arte
Honoré Daumier e
la satira sociale in pittura
Ecce Homo
(Vogliamo
Barabba!)
di Gaido Federica
Daumier è un artista pienamente realista
che si serve dell’opera come mezzo per
far conoscere la realtà della società
capitalistico-borghese mettendone in
evidenza le contraddizioni. Il suo stile
è vigorosamente espressivo, spesso
drammatico, mai edulcorato nelle
tematiche e assolutamente estraneo a
qualsiasi ricerca di bello accademico.
La sua pittura è caratterizzata dal
gusto per i contrasti di luce e ombra
netti, larghe masse compatte di colore
che costruiscono volumi pesanti, ma
fortemente vitali e espressivi.
La sua scarsa fortuna a livello di
pubblico e committenza è imputabile non
solo alla resa pittorica o alle
tematiche affrontate, ma soprattutto al
mondo in cui queste vengo brutalmente
proposte. Le vicende da lui
rappresentate non sono semplici racconti
di cronaca o di pacata quotidianità:
Daumier non mira a un superficiale
coinvolgimento emotivo, vuole
trasmettere un significato, una morale
ben precisa veicolandola con la forza
delle sue immagini. L’osservatore può
diventare così il destinatario di una
critica o della derisione delle sue
caricature.
Strumento imprescindibile nella sua
produzione artistica è il suo
chiaroscuro mai classico poiché usa
accostamenti di tinte che restano
separate e non sfumate l’una nell’altra
risultando già innovativo e
pre-impressionista. La sua opera è
sempre intesa a infrangere la pesantezza
retorica dell’arte ufficiale per mettere
a nudo gli aspetti negativi della realtà
del suo tempo.
È riuscito a conferire alla quotidianità
lo stesso peso e la stessa importanza
riservata alla pittura di Storia che, a
partire dalla seconda metà del
Settecento e con la nascita
dell’Accademia, era il genere al vertice
della gerarchia delle Arti. Per tutta la
prima metà del XIX secolo la Storia era
degna di rappresentazione solo se faceva
riferimento alle grandi vicende e agli
eroi del passato assunti a modelli di
virtù, mentre con l’avvento del Realismo
e l’attività di artisti come Daumier
anche i temi sociali e politici
dell’attualità iniziarono ad acquistare
lentamente pari dignità e rilievo.
Ecce Homo,
noto anche come Vogliamo Barabba,
per riprendere il grido che si alza
dalla folla in primo piano, era
destinato a una chiesa di campagna ed è
uno dei rarissimi esempi di pittura
sacra di Daumier. L’opera, databile
intorno al 1850, sembra lasciata allo
stato di abbozzo con linee di bitume
nere di contorno e una tinta unica resa
chiara con il bianco. L’effetto
chiaroscurale è caravaggesco con un
controluce che rende tutte le figure
scure appena illuminate da tocchi di
bianco; la pennellata veloce,
l’atmosfera confusa e il controluce
suggeriscono un evento drammatico ed
epico. Una pittura lontana da qualsiasi
volontà di puntuale definizione grafica
come a non voler sacrificare
l’essenziale al secondario.
.
Ecce homo, 1849-1852. Essen,
Museum Folkwang
Tutta la scena è orchestrata su poche
tonalità terrose dove la luce va a
rischiarare proprio gli elementi che
Daumier vuole sottolineare o in alcuni
casi condannare. La lettura dell’opera
ci propone una singolare distinzione tra
popolo e folla: il popolo è formato da
tutti gli individui che lottano per la
libertà mentre la folla è un insieme
indistinto spesso privo di volontà
propria e asservito al potere.
Qui Cristo in catene è solo un simbolo
senza volto, immobile nella sua
dignità; Pilato diventa invece
l’archetipo del politicante intento ad
affabulare e sobillare la folla con
veemente gestualità. La critica più
aspra viene però riservata alla platea
di spettatori senza caratterizzazione,
dove l’assenza di fisionomia equivale
alla mancanza di individualità e
coscienza.
La folla segue e ripete i gesti del
concitato oratore e questo asservimento
mentale viene riproposto dalla struttura
compositiva dove la massa degli astanti
è disposta secondo una diagonale che
ripete la stessa linea che si viene a
definire partendo dalla testa protesa di
Pilato, al suo braccio teso per finire
nella statuaria figura del carceriere
alle spalle di Cristo.
Una folla che si lascia istruire
facendosi coinvolgere e trascinare dal
discorso. Culmine della critica sociale
di Daumier è proprio il centro del primo
piano, la figura del bambino sollevato
dal padre ed esortato da quest’ultimo a
unirsi al giudizio collettivo contro
Cristo; qui viene ritratta una pratica
comune nei secoli passati cioè quella di
portare anche i giovani ad assistere
alle pubbliche esecuzioni che
diventavano un monito al fine di
scoraggiare comportamenti delittuosi.
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