[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 151 / LUGLIO 2020 (CLXXXII)


arte

Honoré Daumier e la satira sociale in pittura

Ecce Homo (Vogliamo Barabba!)

di Gaido Federica

 

Daumier è un artista pienamente realista che si serve dell’opera come mezzo per far conoscere la realtà della società capitalistico-borghese mettendone in evidenza le contraddizioni. Il suo stile è vigorosamente espressivo, spesso drammatico, mai edulcorato nelle tematiche e assolutamente estraneo a qualsiasi ricerca di bello accademico. La sua pittura è caratterizzata dal gusto per i contrasti di luce e ombra netti, larghe masse compatte di colore  che costruiscono volumi pesanti, ma fortemente vitali e espressivi.

 

La sua scarsa fortuna a livello di pubblico e committenza è imputabile non solo alla resa pittorica o alle tematiche affrontate, ma soprattutto al mondo in cui queste vengo brutalmente proposte. Le vicende da lui rappresentate non sono semplici racconti di cronaca o di pacata quotidianità: Daumier non mira a un superficiale coinvolgimento emotivo, vuole trasmettere un significato, una morale ben precisa veicolandola con la forza delle sue immagini. L’osservatore può diventare così il destinatario di una critica o della derisione delle sue caricature.

 

Strumento imprescindibile nella sua produzione artistica è il suo chiaroscuro mai classico poiché usa accostamenti di tinte che restano separate e non sfumate l’una nell’altra risultando già innovativo e pre-impressionista. La sua opera è sempre intesa a infrangere la pesantezza retorica dell’arte ufficiale per mettere a nudo gli aspetti negativi della realtà del suo tempo.

 

È riuscito a conferire alla quotidianità lo stesso peso e la stessa importanza riservata alla pittura di Storia che, a partire dalla seconda metà del Settecento e con la nascita dell’Accademia, era il genere al vertice della gerarchia delle Arti. Per tutta la prima metà del XIX secolo la Storia era degna di rappresentazione solo se faceva riferimento alle grandi vicende e agli eroi del passato assunti a modelli di virtù, mentre con l’avvento del Realismo e l’attività di artisti come Daumier anche i temi sociali e politici dell’attualità iniziarono ad acquistare lentamente pari dignità e rilievo.

 

Ecce Homo, noto anche come Vogliamo Barabba, per riprendere il grido che si alza dalla folla in primo piano, era destinato a una chiesa di campagna ed è uno dei rarissimi esempi di pittura sacra di Daumier. L’opera, databile intorno al 1850, sembra lasciata allo stato di abbozzo con linee di bitume nere di contorno e una tinta unica resa chiara con il bianco. L’effetto chiaroscurale è caravaggesco con un controluce che rende tutte le figure scure appena illuminate da tocchi di bianco; la pennellata veloce, l’atmosfera confusa e il controluce suggeriscono un evento drammatico ed epico. Una pittura lontana da qualsiasi volontà di puntuale definizione grafica come a non voler sacrificare l’essenziale al secondario.

 

 

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 Ecce homo, 1849-1852. Essen, Museum Folkwang

 

Tutta la scena è orchestrata su poche tonalità terrose dove la luce va a rischiarare proprio gli elementi che Daumier vuole sottolineare o in alcuni casi condannare. La lettura dell’opera ci propone una singolare distinzione tra popolo e folla: il popolo è formato da tutti gli individui che lottano per la libertà mentre la folla è un insieme indistinto spesso privo di volontà propria e asservito al potere.

 

Qui Cristo in catene è solo un simbolo senza volto, immobile  nella sua dignità; Pilato diventa invece l’archetipo del politicante intento ad affabulare e sobillare la folla con veemente gestualità. La critica più aspra viene però riservata alla platea di spettatori senza caratterizzazione, dove l’assenza di fisionomia equivale alla mancanza di individualità e coscienza.

 

La folla segue e ripete i gesti del concitato oratore e questo asservimento mentale viene riproposto dalla struttura compositiva dove la massa degli astanti è disposta secondo una diagonale che ripete la stessa linea che si viene a definire partendo dalla testa protesa di Pilato, al suo braccio teso per finire nella statuaria figura del carceriere alle  spalle di Cristo.

 

Una folla che si lascia istruire facendosi coinvolgere e trascinare dal discorso. Culmine della critica sociale di Daumier è proprio il centro del primo piano, la figura del bambino sollevato dal padre ed esortato da quest’ultimo a unirsi al giudizio collettivo contro Cristo; qui viene ritratta una pratica comune nei secoli passati cioè quella di portare anche i giovani ad assistere alle pubbliche esecuzioni che diventavano un monito al fine di scoraggiare comportamenti delittuosi.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]