E DARWIN SPIEGÒ LA VITA
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE NELL’OPERA
DEL GRANDE naturalista BRITANNICO
di Matteo
Liberti
“Ho chiamato il principio secondo il
quale ogni minima variazione viene
mantenuta, se è utile, col termine
di selezione naturale”. Così
Charles Darwin sintetizzò le proprie
riflessioni sui processi evolutivi,
figli appunto di un severo
meccanismo “selettivo”. In breve, in
natura ogni individuo tende a
competere con gli altri per l’uso
delle risorse, e in tale lotta
primeggiano i soggetti che meglio si
adattano all’ambiente, attuando
opportune variazioni i cui caratteri
vengono via via trasmessi alle nuove
generazioni. E se tutto ciò trova
oggi ampio riscontro nelle evidenze
scientifiche, ai tempi di Darwin
l’idea che l’essere umano – al pari
di animali e piante – fosse il
risultato di una lunga evoluzione, e
non il frutto di una creazione
divina, aveva invece connotazioni
rivoluzionarie.
Tra studi e osservazioni sul campo
Classe 1809, Darwin mostrò fin da
bambino una grande curiosità per il
mondo della natura, approfondendone
poi lo studio all’università, dove spaziò tra botanica,
geologia e zoologia. Nel frattempo,
strinse amicizia con vari scienziati,
e nel 1831, terminato il percorso
universitario, partecipò a una
spedizione in Galles per effettuare
dei rilevamenti
stratigrafici. «Di ritorno, salpò
quindi a bordo del brigantino HMS
Beagle per una lunga spedizione
cartografica, in qualità di
naturalista e con il compito di
descrivere e catalogare le varie
specie animali e vegetali che si
sarebbero incontrate», racconta
Telmo Pievani, storico della
biologia ed esperto di teoria
dell’evoluzione. Durante il
lungo tour in giro per il mondo, durato quasi cinque
anni, Darwin poté così lavorare sul
campo mettendo in mostra notevoli
capacità osservative, che lo
portarono a studiare sia un
eccezionale numero di organismi
viventi e fossili (di cui raccolse
metodicamente diversi campioni) sia
le caratteristiche geologiche dei
luoghi incontrati.
Filtro ambientale
Per analizzare nel dettaglio gli
innumerevoli appunti e reperti
accumulati, Darwin impiegò diversi
anni, trascorsi in Inghilterra al
fianco della moglie Emma Wedgwood,
sua fidata e brillante
collaboratrice. Ebbene, studiando la
flora e la fauna incontrate durante
il viaggio sul Beagle, lo
scienziato rimase particolarmente
colpito da alcune popolazioni di
tartarughe e fringuelli delle
Galápagos, differenti nell’aspetto
isola per isola, ma allo stesso
tempo accomunate da salienti
somiglianze nei caratteri fisici.
«Egli ipotizzò quindi che gli
animali in questione avessero
rispettivamente avuto origine da
un’unica specie, diversificandosi
poi a seconda dello specifico
ambiente in cui si erano ritrovati a
vivere», spiega Pievani. Dopo circa
vent’anni di studi, nel 1858 Darwin
presentò le proprie argomentazioni
sulla selezione naturale alla
Linnean Society, importante
associazione londinese specializzata
nella storia naturale, e l’anno
seguente diede alle stampe il suo
saggio più celebre: L’origine
delle specie ad opera della
selezione naturale, ossia il
mantenimento delle razze
avvantaggiate nella lotta per la
vita. In sostanza, egli spiegò
come l’evoluzione fosse alla base
della diversità della vita e come
essa derivasse appunto da un
meccanismo di selezione naturale
scaturito dalla lotta per la
sopravvivenza. «Nel dettaglio,
Darwin affermò che l’evoluzione di
nuove specie a partire da un
progenitore comune avviene tramite
un accumulo di graduali e in
apparenza poco significativi
mutamenti: quelli positivi, ossia
favorevoli alla sopravvivenza,
vengono assimilati di generazione in
generazione e trasmessi ai
discendenti, divenendo dominanti e
determinando la suddetta
diversificazione», riprende Pievani.
