fu coinvolto in almeno tre
scandali che andavano a colpire il leader d’Atene. Il
teatro era divenuto uno degli strumenti di conoscenza,
emancipazione allo stesso tempo, spogliandolo delle
maschere culturali, di Tragedia e Commedia, un semplice
sistema di trasmissione diretta mass-mediatico.
Loro ci sono arrivati prima di noi, la democrazia è nata
con loro, con i Greci e dovrebbe essere normale,
scontato, osservandone il processo storico, che siano
loro a fungere da “tracciante” per gli accadimenti a
venire.
L’impressione che la Memoria, in qualità di Ricordo ma
anche di sistema comune di derivazione genetica, sia
stata messa da parte e che la cultura derivabile dalle
impostazioni evolutive della nostra civiltà così come ci
è stata consegnata, abbia subito una sorta di frattura,
anche se è più probabile che questa sia semplicemente
una evoluzione, il che non sarebbe un danno, se a sua
volta non stesse perdendo una determinata
caratteristica: la capacità di comprendere il reale,
quello che avviene e, di conseguenza, quello che accadrà.
Come se stesse svanendo la capacità di ragionare. Ma
forse anche questo era stato previsto.
Che questo sia dovuto al controllo dei mezzi d’informazione
o all’uso del terrore per il controllo delle masse,
secondo le grandi teorie complottiste, non è possibile
affermarlo con certezza, tuttavia un meccanismo simile
era conosciuto e praticato anticamente, se Platone
poteva scrivere:
“Tutto
quello che realizzano lo fanno tramite l’uso della forza
delle armi, oppure, senza arrivare fino a questo punto,
impongo una simile costituzione mediante
l’intimidazione” e non ci è dato di sapere qual è la
realtà delle cose, poiché i nostri occhi, fuorviati
dagli schermi e dalle notizie, non ci possono garantire
un filtro univoco, che normalmente dovrebbe essere
garantito dall’uso della ragione, possiamo però renderci
conto della perdita di una forte capacità critica
costruttiva.
Una sorta di controprova alle parole di Platone può essere
considerata l’infausta bugia mediatica di George W. Bush,
il 20 marzo del 2003, che affermava come l'Iraq si
stesse per dotare di armi di distruzioni di massa,
riportando come prova un finto dossier che parlava di
traffico di uranio dal Niger con destinazione Baghdad.
Il presedente, eletto per la seconda volta, con il
placido consenso della propria nazione cominciava
una guerra che, a distanza di cinque anni, sembra essere
divenuta il Vietnam del XXI secolo.
In molti se n’erano accorti già al momento della rielezione
del 2004, ma ribadirono il voto precedente, continuando
a dare fiducia a chi, a molti occhi del mondo aveva e
stava ancora mentendo, ammettendo in un’intervista
all’emittente Abc di essere stato «impreparato ad
entrare in guerra», senza nascondere gli errori sulle
armi di distruzione di massa. «Il mio più grande
rimpianto? Le informazioni sbagliate sulle armi di
distruzione in Iraq». In questo modo ammetteva, il
giovane Bush, una serie di errori che i politici non
dovrebbero commettere, per incuria, negligenza,
incapacità, affermando inoltre che la guerra in Iraq era
andata oltre le sue aspettative. «Molte persone hanno
messo la propria reputazione in gioco dicendo che le
armi di distruzione di massa erano una ragione per
destituire Saddam», ha infine detto Bush, firmando il
proprio atto di colpevolezza assoluta e scaraventando lo
stesso popolo statunitense all’inferno.
Da quest’esempio, è evidente che siamo, in pratica, in
balia di ciò che ci circonda e ci comportiamo in base a
quello che viene proposto. Inoltre manca la capacità di
comprendere che il benessere ottenuto negli ultimi anni
in parte è stato, e in larga parte deve ancora essere
pagato. Le ombre delle nuvole portatrici della crisi
economica ci hanno già raggiunto da tempo e solo adesso
iniziamo ad avvertire qualche goccia di pioggia, più che
altro portata dal vento, che presto potrebbero
trasformarsi in un uragano senza precedenti.
