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N. 27 - Marzo 2010
(LVIII)
alcide De Gasperi e Jacques Delors
Alle radici dell’europeismo contemporaneo - PARTE I
di Marco Lavopa
Se è
verosimile
che
l’Europa
sta
cogliendo
la
sua
unità
politica,
è
anche
singolare
che
essa
corra
il
rischio
di
smarrire
la
propria
ragion
d’essere:
una
vera
questione
europea?
Proviamo
a
riflettere
sull’odierna
crisi
europea
partendo
dalla
decadenza,
verificatasi
all’indomani
della
fine
del
secondo
conflitto
mondiale,
della
vecchia
Europa.
Come
è
noto,
ben
presto
dopo
quel
tragico
conflitto,
i
due
grandi
vincitori,
gli
Stati
Uniti
e
l’Unione
Sovietica,
iniziarono
ad
accusarsi
reciprocamente
di
non
rispettare
gli
accordi
di
Yalta.
L’URSS
ed i
suoi
alleati
si
asserragliarono
dietro
a
quella
che
Churchill
denominò
“cortina
di
ferro”,
una
brillante
invenzione
propagandistica
che
era
divenuta
nel
giro
di
qualche
anno
un
corposo
confine
tra
“mondi”
diversi
ed
ostili.
Il
secondo
dopoguerra
fu
caratterizzato
dalla
divisione
del
mondo
in
due
differenti
sfere
di
influenza.
Con
il
“colpo
di
Praga”
e il
“blocco
di
Berlino”,
nel
1948
iniziava
la
stagione
della
tensione,
che
il
noto
giornalista
americano
Walter
Lippman
cominciò
a
denominare
con
il
termine
di
“guerra
fredda”,
Cold
War.
Dal
1950,
la
guerra
fredda
si
era
estesa
all’Asia
orientale,
ma
il o
cuore
pulsante
era
rimasta
l’Europa.
Il
1956,
con
le
sue
crisi
–
dalla
Polonia
all’Ungheria
–,
aveva
senz’altro
contribuito
a
consolidare
questo
quadro,
rendendo
sempre
più
intangibili
le
linee
divisorie
tra
i
blocchi
di
Stati
realizzati
attorno
alle
due
superpotenze,
creando
in
conseguenza
di
ciò
forte
e
permanente
instabilità
politica
e
militare.
Di
fatti,
dopo
il
1956,
un
tema
critico
era
quello
della
sicurezza
e
della
gestione
dell’armamento
nucleare,
e
della
nuova
tecnologia
missilistica.
Nel
corso
di
tutto
la
stagione
della
tensione,
Pio
XII
aveva
più
volte
condannato
la
perpetrata
corsa
agli
armamenti,
manifestando
pubblicamente
le
proprie
preoccupazioni
circa
la
nuova
questione
del
nucleare,
e
spendendosi
–
questa
volta
chiaramente,
al
contrario
di
quanto
fatto
durante
il
secondo
conflitto
mondiale
– in
nome
della
pace.
A
tal
proposito,
tornano
in
mente
le
parole
di
Pio
XII
enunciate
nel
radiomessaggio
per
il
Natale
del
1955.
In
quella
occasione
il
Sommo
Pontefice
sostenne
"la
necessità
della
cessazione
degli
esperimenti
atomici,
garantita
da
strumenti
imparziali
di
controllo,
e la
rinunzia
delle
armi
atomiche…".
La
nuova
condizione
geopolitica
creatasi,
obbligò,
di
fatto,
alcuni
attori
di
quella
magra
storia
a
cambiar
passo
e a
rivedere
la
condotta
di
alcune
strategie.
Tra
quegli
“oscuri
attori”
vi
era
certamente
la
Chiesa
di
Roma.