Peraltro, egli non comprese appieno
i meccanismi dell’ereditarietà, poi
svelati dalla moderna genetica (che
mosse i primi passi nella seconda
metà del XIX secolo, con il biologo
ceco Gregor Johann Mendel), dalla
paleontologia e dagli studi sul DNA,
che per il resto tenderanno a
confermare la bontà delle
riflessioni da lui proposte. Per la
cronaca, va tuttavia ricordato come
il primo scienziato a proporre una
teoria evoluzionista legata alla
mutazione delle specie fosse stato
il naturalista francese
Jean-Baptiste de Lamarck (nell’opera
Philosophie zoologique, del
1809) e che riflessioni simili a
quelle di Darwin furono elaborate
anche dal naturalista gallese Alfred
Russel Wallace, con il quale egli si
confrontò più volte (redigendo con
lui anche un articolo a quattro mani
nel 1858). «Darwin ebbe però
l’indubbio merito di aver spiegato
per primo i meccanismi e processi
che contrassegnano l’evoluzione e la
diversificazione delle specie,
determinati per l’appunto da quello
che si può definire “filtro
ambientale”», sottolinea l’esperto.
Controversie
La teoria evoluzionistica di Darwin
ebbe immediate ripercussioni non
solo nel mondo scientifico, ma anche
in quello culturale e filosofico.
Essa alludeva d’altronde al fatto
che nessun organismo può essere
considerato “perfetto”, dacché un
carattere dimostratosi favorevole in
una determinata situazione potrebbe
non esserlo in altre, e tutto ciò,
in ambito religioso, demoliva
naturalmente il mito dell’essere
umano plasmato a immagine e
somiglianza di dio. «Darwin attestò
come la casualità giocasse un ruolo
fondamentale nei mutamenti degli
esseri viventi, senza che vi fosse
alcuna “finalità” stabilita da
un’entità superiore», rimarca
Pievani. «La sua idea andava dunque
contro la concezione biblica –
tramandata dalla Genesi –
secondo cui le specie viventi
sarebbero di creazione divina e per
questo immutabili». Pur non negando
l’esistenza di dio, lo scienziato
inglese mandò così in pensione le
istanze del creazionismo, scatenando
asprissime controversie. Le sue
posizioni, che ponevano l’essere
umano sullo stesso piano degli
animali, arrivarono addirittura a
essere considerate blasfeme, ma se
la Chiesa cattolica ne prese subito
le distanze (mutando il proprio
atteggiamento solo in tempi
recenti), quella anglicana accolse
invece le sue teorie, tanto che al
momento della morte (1882) egli fu
sepolto nell’abbazia londinese di
Westminster. «A ogni modo, il
dibattito aizzato dai creazionisti
assumerà nuovo vigore nel XX secolo,
a partire dagli Stati Uniti, dove
alcuni ambienti religiosi radicali
propugneranno un cieco
fondamentalismo, assumendo il
dettato biblico come unica verità»,
avverte Pievani. «Le posizioni dei
creazionisti hanno peraltro assunto
varie sfumature, virando per esempio
verso il “creazionismo scientifico”
o “disegno intelligente”, visione
che accetta in apparenza
l’evoluzionismo, ma che non
considera la casualità il motore
dell’evoluzione, chiamando di nuovo
in causa una finalità divina».
Importanza ed eredità
A dispetto delle esternazioni dei
creazionisti, la teoria darwiniana,
seppur affinata e modificata nel
corso del tempo, costituisce ancora
oggi la base primaria per lo studio
della vita e dell’interazione delle
varie specie con gli ecosistemi di
riferimento. Gli studi di Darwin non
riguardarono peraltro solo i
processi che avvengono in natura, ma
anche quelli messi in atto con la
“domesticazione”, di cui trattò nel
saggio
La
variazione delle piante e degli
animali in condizione di domesticità
(1868). In breve, lo
scienziato notò come l’uomo,
allevando animali (lui stesso
allevava piccioni), ne modifichi
spesso habitat e abitudini,
favorendo in questo modo
l’evoluzione di specie con
caratteristiche diverse da quelle
che si sarebbero generate in
condizioni naturali. «Le intuizioni
di Darwin circa l’evoluzione come
adattamento all’ambiente hanno tra
l’altro avuto importanti ricadute in
ogni ambito del sapere, dalla
filosofia all’informatica, in
particolare negli studi
sull’intelligenza artificiale»,
chiosa Pievani. Peraltro, alcuni
hanno tentato di cavalcare i
ragionamenti darwiniani per scopi
poco nobili, richiamandosi al
concetto di selezione naturale per
giustificare bieche forme di
razzismo, ma quel che è certo è che
il contributo offerto dallo
scienziato inglese all’umanità fu di
enorme valore, producendo una
decisiva “evoluzione” culturale e
scientifica di cui cogliamo tuttora
i frutti.