“Com'è accaduto? Di chi è la colpa?
Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che
dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a
dire la verità, se cercate il colpevole.. non c'è che da
guardarsi allo specchio. Io so perché l'avete fatto. So
che avevate paura. E chi non ne avrebbe avuta? Guerre,
terrore, malattie. C'era una quantità enorme di
problemi, una macchinazione diabolica atta a corrompere
la vostra ragione e a privarvi del vostro buon senso. La
paura si è impadronita di voi…”
Quello presentato da F. Ferrari, è uno scritto che riporta
la questione del regime politico come elemento
necessario di una spiegazione e la frase d’apertura del
libro di Popper riporta evidentemente ad una sorta di
negativizzazione del filosofo greco con un filone di
rabbia che sembra colpirlo nel profondo, tanto da fargli
appositamente utilizzare una frase simbolo per
negativizzare la visione platonica della politica, per
constatare con quanta amarezza Platone avesse già
ragione.
“La mia opinione che Platone sia stato il più grande di
tutti i filosofi non è per nulla mutata. Anche la sua
filosofia politica e morale, come realizzazione
intellettuale, non può essere paragonata a nessun’altra,
anche se la trovo moralmente repellente e addirittura
spaventosa”.
(K.R. Popper, La società aperta e i suoi nemici)
Sembra più un rigurgito di bile dovuto in realtà alla
impossibilità di attuazione di un vero governo
democratico: è come se si rendesse conto, il filosofo e
con lui l’autore, che già Platone avesse capito, intuito
ma più semplicemente dedotto, che le parole Democrazia
ed Utopia coincidono.
Chiaramente non si vuole, in questa sede, tentare di
sostenere che i concetti di Democrazia antica e moderna
siano comparabili, tutt’altro. Piuttosto invece alquanto
evidente che questo problema già si fosse posto quasi
due secoli fa.
“In realtà, ogni tipo di eccesso suole produrre, come
effetto della reazione, un mutamento di senso opposto,
tanto nelle stagioni quanto nelle piante e nei corpi, e
certo non meno nelle costituzioni. […] Sembra infatti
che un’eccessiva libertà non si trasformi in nient’altro
se non un’eccessiva schiavitù, nella vita privata come
in quella pubblica. Dunque la Tirannide non s’insedia a
partire da ness’un’altra costituzione se non da quella
democratica, dall’estrema libertà, a mio avviso, la
schiavitù maggiore e la più selvaggia.”
Nel 1819, Henri-Benjamin Constant de Rebecque affermava,
davanti alla platea degli studiosi nella Athénée Royal
de Paris e cercando di dare un’interpretazione di
democrazia (coincidente con il termine di libertà), che
secondo la visione antica sarebbe consistita
”…nell’esercitare collettivamente ma direttamente molte
finzioni della sovranità, nel deliberare… sulla guerra e
sulla pace, nel concludere… i trattati di alleanza, nel
votare le leggi, pronunciare giudizi, esaminare bilanci,
atti gestione dei magistrati, nel far comparire davanti
al popolo intero, nel metterli sotto accusa, nel
condannarli e nell’assolverli. Era questo che gli
antichi intendevano per libertà”.
È
naturale riscontrare tante, troppe analogie con la
situazione attuale, anche, e forse maggiormente,
italiana. Questo, il rapporto tra i privati (idiotes)
e il pubblico (to koinòn), e a loro volta con la
politica, adesso è effettivamente troncato; troncato
dall’impotenza dei privilegi che il nostro mondo ha
conquistato in migliaia di anni di civiltà, passando tra
pesanti pedaggi bellici e tre rivoluzioni nazionali.