Dall’Est
europeo,
giungevano
notizie
gravi
sulle
condizioni
dei
credenti
di
fede
cattolica,
per
questo
ai
politici
cristiano-cattolici
d’Europa,
le
Democrazie
–
appoggiate
dalla
Chiesa
di
Roma
–
affidavano
un
compito
energico
e
oneroso:
seguire
e
contribuire
con
positive
soluzione
alle
dispute
in
corso
in
terra
d’
Europa.
La
tradizione
cristiana
poteva,
visto
il
suo
antico
e
solido
impianto
europeo,
provare
a
mettere
insieme
quelle
forze
atte
a
trovare
soluzioni
di
compromesso,
al
fine
di
mitigare
le
contese
in
atto
in
quegl’anni
in
gran
parte
del
territorio
europeo.
La
fine
della
guerra
fredda
(con
il
conseguente
dissolvimento
del
blocco
sovietico),
la
secolarizzazione,
il
pluralismo
moderno
e
postmoderno
hanno
concretamente
cambiato
la
situazione
sia
del
vecchio
Continente
sia
della
Chiesa
cristiana
in
esso;
determinare
una
precisa
identità
europea
è
impresa
difficile,
non
si
può
individuarla
geograficamente
come
si
potrebbe
fare
invece
per
l’Africa,
l’Australia
o le
due
Americhe.
Tuttavia,
di
quale
identità
si
sta
parlando?
Proverei
a
dare
una
risposta,
chiamando
in
causa
un
pensatore
laico
–
laicissimo,
direi
–
come
Max
Weber,
questi
non
sembra
aver
alcun
dubbio
su
quale
sia
l’identità
del
vecchio
Continente,
e su
quale
sia
la
reale
portata
dell’eredità
religiosa
europea.
"Nel
trattare
i
problemi
della
storia
universale,
il
figlio
della
moderna
cultura
europea
–
dice
Weber
–
formulerà
inevitabilmente
e a
ragione
la
seguente
domanda:
per
quale
concatenazione
di
circostanze,
proprio
qui,
in
terra
d’Occidente,
e
soltanto
qui,
si
sono
prodotti
dei
fenomeni
culturali
i
quali
si
sono
trovati
in
una
direttrice
di
sviluppo
di
significato
e di
validità
universali?".
La
scienza
come
impresa
razionale,
l’arte
come
impresa
razionale,
lo
Stato
come
stato
di
diritto,
cioè
una
organizzazione
razionale,
l’organizzazione
razionale
capitalistica
del
lavoro
formalmente
libero,
e
così
via,
è
soprattutto
nel
mondo
europeo
ed
occidentale
che
acquistano
un
significato
particolare.
Questa
razionalità,
a
parere
di
Weber,
è
una
possibilità
che
si
può
dare
solo
se
esiste
una
predisposizione
nella
condotta
umana
ad
aderire
a
certe
forme
di
comportamento.
Fra
i
più
importanti
fattori
di
formazione
della
condotta
razionale,
sicuramente,
vi è
appunto
il
fattore
religioso
e
Weber
dedica
i
suoi
migliori
sforzi
alla
descrizione
di
questo
rapporto.
Insomma,
l’impresa
dell’Unione
europea
deve
il
proprio
progetto,
la
particolare
organizzazione
razionale,
alla
determinazione
religiosa
dei
comportamenti
sociali
e
politici
–
indicazione
giudaicocristiana
– e
su
questo,
Weber,
non
ammetterebbe
alcun
dubbio.
Inoltre,
la
sfida
del
pluralismo
ha
avuto
– ed
ha
ancora
oggi
–
conseguenze
per
l’intera
prospettiva
europea.
In
seguito
alla
catastrofe
della
seconda
guerra
mondiale,
quella
dell’Unione
europea
è
stata
l’idea
probabilmente
più
felice
e
feconda
della
seconda
metà
del
secolo
appena
trascorso.
Di
questa
raggiante
intuizione,
grandi
meriti
vanno
a
uomini
di
fede
cristiana
come
Konrad
Adenauer,
Robert
Schuman,
Alcide
De
Gasperi,
e
non
ultimo
Jacques
Delors,
politici
che
hanno
dato
ampio
impulso
a
codesta
grande
aspirazione
unitaria.
