antica
La
romanità antica e
i suoi temi
SULLA Cena Trimalchionis
di Riccardo Renzi
«Nos interim vestiti errare coepimus immo iocari
magis et circulis accedere, cum subito videmus senem
calvum, tunica vestitum russea, inter pueros
capillatos ludentem pila. Nec tam pueri nos,
quamquam erat operae pretium, ad spectaculum
duxerant, quam ipse pater familiae, qui soleatus
pila prasina exercebatur» (Petronio Attico,
Satyricon). Questo l’incipit di uno degli
episodi più celebri di tutta la letteratura latina:
la Cena Trimalchionis.
La cena, all’interno del Satyricon, si
protrae per ben 52 capitoli, dal 27 al 78, nei quali
Petronio illustra con distaccata ironia e magistrale
attenzione alle minuzie antropologiche, una società
ormai priva di ogni valore morale e culturale, nella
quale la corruzione e la ricchezza hanno sostituito
i Mores maiorum. Interessante a tal proposito
è lo studio condotto da Henri-Irénée Marrou in la
Decadenza romana o tarda antichita?. La società
descritta dall’autore è quella della seconda metà
del I secolo d. C., ove pullulano liberti,
arricchitisi grazie alla loro mentalità cinica e
avida.
La cena ebbe un’enorme fortuna nella storia della
letteratura, a tal proposito ci sovviene in aiuto
Nietzsche in Al di là del bene e del male, II,
28: «Petronio, che più di qualsiasi altro
musicista fino a oggi è stato maestro del presto,
con le sue invenzioni, trovate, parole – che
importano infine tutte le paludi del mondo malato,
cattivo, anche del “vecchio mondo”, si hanno come
lui i piedi di un vento, il tratto e il respiro, il
liberatorio sarcasmo di un vento che sana ogni cosa,
mentre costringe ogni cosa a correre!».
L’opera ebbe una fortuna costante nel corso dei
secoli, basti pensare a quanti intellettuali la
citarono o fecero a essa riferimento, da Flaubert a
Benjamin, da Lukács a Sanguineti di Capriccio
italiano (1963), però deflagrò definitivamente
con la letteratura italiana del secondo Novecento.
Andiamo con ordine, un caposaldo nella riscoperta e
valorizzazione dell’opera venne fissato da Federico
Fellini, con l’omonimo film. Il Satyricon
riscritto istituisce una sorta di discronia. Il
passato è certamente passato in Fellini, ma certe
atmosfere del suo film richiamano, oltre a un
presente “romanaccio”, il gusto delle copertine di
Urania. Inoltre nel Satyricon di Fellini
anche il richiamo all’italum acetum è molto
forte. Per il regista il tempo collassa su se stesso
generando una dilatazione del reale, l’immemoriale
mondo evocato potrebbe essere tanto una satira del
presente quanto una visione del futuro, come una
narrazione di un mitico passato. Dei personaggi, dei
protagonisti, delle voci di quel film, non rimane
nella scena finale che dei pezzi di affresco sopra
un muro: sono risprofondati nel loro elegiaco
passato, incompleto, misterioso.
Passando alla letteratura, non si può non menzionare
Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino, che
racchiude in sé gran parte della letteratura
occidentale. In tale opera il Satyricon viene
menzionato nella terza edizione dell’opera, edita
nel 1993. In Arbasino la traccia petroniana è una
traccia distopica, ma descrive un’Italia niente
affatto dominata dal ‘controllo’ orwelliano, bensì
franata per incuria, incapacità, menefreghismo e
corrotta nel suo profondo, senza più valori
concreti, erosa da un capitalismo sfrenato.
Legato all’aspra critica capitalista è il pensiero
di uno dei più grandi intellettuali del Novecento,
Pier Paolo Pasolini. Petrolio fu senza dubbio
il più grande capolavoro di Pasolini, un’opera
visionaria, una sorta di testamento intellettuale,
rimasto incompiuto e pubblicato postumo da Einaudi
nel 1992. L’intellettuale lavorò alla sua stesura
dalla primavera del 1972 sino alla sua morte,
avvenuta il 2 novembre 1975. Dell’opera ci sono
pervenute 522 pagine scandite in “Appunti” con una
numerazione progressiva, che si configurano in un
insieme di frammenti più o meno estesi e di soli
titoli.