Dopo questa evoluzione ora sembriamo imbrigliati,
all’interno di un meccanismo in cui noi stessi abbiamo
deciso di crescere e di tentare di dare una forma
all’utopia politica del buon governo.
L’impossibilità, in evidente contrasto col concetto di
democrazia antica, va nella direzione del voto. È qui
che si avviluppa il nodo di Gordio della politica reale.
Ovvero che ruolo può essere dato al voto se questo non
ha una connessione reale con la vita politica. Con la
scelta dell’estensione del voto a tutti, sono stati
concessi dei privilegi che rendono di fatto le decisioni
prese dai nostri rappresentanti come legittime davanti
alla comunità internazionale e davanti al popolo stesso
che ha eletto i legislatori.
Se
non volessimo proprio entrare nel merito – pur
condividendo appieno la teoria mercatistica di C.
Zepponi (Instoria N° 10 - ottobre 2008 [XLI]:
La
democrazia assoluta. Pensieri e... riserve) secondo cui: “...il voto è una merce come le altre,
accaparrabile a patto di disporre di ingenti risorse
finanziarie, sociali, religiose e politiche. Ma nelle
democrazie occidentali questo sistema passa sotto
silenzio, divenendo la regola. In questo modo, le
preferenze convergono a sostegno dei ceti medio-alti – i
soli che se lo possono permettere – tradizionalmente
moderati” – basterà ricordare che la decisione di
estendere il voto non solo è divenuta una questione
mercanteggiante guidata in ambito economico, in un
sistema corrotto come quello occidentale, ma
fondamentalmente culturale.
La cultura, che deve necessariamente essere applicata al
regime democratico, conduce portare ad un sistema di
coscienze comuni in cui i concittadini di un’entita
politica (stato, nazione, regione o comune) votano i
propri rappresentanti in modo che questi tutelino e
accrescano il Bene Comune. Invece, visti i presupposti,
già esposti, la perdita culturale si manifesta
principalmente nei rappresentanti democraticamente
eletti e poi nel popolo, vessato per anni nelle sue basi
culturali e razionali da forme di propaganda
sensazionalistiche e da messaggi subliminali lanciati
via etere. La pubblicità rappresenta l’esempio forse più
eclatante del termine propaganda, tanto che le due
parole, ad oggi, quasi s’identificando. Il particolare,
pubblicità, ha preso il sopravvento sull’idea, la forma
più bieca per indicare un termine che già di per sé
contiene un elevato numero di connotazioni non positive.
Educazione. Era Educazione quell’idea. Non nel senso di
impostare le inclinazioni personali ed individuali di un
essere umano verso un sistema di valori morali comuni,
bensì nel senso della parola, che spesso ci dovrebbe
ricondurre a ragione, portare fuori quei valori
di cui l’essere umano già ne conosce l’esistenza e
infine “condurre all’esterno” quelle inclinazioni,
proprie dell’essere umano.
In questo modo le persone guidate dalla propaganda e da sua
figlia, la pubblicità, produssero già 5 secoli prima di
Cristo un simpatico racconto che sintetizzava quali
sarebbero stati i drammi della democrazia e di un voto
irresponsabile.
Ricorda un po’ il fatto che nel 482 a.C., Temistocle fosse
riuscito a spingere la folla affinchè questa
ostracizzasse il suo nemico politico Aristide. Questo
recandosi per le votazioni, incontrò per la strada un
cittadino analfabeta, che non lo aveva riconosciuto. Il
votante gli chiese se gentilmente scrivesse sul suo
coccio il nome di colui che avrebbe voluto fosse
ostracizzato (esiliato), ovvero lo stesso Aristide.
Senza scoprire la propria identità il politico gli
chiese cosa gli avesse fatto di tanto grave “questo
Aristide”. “Sono stufo di sentirlo chiamare il Giusto!”
(Plut., V.P., Arist. 7.1) – rispose il votante.
