.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

arte


N. 71 - Novembre 2013 (CII)

il Cuore di De Amicis
un testo letterario simbolo di un'epoca

di Giovanni Valletta

 

Numerosi sono stati nel passato i grandi studiosi che, nonostante la diversità degli ambiti disciplinari e la distanza temporale, hanno esaltato la funzione della letteratura, considerandola spesso come un utilissimo mezzo per la ricostruzione di contesti storici che potrebbero, in alcuni casi, restare totalmente ignoti per la carenza di documentazione a disposizione degli studiosi.

 

Considerazione quasi ovvia oggi, ma che nel tempo ha avuto modo di consolidarsi in virtù di validissimi esempi; come non ricordare la “Divina Commedia”, sublime opera del fervido ingegno dantesco e, allo stesso tempo, concreta rappresentazione di un'Italia lacerata dai conflitti comunali fra le fazioni guelfe e quelle ghibelline; oppure, saltando di qualche secolo (solo per motivi logistici), doveroso mi pare citare non un singolo autore letterario, bensì un movimento letterario quale quello neorealista, diffusosi nel secondo dopoguerra e specchio fedele di un tragico patrimonio di truci immagini e ricordi bellici indelebilmente scolpiti nella mente dei lettori e degli autori neorealisti.   

 

In questo succinto articolo focalizzerò la mia attenzione intorno ad una pagina celeberrima del libro "Cuore", testo pubblicato nel corso del 1886 da Edmondo De Amicis.

 

Come spesso accade per i libri di successo, la loro fama tende a far obliare la sorte dell'autore, oppure a ridimensionare la sua esperienza letteraria esclusivamente alla pubblicazione di quel determinato testo.

 

Più volte De Amicis si mostrò polivalente, dato ravvisabile anche dai testi da lui pubblicati ed oggi quasi totalmente sconosciuti ai più: "Spagna", "Olanda", senza dimenticare la copiosissima produzione giornalistica (De amicis inventò il genere dell'intervista).

 

Questi dati basterebbero da soli a mostrare quanto questo letterato fosse ben insito nel contesto in cui viveva, ma proverò a dimostrare ciò ripercorrendo soprattutto un passo della sua opera più celebrata: "Il ragazzo calabrese".

 

In breve, il passo racconta dell'arrivo nelle terza elementare del maestro Perboni di un nuovo alunno calabrese. Quanto mai interessanti risultano, però, alcune caratteristiche di questo estratto che tra poco evidenzierò.

 

In primis, dense di significato risultano le parole che il piccolo narratore Enrico utilizza per descrivere in neo arrivato: "un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri,con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte", parole che riportano inequivocabilmente uno stereotipo della meridionalità (termine quanto mai capzioso nella fase post-unitaria) ben diffuso all'epoca e che mostra quanto la nuova patria fosse ancora tutta da scoprire nelle sue bellezze e nelle sue diversità; un'Italia che appariva quanto mai sconosciuta soprattutto ai nuovi Italiani che, solamente a partire dall'ultimo trentennio dell'Ottocento, favoriti da un progressivo miglioramento dell'economia italiana e dalla maggiore accessibilità dei prezzi dei nuovi mezzi di trasporto (nave e treno), ebbero maggiori opportunità per conoscere il loro Paese, ma soprattutto le molteplici genti che lo componevano, così diverse, quanto così repentinamente e pertinacemente unite. Per mostrare quanto realmente fosse sconosciuta la Patria ai neo Italiani, farò riferimento a due episodi.

 

Restando ancorati alla pagina sopra citata di De Amicis, possiamo "leggere", nel gesto del maestro Perboni che indica ai suoi scolari l'ubicazione di Reggio Calabria, la dimostrazione di quanto fosse labile, anche geograficamente, la conoscenza del territorio nazionale. Inoltre, aneddoto storico, è possibile rammentare l'esperienza di Camillo Benso conte di Cavour, anima del processo unitario che, pur avendo viaggiato moltissimo per l'Europa, mai varcò la linea gotica.

 

Proseguendo con l'analisi del passo considerato, dense di significato risultano le parole e le azioni del maestro che, dopo aver elogiato Reggio Calabria perché "terra gloriosa, che diede all'Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei buoni soldati",  invita i suoi ragazzi ad accogliere il piccolo reggino in modo tale da evitare che possa avvertire la lontananza dal luogo natìo.

 

Infine, sempre animato da tono paterno e bonario, invoglia Derossi, "quello che ha sempre il primo premio", ad abbracciare il neo arrivato. Dietro la scena testé descritta si celano i tangibili segni della politica post-unitaria della neo classe dirigente, ben percepita dallo scrittore piemontese.

 

Volendo costruire uno schema interpretativo dell'episodio appena citato, potremmo considerare il maestro Perboni come una metafora della monarchia sabauda o, in modo più ampio, della classe dirigente o dell' intellighenzia che, subito dopo il 1861, fu chiamata a "fare gli Italiani" (per usare le parole di Massimo D'Azeglio), adottando una strategia di "mescolamento" che in molteplici ambiti può essere ravvisata.

 

Onde evitare di appesantire eccessivamente il testo, mi limiterò a citare solamente due casi che possano testimoniare quanto ho appena detto.

 

Il primo, facilmente ravvisabile, è rappresentato dalla volontà manifesta dopo il 1882 (anno della morte di Garibaldi) di abbandonare ogni fora di ideologia contrastante, nel tentativo di mostrare quanto fossero stati uniti i quattro padri della Nazione durante il processo unitario, dimentichi dei molteplici contrasti che intercorsero fra di loro.

 

Campeggiavano sui giornali e nei discorsi immagini e rappresentazioni di Cavour e Garibaldi uniti assieme, Mazzini come uno dei "vincitori" del Risorgimento, fatti del tutto lontani dalla realtà storica.

 

Il secondo caso che citerò è notevolmente implicito ed è rappresentato dalla politica di "mescolamento" adottata nell'ambito della neonata amministrazione italiana, nel tentativo di uniformare ed omogeneizzare dal punto di vista burocratico ed umano una classe burocratica che, facendo parte di diversi regni pre-unitari, provenivano da differenti impostazioni lavorative e culturali.

 

Illuminanti sono a tal proposito gli studi del Prof. Guido Melis, dai quali ben si evince come l'apparato burocratico italiano sia stato utilizzato come vettore unitario nell'immediato post-unità.

 

Ritornando allo schema interpretativo precedentemente adottato, potremmo considerare l'abbraccio fra il primeggiante Derossi ed il nuovo alcuno come il perfetto suggello della politica di omogeneizzazione che nelle righe precedenti ho tentato di mostrare.

 

Queste sono solamente le molteplici echi che si possono ravvisare e carpire da un singolo estratto di Cuore.

 

Il testo di Edmondo De Amicis viene quindi annoverato giustamente fra i capolavori della letteratura, ciò è reso possibile non solo dagli aspetti linguistici e stilistici o dalla brillante intuizione tematica dello scrittore piemontese, ma anche e soprattutto dalla capacità di essere un'opera che riesce a dar vita e voce ad un'epoca storica, facendone trapelare i costumi, la mentalità ed il contesto politico, evidenziando così degli aspetti che in modo fecondo possono aiutare il lavoro della storiografia nell'andare a ricostruire il contesto storico della seconda metà dell'Ottocento. 



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.