N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
david
hume
e la
storia
dell’inghilterra
un
modello
perfetto
di
storia
nazionale
di
Vincenzo
La
Salandra
Filosofo
originale,
David
Hume
(1711-1776)
è
anche
uno
dei
maggiori
storici
d’Inghilterra.
Nato
a
Edimburgo,
studiò
malvolentieri
giurisprudenza
ed
entrò
nel
commercio,
senza
nessuna
attitudine
per
gli
affari:
ben
presto
decise
di
dedicarsi
allo
studio
della
filosofia
e
della
storia.
Dimorò
a
lungo
in
Francia
dove
conobbe
gli
enciclopedisti
e fu
l’amico
e
protettore
di
Rousseau.
Tornato
in
Inghilterra
pubblicò
alcuni
saggi
economici,
filosofici
e
morali,
nei
quali
si
professava
partigiano
del
libero
scambio,
pirronista
e
utilitario.
Nominato
bibliotecario
a
Edimburgo
diede
avvio
alla
stesura
della
Storia
d’Inghiterra,
che
fu
pubblicata
a
periodi
separati.
I
primi
volumi
non
furono
accolti
subito
con
unanime
consenso,
narrano
il
regno
degli
Stuart:
col
trascorrere
degli
anni
ed
esaminata
senza
passione
la
Storia
d’Inghilterra
di
Hume
fu
unanimemente
giudicata
un
modello
perfetto
di
storia
nazionale.
L’opera
di
Hume
si
segnala
per
inestimabili
pregi:
per
la
chiarezza
e la
precisione
dello
stile,
per
l’equilibrata
proprietà
del
linguaggio,
per
il
modo
attraente
di
raccontare
le
vicende
storiche
e
per
l’ampiezza
di
vedute
non
comune
nel
panorama
degli
storici
d’Inghilterra.
Forse
il
merito
principale
di
Hume
nella
stesura
della
sua
opera
storica,
probabile
segreto
della
sua
coerenza
e
scorrevolezza,
consiste
nell’aver
diminuito
il
valore
e il
peso
delle
guerre,
dei
trattati
e
delle
successioni,
per
mettere
nella
giusta
luce
le
condizioni
del
popolo
e il
progresso
delle
arti,
lo
sviluppo
delle
scienze
applicate,
e i
progressi
nelle
lettere
e
nel
commercio.
Hume
anticipò
le
esigenze
di
una
ricerca
storica
dedicata
alla
rappresentazione
di
un
popolo
intero,
creando
una
storia
più
ricca
e
più
viva
e
non
ridotta
alla
sola
cronaca
dinastica
e
troppo
legata
alle
vicende
della
sola
corte.
Nello
stesso
periodo
uno
storico
scozzese
W.
Robertson
(1721-1793)
pubblicava
nel
1759
la
sua
Storia
di
Scozia,
e
nel
1769
una
pregevole
Storia
di
Carlo
V,
con
un
bellissimo
capitolo
introduttivo
sul
progresso
in
Europa,
dalla
caduta
dell’Impero
romano
fino
al
XVI
secolo,
pagine
piene
di
un
precoce
spirito
europeista
e
degne
di
essere
studiate
accanto
al
Machiavelli.
Robertson
pubblicò
anche
nel
1777
la
sua
bellissima
e
istruttiva
Storia
della
scoperta
dell’America,
che
segna
il
cambiamento
dei
tempi
e
l’interesse
rinnovato
per
l’America.
La
Scozia
produsse
nel
campo
della
storia
nel
secolo
XVIII
opere
notevoli:
modelli
di
letteratura
inglese
del
Settecento
e
libri
di
storia
ancora
utilissimi
per
gli
studi
moderni.
Hume
e
Robertson
sono
i
maggiori
storici
della
Scozia
del
Settecento,
ma
Hume
fu
specialmente
un
filosofo
e
alla
sua
attività
filosofica
dedichiamo
la
conclusione
di
questo
contributo.
Hume
fu
infatti
dominato
fin
dalla
giovinezza
da
una
grande
passione
per
gli
studi
filosofici.
Aveva
soggiornato
in
Francia
in
quel
convento
di
La
Flèche
(Artois)
che
un
secolo
prima
aveva
ospitato
Cartesio,
dopo
un
ritorno
in
Inghilterra,
in
qualità
di
istitutore
in
famiglie
nobili
e
poi
segretario
dell’ammiraglio
Saint-Clair,
Hume
viaggiò
ancora
in
Olanda,
Austria
e in
Italia
come
segretario
d’ambasciata
e
nuovamente
a
Parigi,
bibliotecario
presso
la
facoltà
di
giurisprudenza
all’epoca
dell’amicizia
con
Rousseau.
I
viaggi
contribuirono
non
poco
alla
sua
formazione
filosofica.
In
filosofia
riprese
con
coerenza
il
pensiero
di
Locke
e
collocò
il
suo
nome
tra
quello
dei
grandi
empiristi
inglesi.
Alla
su
prima
opera
il
Trattato
sulla
natura
umana,
del
1739,
fece
seguire
una
rielaborazione
del
testo
che
ripubblicò
in
due
parti:
la
Ricerca
sull’intelletto
umano
nel
1748,
e,
nel
1751
la
Ricerca
sui
principi
della
morale.
Tra
le
sue
opere
più
note
e
seminali
per
la
storia
della
filosofia
europea
nel
Settecento
è
utile
ricordare
i
Dialoghi
sulla
religione
naturale,
1751,
la
Storia
d’Inghilterra,
pubblicata
nel
1754
e di
cui
si è
detto,
ed
ancora
la Storia
naturale
della
religione,
del
1775,
l’anno
prima
della
sua
scomparsa.
Ed è
quasi
un
piccolo
e
ironico
testamento
filosofico
l’ultima
pagina
di
questa
sua
ultima
opera
sulla
religione:
«Tutto
è un
punto
interrogativo,
un
enigma,
un
inesplicabile
mistero.
Dubbio,
incertezza,
sospensione
di
giudizio
sono
l’unico
risultato
della
nostra
più
accurata
ricerca
in
proposito.
Ma
tanto
è
debole
la
ragione
umana,
tanto
è
irresistibile
il
contagio
delle
idee
che
è
difficile
mantenere
anche
questo
cauto
dubbio.
Per
conto
nostro
non
vogliamo
allargare
il
campo
d’indagine,
e,
opponendo
una
specie
di
superstizione
all’altra,
le
faremo
litigare;
e
intanto
mentre
si
infuriano
e si
accapigliano
cercheremo
rifugio
felicemente
nelle
regioni
calme,
seppure
oscure,
della
filosofia».