A parte riguardo la risposta del cittadino “culturalmente
poco elevato e guidato dal sistema antipropagandistico”
e la reazione di Aristide – che ognuno dei nostri
politici dovrebbe riportare come vademecum
giornaliero, che vide lo stratega scrivere il proprio
nome e accettare l’esilio serenamente e benedicendo la
propria città, nonché patria – dobbiamo soffermarci
sulla mano di chi votava… o per meglio dire di colui che
avrebbe voluto e dovuto votare.
Vi è una tripla gravità nel racconto precedente: il
cittadino lascia che sia un altro a scrivere
sottolineando una prima forma di poca acutezza mentale,
in secondo luogo vota in base ad una strana forma di
“propaganda inversa”, in cui la troppa fama provoca
l’effetto contrario e infine è (ir-)responsabile del
proprio voto.
Determinati scandali attuali di qualsiasi tipologia,
stanno investendo ancora una volta il mondo politico e
ormai sembra che questo ne abbia fatto la colonna
portante della propria immagine, della sua propaganda.
Il tutto senza considerare gli scandali legati al
rapporto economico ormai consolidato, appalti/tangenti
ed è per questo che chi vota deve sentirsi responsabile
del proprio voto e di chi si elegge a governare,
“…che con la sua forza d’attrazione verso quei piaceri
che comportano dispendio invece che guadagno di denaro…”
A meno che non si voglia ammettere che il voto sia stato
coscientemente dato. Se ci trovassimo di fronte ad
un’evenienza del genere, cioè che i liberi cittadini
hanno votato razionalmente persone invischiate in ogni
sorta di scandalo e incapaci di governare a livello
globale, sarebbe appena un po’ più grave il fatto di
dover accettare una serie di situazioni che sono
legalmente illecite, ma che vengono accettate dalla
collettività come “cose poco gravi”, che rendono il
popolino colpevolista nell’immediato e nei confronti
degli stessi eletti, per poi in un’amnesia generale
tornare a votare gli stessi che negli anni precedenti si
sono resi colpevoli di calunnie e crimini sotto multipli
aspetti.
“Non ti è mai capitato di vedere, in una simile
costituzione, uomini condannati a morte o all’esilio che
nondimeno restano nella città e se ne vanno in giro,
come se nessuno ci facesse caso o li vedesse, vagando
qua e là come il fantasma di un eroe?”*
Ma qui subentra una giustificazione che – oltre a creare
una sorta di difesa, sottolinea i limiti di un’assenza
culturale di chi vota – in parte risponde a due domande
poste poco sopra: perché nella rivolta vengono prese
d’assalto le banche e il perché della presenza di un
bombardamento mediatico, tra l’altro pregno di un
patetismo quasi imbarazzante.
“(In
questo modo) …finiscono per conquistare l’acropoli
dell’anima del giovane, accorgendosi che è vuota di
conoscenze, di belle occupazioni e di discorsi veri, che
sono i migliori guardiani e difensori nella mente di
uomini cari agli dèi”.
Il sistema a suffragio universale si basa sulla possibilità
di concedere il voto a tutti, in questo modo avviene o
per meglio dire si spalanca un complesso sistema
complementare che definisce a priori due
caratteristiche: la libertà popolare assoluta e
l’impossibilità di negazione di quella stessa libertà.
La concessione democratica, di una serie di
libertà, permette ai cittadini di uno stato, una sorta
di illusione generale secondo cui il proprio voto abbia
un valore, che potenzialmente è innegabile. Questo
provoca il suffragio di alcuni candidati, eletti dal
popolo che una volta al potere sono autorizzati a
dire e fare quello che vogliono, proprio perché
scelti democraticamente dallo popolo stesso che non
può ribellarsi ad una propria decisione.
