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N. 6 - Giugno 2008 (XXXVII)

A EST DEL DANUBIO

CAPITOLO XI

di Leila Tavi

 

Marzo 2003.

Non è facile avere a che fare con gli intellettuali, di solito hanno stampata sulla faccia un’espressione a metà tra l’altera e l’infantile, sono quel genere di uomini che vuole dare a credere che è necessario mantenere le distanze. I libri degli intellettuali dicono molto su di loro; gli intellettuali stessi sono, inconsapevolmente, un libro aperto.

Uomini che non amano mischiarsi con quelle che definiscono “categorie” di donne, nessuna esclusa.

A me invece piace pensare che gli uomini siano prima individui e poi uomini.

Non so se vi è mai capitato di rischiare la vita per un libro, non uno dei vostri preferiti, ma uno qualunque.

Prima o poi finisco sempre per tradire i miei uomini con un libro; mai avrei pensato di trovare qualcuno geloso dei miei libri, dividere il mio letto con un uomo e i miei libri mi sembrava un perfetto menage à trois, quello che qualsiasi uomo accetterebbe di buon grado da una giovane moglie, piuttosto che pensarla a letto con qualcun altro mentre è a lavoro.

Invece mi devo sentir dire che è una vergogna che stia sdraiata nella notte, lasciva, con il mio libro in mano, coperta solo da un lenzuolo, che dovrei dormire e che avrei fatto meglio a sposare i miei stramaledettissimi libri. Talianska piča!

Che ci provi a strapparmi il libro dalle mani! Ne ho fronteggiati di uomini e poi magari si gira dall’altra parte e si addormenta, ma l’altro è diventato un animale con gli occhi iniettati di sangue.

Lo guardo e non lo riconosco, è fuori di sé come non lo avevo mai visto, lo devo aver esasperato questa volta. Ma non dovevo fermarmi a guardarlo, dovevo saltare giù dal letto, adesso è troppo tardi, la lotta è a armi impari.

Una donna riesce a divincolarsi dalla presa di un uomo quando ha almeno una delle due mani libera e può sfruttare la forza delle anche, ma quando l’uomo ti è già addosso e riesce a bloccarti mani e gambe in posizione orizzontale non c’è più nulla da fare, nessuna arte marziale che possa aiutarti.

Sento la pressione forte della sua mano sulla bocca e sul naso, penso che mi sta facendo uno scherzo e che adesso ci facciamo una risata e si rimette a dormire, invece sento la sua mano sempre più stretta sul viso, provo a morderlo, ma la mano ferma è come un bavaglio e già respiro a fatica, uso tutta la mia forza, ma non riesco a liberarmi e mi manca l’aria.

Sento dei rumori nella stanza accanto, qualcuno potrebbe essersi spaventato di là; quell’ombra su di me, con gli occhi sgranati e lo sguardo perso nel vuoto, è come se non mi riconoscesse, allora smetto di dimenarmi, servirà a calmare anche lui. Penso che quando stai affondando negli abissi agitarsi serve solo a consumare l’ossigeno che ti resta. Rimango in apnea, con la speranza che il mio corpo immobile possa essere per l’altro il segnale della mia incondizionata resa, mentre cerco di gestire al meglio il mio respiro.

Lentamente sento il palmo della sua mano aprirsi e l’aria entrare di nuovo nelle narici, come una sferzata di energia, l’altra mano lascia il mio braccio e non ho più il peso del suo corpo su di me per un attimo, l’attimo che mi permette di alzarmi e di arrivare al telefono.

Adesso facciamo tutti finta di niente, perché abbiamo tutti i nostri momenti di ordinaria follia, allora anche le persone che conosciamo da una vita diventano degli estranei per noi.

È come avere in mano una bomba a orologeria, sentirne il ticchettio e provare a disinnescarla senza sapere quando esploderà.

E noi ci siamo spinti anche troppo oltre in questo gioco pericoloso tra la vita e la morte, come se la felicità dell’uno sia una conseguenza della fine dell’altro…

Tre anni fa, il giorno del suo compleanno, in autostrada, appena passata l’ex frontiera di Tarvisio dalla parte austriaca, dopo un silenzioso pasto in tavoli separati al Dreieckland.

Le solite discussioni, le solite parole, ormai sempre le stesse, anche nel giorno del suo compleanno, il solito grigio.

Cerco di seguire il rettilineo della strada, ma è difficile concentrarsi, lo sappiamo che non si discute in auto, ma proprio non lo voglio questo uomo al mio fianco. Das reicht aber jetzt! Lo lascio alla prima stazione ferroviaria, gli scaravento la sua roba a terra, faccio inversione di marcia e torno a casa mia con Denisa. Che se ne torni pure a Vienna o vada dove vuole, purché lontano da noi.

Ma lui no, mette le mani sul volante e mi costringe a sterzare verso il guardrail e il mastodontico fuoristrada comincia a sbandare e già so cosa staranno pensando gli automobilisti dietro a noi, ma dove vanno quei pazzi con una bambina piccola?

Non so se la follia vada contrastata o assecondata, ma è meglio far finta che a trionfare sia lui che già si gongola con una faccia tronfia e gli altri novecento chilometri fino a Vienna sono un inferno, interminabili, in un lungo opprimente silenzio.

Aprile 2008.