In
questa
sede,
visto
anche
il
riproporsi
attuale
di
discussioni
affini
al
ruolo
politico
dell’etica
religiosa,
sarà
mia
premura
narrare
i
meriti
e le
gesta
di
due
dei
padri
dell’europeismo,
uomini
cristiani,
che
hanno
fatto
grande
il
sogno
di
una
Europa
unita:
Alcide
De
Gasperi
e
Jacques
Delors.
"Noi
due
dobbiamo
vivere
ancora
due
anni.
Quando
l’Europa
sarà
unita
potremo
andare
definitamene
a
riposo".Con
queste
parole
il
25
marzo
1954
Alcide
De
Gasperi
accoglieva
Konrad
Adenauer
nella
sua
casa,
a
Castel
Gandolfo.
Da
allora
sono
passati
oltre
cinquant’anni
e
l’Europa
è
ancora
alla
ricerca
di
una
sua
dimensione
istituzionale,
e
non
solo.
Come
ripensare
e
rivedere
le
idee
di
De
Gasperi
sull’integrazione
europea,
oggi
che
le
condizioni
economiche,
sociali
e
forse
gli
egoismi
nazionali
tendono
a
turbare
l’equilibrio
difficile
di
un
labile
interesse
comunitario,
sconvolgendo
o
rinviando
quella
costruzione
ideale
che
i
padri
dell’Europa
unita
–
tra
cui
De
Gasperi
–
avevano
iniziato?
Per
rispondere
a
questo
amletico
interrogativo,
mi
riferirò
a
quello
che,
a
mio
vedere,
rappresenta
un
vero
e
proprio
testamento
sulla
speranza
della
futura
Unione
europea:
gli
scritti
e i
discorsi
di
Alcide
De
Gasperi
sull’Europa.
La
visione
unitaria
degli
Stati
del
Vecchio
continente
non
fu
per
De
Gasperi
un
sogno
dell’ultima
ora,
bensì
una
credenza
maturata
nelle
realtà
della
propria
vita
e
del
suo
tempo.
Nel
giugno
del
1911,
De
Gasperi
fu
eletto
deputato
trentino
alla
Camera
di
Vienna,
un
semplice
esempio
di
parlamento
europeo,
in
cui
le
nazioni
si
trovavano
unite
sotto
lo
stesso
interesse
generale,
dissimulando
in
tal
modo
conflitti
latenti
ed
antagonismi
nazionali.
L’equilibrio
risultante
sarebbe
potuto
sembrare
solo
cooperazione
e
concordia,
invece
era
la
derivante
di
un
numero
infinito
di
tendenze
diverse
che
convivevano
pacificamente
tra
loro.
Da
quel
centro
di
cultura
che
fu
il
mondo
mitteleuropeo,
gli
apparve
più
facile
osservare
con
occhio
critico
le
vicende
delle
nazioni,
le
guerre,
la
vita
difficile
delle
minoranze.
Furono
le
guerre
balcaniche
che
fecero
da
sfondo
ai
suoi
appelli
all’umanità,
alla
comprensione
tra
gli
europei
e ai
diritti
degli
oppressi.
Difatti,
nel
1951
al
Consiglio
d’Europa,
De
Gasperi,
ricorderà
che:
"dobbiamo
difenderci
contro
una
funesta
entità
di
guerre
civili,
perché
tali
vanno
considerate
le
guerre
europee
dal
punto
di
vista
della
storia
universale...
Questo
alternarsi
di
aggressioni
e di
rivincite,
di
spirito
egemonico,
di
avidità
di
ricchezza
e di
spazio...
È
contro
germi
di
disintegrazione
e di
declino,
di
reciproca
diffidenza
e di
decomposizione
morale
che
noi
dobbiamo
lottare".
Egli
è un
vero
uomo
religioso,
pertanto
è
contro
la
violenza!
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