Ormai, le esemplificazioni partitiche degli ultimi anni
stanno portando ad un sistema di elezione dei candidati
che si stanno concretizzando in un bipartitismo che
convoglia le maggioranze di coloro che riescono ad
accaparrarsi il maggior numero di voti, secondo due
sistemi antichi: quello mass-mediatico e quello
clientelare. Il primo è il sistema che si è sviluppato
in base a due elementi basati sulla propaganda personale
e sull’impatto mediatico, anticamente esemplificato
dalla figura dei retori o demagoghi, e dal teatro,
elemento d’impatto emotivo utilizzato come grimaldello
sulla commotio communis.
Il secondo, embrionalmente presente nella Grecia Classica,
con la Roma Repubblicana, diviene la regola: i
clientes, activa pars (da cui la parola
partito) di un candidato venivano, pagati, favoriti e
spesso resi partecipi dell’enturage dell’eletto
in cambio di un voto, o di un numero consistente di
essi, che gli stessi clientes sarebbero riusciti
a rimediare.
Una forte discriminante del sistema di voto di tipo
democratico è, incredibilmente, proprio la concessione
del voto a tutti, compresi che non hanno i mezzi
culturali e morali per poter considerare quello che
accade realmente. È normale che se il voto viene dato da
chi ritiene la materialità delle cose alla base della
propria vita questo sarà senza ombra di dubbio più
corruttibile e quindi pronto a “vendere” il proprio voto
in cambio di favori di base, soprattutto economici.
Quello a cui assistiamo è un circolo vizioso in cui coloro
che assurgono al potere primariamente “…escogitano
motivi di spendere per se stessi, e a questo scopo danno
una falsa interpretazione delle leggi, alle quali non
obbediscono… poi a forza di guardarsi l’un l’altro,
finiscono per diffondere questo modo di vita…”, in
questo modo gli elettori voteranno necessariamente i
loro detrattori.
Per tagliare corto, basterà citare il saggio di Luciano
Canfora, Sulla democrazia, in cui si evidenzia
che l’effettivo funzionamento del potere decisionale
delle democrazie occidentali segna il trionfo del
platonismo, in quanto a decidere non è il popolo, e
neanche i suoi rappresentanti (parlamentari), bensì il
movimentazionismo economico che rimbalza su quello
politico sotto forma di grandi lobbies
finanziarie ed economiche rappresentato dai vari Fondo
Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca Centrale
Europea, Federal Reserve.
Il problema è che questo non è evidente o non vuole
esserlo, ma incredibilmente lo era già quando
l’Accademico scriveva che “…gli uomini d‘affari, a testa
bassa sembra che neppure vedano gli altri cittadini, che
man mano che si mostrano arrendevoli, li colpiscono
iniettandogli denaro, per ricavare, moltiplicati, gli
interessi…”
L’aggravio di una situazione già pesante è data dalla
seconda questio, in ordine sintattico, su cui si
basa il nostro discorso. Se la connivenza, forse
incosciente, del sistema economico-elettivo trova
riscontro in un sistema romano clientelare, il sistema
‘greco’ applicato alla realtà riconduce ad una
problematica, ben più grave. E di molto.
Nessuno può negare la propaganda ad un individuo che,
magari in maniera subdola, riesce ad ottenere consensi
nelle masse che culturalmente risultano più disagiate –
sì, ché il disagio economico, primo indice assoluto, è
quello meno grave – e nessuno può negare che avvengano
rappresentazioni che conducano al loro interno un certo
tipo di messaggio, teso magari a determinati scopi, come
eccitare le masse verso una decisione o verso un’altra,
oppure a convogliarle verso un orientamento. Nessuno lo
vuole impedire.
Ma noi abbiamo l’obbligo di chiedere a noi stessi quale sia
stata la nostra scelta elettorale che, come nel corpo
che abbisogna e necessita di cura e di cure, così è
giusto esigere che coloro che ci governano si occupino
di spingerci verso una cultura pensante, cosciente e
vigile. Poichè sembra che la coscienza comune e la
ratio, la capacità di ognuno di noi di riconoscere
le leggi del reale e di discernere ciò che ha una
funzione, di discernere ciò che è utile da quello che
non lo è, siano sopite.