Nel romanzo sono racchiuse le vicende più oscure
dell’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta del
Novecento, compresa quella relativa alla misteriosa
scomparsa dell’imprenditore Enrico Mattei. Per il
protagonista dell’opera, Carlo, Pasolini si ispirò
alla vita di Francesco Forte, vicepresidente
dell’Eni, titolare della cattedra a Torino che fu di
Luigi Einaudi e membro del comitato scientifico
della Fondazione Einaudi. L’opera pasoliniana è
profondamente permeata da quella petroniana, in
primis il titolo che nel suono richiama quello
dell’autore del Satyricon, Petronio/Petrolio,
però i richiami non si fermano qui, in tutta l’opera
viene perpetuata una forte critica alla decadenza
dell’alta borghesia italiana degli anni Sessanta e
Settanta. Il climax apicale del richiamo al
Satyricon si ha nella sezione dedicata alla
cena in un appartamento di un alto borghese.
L’inizio dell’opera pasoliniana è un atto di
cannibalismo letterario, l’autore nega i canoni
costitutivi della forma-romanzo a partire dal rito
iniziatico dell’incipit, luogo della
narrazione deputato alla “seduzione adescatoria”
dell’autore. Il mito, la magia e il reale si fondono
dando vita a un magma letterario unico, proprio come
nell’opera petroniana.
Interessante il fatto che Pasolini rifiuti
l’ammiccamento malioso dell’ouverture
borghese, proprio come Petronio fa con i liberti
arricchiti. A questo punto sorge un inestricabile
quesito: lo sguardo occulto ma dissacratorio di
Petronio può essere tacciato di moralismo e di
snobistica condanna etica del suo microcosmo di
personaggi del reale, proprio come anche quello
pasoliniano? Certamente. I due si accomunano anche
in questo, entrambi sono il frutto di una società
ormai profondamente permeata dalla decadenza, che
criticano la decadenza stessa.
Il già menzionato Sanguineti pone Petronio, insieme
a Dante e Kafka, tra i numi tutelari della scrittura
‘onirica’ di Capriccio italiano. E ciò non
può non riportarci alla mente le parole di Erich
Auerbach: «Quella che ci viene presentata non è
la cerchia di Trimalcione come realtà obiettiva, ma
invece un’immagine soggettiva, quale si forma nel
capo di quel vicino di tavola, che però di quella
cerchia fa parte. Petronio non dice: “È così” -
lascia invece che un soggetto, il quale non coincide
né con lui né col finto narratore Encolpio, proietti
il suo sguardo sulla tavolata, un procedimento assai
artificioso, un esperimento di prospettiva, una
specie di specchio doppio che nell’antica
letteratura conservataci costituisce non oserei dire
un unicum, ma tuttavia un caso rarissimo. […] Si
tratta del soggettivismo più spinto, che viene
maggiormente accentuato dal linguaggio individuale
da una parte, e per intenzione di obiettività
dall’altra, dato che l’intenzione mira, per mezzo
del procedimento soggettivo, alla descrizione
obiettiva dei commensali, compreso colui che parla.
Il procedimento conduce a un’illusione di vita più
sensibile e concreta in quanto, descrivendo il
vicino di tavola, il punto di vista viene portato
dentro all’immagine, e questa ne guadagna in
profondità così da sembrare che da uno dei suoi
luoghi esca la luce da cui è illuminata».
Risulta assai complessa una lettura di Capriccio
italiano senza la mediazione del critico
tedesco. La tesi auerbachiana della Coena
trimalchionis come limite del realismo antico
pone ad esempio nella luce giusta l’onirismo di
Capriccio italiano. Nella nuova creazione
letteraria sogno, realtà e misticismo, come nel
Petrolio pasoliniano diventano una cosa sola.
Petronio, arbitro di arte ed eleganza presso la
corte di Nerone, lancia un nuovo modello letterario,
una critica profonda e intestina a una società che
ormai poco rispecchiava quella dei decenni
precedenti. Tale modello ebbe un’enorme fortuna
nella storia della letteratura e ciclicamente,
proprio in ogni momento di decadenza, venne ripreso
a modello, perché moderno e attuale nella sua
critica.
Il Satyricon risultò essere così vincente,
proprio per la sua modernità. Petronio è sociologo e
psicoanalista dell’antichità, che ama scandagliare i
vizi e le virtù di una società ormai in decadenza.
Riferimenti bibliografici:
Petronio Attico, Satyricon, introduzione,
traduzione e note di Andrea Aragosti, Bur Rizzoli,
Milano 1995.
H. Marrou in la Decadenza romana o tarda
antichita?, Jaca book, Milano 1979.
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