Questa capacità potrebbe portare, la cultura e la facoltà
d’usare la propria ratio in maniera costruttiva,
ad un più oculato riconoscimento di ciò che realmente è
utile o meno per la collettività da quello che appare
come superfluo e inoltre potrebbe restituire una certa
elevatura culturale, in antitesi all’adeguamento delle
masse al sistema del superfluo, e una certa onestà o
integrità morale.
La cosa che sembra sconvolgente è che anche davanti alla
realtà ed evidenza delle cose le masse sembrano
morfinizzate dalla tipica tecnica di ammortizzamento
plurale conosciuto con la parafrasi: panem et
circenses.
Secondo Platone in realtà la democrazia è portatrice di
gravi mali, poiché dal suo sistema corretto nasce e si
sviluppa il peggiore dei mali: l’assenza di un’autorità
capace e il dominio dell’anarchia creano le condizioni
per un conflitto generalizzato interno “che il popolo
crede di risolvere affidandosi completamente ad un
difensore e dotandolo di poteri straordinari… e che
invece danno luogo alla tirannide”.
Il processo è valevole in tutti i campi e in tutte gli
stati occidentali dall’antichità ad oggi nel momento in
cui viene utilizzato un proclama democratico. La
tirannide, il peggiore dei sistemi di governo subentra
subito dopo, sotto forme mutevoli, al sistema politico
definito come Democrazia. Ciò accadde all’Atene
soloniana del VI secolo a.C., quando subentrò Pisistrato,
oppure come già sottolineato dal Costant, propinatore
della Roma Repubblicana ( = Democratica) su cui la
Rivoluzione Francese, alla ricerca dei tre valori
presenti in democrazia, e propri del movimento popolare,
aveva basato le sue istituzioni che produssero come
risultato il governo personale di Napoleone. Senza, tra
l’altro, voler ricadere nuovamente negli esempi, più
vicini e piuttosto comuni, derivati dalla precoce caduta
del Governo Giolitti e della debolezza della Repubblica
di Weimar che confluiscono nella nascita dei due esempi
più negativi, e allo stesso tempo esemplari, di atroce
tirannia politica.
Ma per il filosofo Ateniese non si tratta di una questione
di principio, in cui egli afferma che la democrazia non
è il migliore delle forme di governo possibili. Tutt’altro.
L’allievo di Socrate evidenzia come la Re Publica
debba essere governata da una “classe” di saggi, savi
e/o sapienti, ovvero che i rappresentati siano scelti
dal popolo come i migliori. Cosa che oggi si sviluppa
proprio in antitesi al sistema attuale, precipuamente
italico.
Per continuare a tenere unite le estremità del passato e
del presente, basterà riportare gli esempi avuti da un
programma in onda sulle reti Fininvest nel 2006. Alcune
puntate del programma Le Iene andate in onda
proponevano una ‘spietata’ Sabrina Nobile nelle vesti di
un’intervistatrice di alcuni senatori ai quali venivano
chieste alcune, semplici domande di cultura generale, un
po’ come si fa ora negli esami preselettivi dei concorsi
pubblici destinati alla massa del popolo. A questo arduo
compito erano chiamati personaggi come onorevoli e
senatori; da qui ne nacque una gag esilarante, in cui le
risposte o i camuffamenti della propria ignoranza
raggiungevano livelli di tattiche belliche, come ultima
e strenua difesa a continui attacchi culturali. Una
catastrofe totale!
E va bene. Nessuno obbliga o chiede che i nostri
parlamentari debbano essere culturalmente elevati o
debbano possedere una cultura di base media. Nessuno. Ma
forse si richiederebbe un po’ di onestà morale e
coerenza politica, quella almeno si. Il minimo, almeno…
Anche
in un secondo caso è necessario riportare la
trasmissione di Italia 1 già citata in precedenza e che
rese pubblico l'uso di droghe da parte degli Onorevoli.
Nel settembre/ottobre del 2006, Matteo Viviani, inviato
de Le Iene e cammuffato da giornalista, ha
intervistato 50 onorevoli che venivano sottoposti ad un
drug wipe (test antidroga tramite l’analisi del
sudore). Risultato: 16 onorevoli su 50 sono risultati
positivi al test. Nelle ultime 36 ore, 12 tra deputati e
senatori avevano assunto marijuana e 4 cocaina.
La
congiunzione di una forte ambizione economica, la
mancanza di cultura, messaggi propagandistici privi di
una realtà a venire positiva, hanno provocato una
distorsione del reale dovuta ad encomi e proclami “…che
con dolci eufemismi definiscono l’arroganza ‘buona
educazione’, l’anarchia ‘libertà’, la dissolutezza ‘magnanimità’,
l’impudenza ‘coraggio’”.
E
dunque in un contesto di questo tipo che le connotazioni
di un risvolto politico e sociale prendano la forma di
un conflitto di tipo generazionale in cui “…i giovani
assomigliano agli anziani e competono con loro nelle
parole e nelle azioni, mentre i vecchi, per compiacere i
giovani, abbondano in facezie e spiritosaggini,
imitandoli per non sembrare sgradevoli e dispotici.”
“E
lì dove una volta c'era la libertà di obiettare, di
pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì
ora avete censori e sistemi di sorveglianza, che vi
costringono ad accondiscendere a ciò e vi hanno promesso
ordine e pace in cambio del vostro silenzioso,
obbediente consenso...”
Le
conclusioni dovrebbero essere logiche e in Grecia, lo
sono state. “L'uccisione – tra l’altro macabramente
ironica, di colui che portava il nome del più grande dei
Greci, Alèxandros (NdA) – da parte di un agente di
polizia, organo di stato a tutela della sicurezza
pubblica, ha scatenato una serie di manifestazioni,
proteste e azioni violente da parte di migliaia di
studenti e militanti anarchici in tutto il Paese…”. (Reuter)
Se
gli stessi organi d’informazione attribuiscono la
responsabilità di queste rivolte alla “…già crescente
rabbia dell'opinione pubblica per gli scandali politici
e l'impatto della recessione globale sull'economia
greca”, vuol dire che esiste un’eventualità secondo cui
gli effetti di una democratizzazione dei popoli,
avventata e inadatta, ha prodotto degli scompensi
principalmente economici, morali e culturali – senza
considerare i veri e propri danni ambientali –
difficilmente risanabili con un processo culturale, a
meno che non si giunga ad un punto di svolta.
Le cose incominciano a diventare preoccupanti in realtà,
non per le varie rivolte che si sono susseguite, e
neanche per i dati che oltre alla richiesta di elezioni
anticipate – puntualmente respinte dal primo ministro
Costas Karamanlis, leader del partito che sbeffeggiando
ironicamente passato e presente, porta il nome di NEA
DEMOKRATIA (Nuova Democrazia) – bensì per i risultati di
due sondaggi dei giornali Ethnos e Kathimerini che
affermano che l'83,3% dei Greci disapprova la risposta
data dal governo, che lo scontento – pari al 65,6% – è
diffuso sia tra i sostenitori del partito di
maggioranza. Il 68% degli interpellati disapprova
l'operato del governo e soprattutto, udite udite!,
è chiaro al 60% del campione intervistato che le rivolte
sono sollevazioni sociali e non episodi di violenza da
parte di pochi e isolati manifestanti.
Ebbene si. Potrebbe trattarsi proprio di sollevazioni,
rivolte, ribellioni sociali.
E in un quadro così completo, come quello fornito in cui il
sistema occidentale, mal retto e governato dai politici
– oltre a rispecchiare il fatto, in realtà, che per anni
ha mantenuto una solidità economica invidiabile, tanto
da non essersi mai trovato in una seria difficoltà
economica o esser mai sfiorato dall’incubo di una crisi
– ora si trova in bancarotta, ovviamente per i debiti
accumulati.
Queste rivolte, non devono essere prese come un fattore
negativo di tipo parabellico o rivoluzionistico, perché
rappresentano il campanello d’allarme di una classe, o
per meglio dire di un gruppo, di persone che ritengono
che il sistema finora propinato possa condurre ad una
situazione sociale ed economica, molto più grave di
quella attuale e nel voler dimostrare ciò, vengono presi
di mira i maggiori responsabili di questa situazione,
coloro che ci governano: politicamente ed
economicamente.
Da qualche anno con cadenza quasi biennale si assiste a
delle sollevazioni, per lo più giovanili che si
oppongono a questo tipo di sistema, ormai radicato e
compassato, che ha provocato solo dei benefici
momentanei ed effimeri, senza porre le basi per un
solido futuro.
Dalle rivolte del “popolo di Seattle”, ai vari G8, ai
numerosi scontri nelle banlieues francesi che
videro l’inizio di una serie particolarmente violenta di
azioni proprio con la morte di Carlo Giuliani, di Zyed
Benna e Bouna Traoré, si è giunti ai fatti ellenici e al
‘nostro Alexis’.
“È vero, la rivolta francese è partita come qui per un
episodio di ingiustificata violenza poliziesca. Ma le
similitudini finiscono qui. Il nostro movimento è
composto da decine di migliaia di persone normali che
chiedono solo una politica diversa, più attenta ai
bisogni dei lavoratori e dei giovani”. Di questo ne è
ben convinto Dimitris Tzanakopoulos, leader della
rivolta greca che negli ultimi giorni ha preso di mira
tutti i simboli del potere e della ricchezza: dalle sedi
di polizia agli esercizi commerciali, dicendo che
“…quello che stiamo vivendo potrebbe verificarsi
ovunque: in Italia, in Francia, laddove la
privatizzazione dei servizi e la recessione economica
rendono esplosiva la situazione, in tutte le democrazie
a capitalismo maturo.” Appunto, maturo…
Oggi 31 dicembre 2008, ad Atene, il conto alla rovescia per
l’arrivo del nuovo anno è stato bloccato, perché non si
dimenticasse. Il grande orologio digitale presente sul
megaschermo in piazza
Syntagma rispecchia quello che aveva risposto Dimitris, il leader
della rivolta, alla domanda: “È
in grado di promettere che finiranno le violenze?”
e a tutt’oggi ancora valido e attuale poichè la risposta
coincide con i fatti del capodanno greco, secondo il
quale: “Non dipende da noi smettere. Non controlliamo le
bande anarchiche e i giovani sottoproletari delle
periferie. Qualcosa però possiamo promettere: che non
finisce qui, la mobilitazione continua.
E continua la protesta, forte, pressante, nei riguardi del
governo, continua e martellante, ad oggi lunga quasi un
mese. Come uno tzunami che inghiotte una
squallida “onda anomala” ormai assopita da qualche,
controllato, cinematografico e ridicolo tafferuglio…
“La
sua speranza, quella di ricordare al mondo che l'equità,
la giustizia, la libertà sono più che parole: sono
prospettive.” […] “Ma se vedete ciò che vedo io, se la
pensate come la penso io, e se siete alla ricerca come
lo sono io, vi chiedo di mettervi al mio fianco…”
Quotes
tratte dal film: V per Vendetta, tratte
a sua volta dal fumetto omonimo di Alan Moore e David
Lloyd
Riferimenti bibliografici:
Contro la Democrazia. Platone. A cura di Franco Ferrari, Roma 200