Uno scrittore quasi centenario sostiene che sia più pornografico denudare il proprio animo che il proprio corpo. Ma cosa è la pornografia se non un rito vuoto, come compararla all’animo umano? Forse l’ultranovantenne non ha più un cuore da mettere a nudo, o forse appartiene a quella categoria di letterati che considera la scrittura un esercizio di retorica. A cosa serve scrivere se non a mettere a nudo l’anima? A sviscerare emozioni e sentimenti, nel tentativo di riuscire a trovare una comprensione nel lettore, un riconoscimento del lettore in noi stessi, una presa di coscienza dell’essere umani entrambi.

Quando si scrive è difficile trovare l’immediatezza che è tipica di altre forme d’arte, ricreare la visualità nelle pagine di un libro richiede un enorme sforzo d’immaginazione sia allo scrittore che al lettore.

In quest’epoca dell’immagine quasi sembra impossibile ritrovare un’atmosfera di mistero tra le parole; è difficile per noi contemporanei immaginare, tutto ci viene codificato già in immagini, a ogni parola viene automaticamente associata un’immagine, senza che la nostra mente faccia nessuno sforzo.

Si tratta di immagini standard, impiantate nella nostra memoria come si farebbe per un cyborg; anche i libri hanno una loro immagine; acquistiamo solo quelli che abbiamo già visto pubblicizzati sulle pagine dei quotidiani o nei programmi televisivi e che poi, inconsciamente, riconosciamo sugli scaffali delle librerie.

La mano li va a cercare attratta dagli sgargianti colori della copertina.

Quante volte vi è capitato di entrare in una libreria d’aeroporto? Lì, i viaggiatori mettono piede rigorosamente solo dopo aver fatto il giro delle boutique e aver acquistato qualcosa al duty free; trascorrono in libreria, annoiati, gli ultimi minuti che li separano dall’imbarco sfogliando le ultime novità e sono troppo distratti per rendersi conto che tra i best seller del mese e i soliti vecchi classici si apre un vortice, un enorme buco nero.

Di solito si finisce con l’imbarcare l’ultima edizione di Geronimo Stilton, destinato a figli o nipoti, tanto a bordo apriremo il nostro lap top per affannarci sugli ultimi ritocchi alla relazione che dovremo presentare, oppure leggeremo svogliatamente il quotidiano che le hostess ci porgeranno all’entrata con il sorriso stampato sulle labbra.

Presto quasi tutte le compagnie aeree forniranno il servizio wi-fi a bordo, allora non ci accorgeremo neanche più che stiamo volando, faremo le stesse identiche cose che facciamo da casa o in ufficio, leggeremo la posta, potremo prenotare i prossimi biglietti low cost, qualche uomo oserà, nell’intimità della sua poltrona, aprire una chat erotica, infastidendo la vecchietta con cui condivide il bracciolo del suo sedile.

Nella Russia di Nicola I leggere rappresentava un rito vuoto, la celebrazione di una cultura limitata, ma fortemente condivisa, un atto sociale in un mondo chiuso, dove la censura interna spingeva gli uomini verso una lettura silenziosa, una lettura che si faceva lontano dai salotti, in completa solitudine, allo scopo di celare agli altri il contenuto del libro che si teneva tra le mani.

La segretezza della lettura serviva a preservare quello spazio di liberta intellettuale e individuale dalla mondanità della corte. Erano, a volte, spazi di dissenso, come nel caso delle due zarine di origine tedesca, costrette ad apprendere in fretta e, loro malgrado, i riti ortodossi.

E se Aleksandra Feodorovna leggeva in segreto i salmi della Bibbia protestante, Nicola I aveva ordinato al suo primo bibliotecario, K. I. Sed¢er, di acquistare testi erotici francesi del periodo prerivoluzionario, dal taglio chiaramente anticlericale, ispirati al libertinaggio e al libero pensiero.

Lo zar ne nascose l’acquisto addirittura al suo nuovo bibliotecario Gille; il sovrano considerava necessario tenere la corte all’oscuro di tali ardite idee che avevano contribuito, nella Francia dei Borboni, ad alimentare lo spirito rivoluzionario; tali idee sarebbero state altrettanto pericolose a Pietroburgo, tanto da convincere Nicola I a privarsi perfino del piacere di leggere Vies voluptueuses entre les capucines et les nonnes insieme alle sue amanti.

Lo zar era ignaro del fatto che questa sua segreta lettura, in solitudine, faceva parte di un cambiamento sociale importante nella Russia prerivoluzionaria: la conquista di nuovi spazi privati a scapito della sfera pubblica, in cui la lettura aveva, ancora ai tempi di Nicola I, una funzione sociale di glorificazione dell’identità nazionale russa. La funzione sociale della lettura aveva la corte come punto di incontro, così come Puškin narrava, era la letteratura russa di un certo tipo, quella di Lomonosov.

Una letteratura, quella russa, così povera di versi, lamentava Puškin, ma che doveva declamare l’affermazione del proprio prestigio sulla lingua del nemico sconfitto, quella lingua che aveva conquistato la corte russa prima ancora di usurparne la terra.

Il sogno, il bacio dell’uomo che desidero da tanto e poi lo spigolo della copertina del libro nel fianco, dritto nella carne, mi risveglia; mi sono addormentata ancora una volta con un libro in mano e la luce accesa; è diventata una dipendenza ormai, come per quelli che fumano l’ultima sigaretta della giornata a letto e non sanno che potrebbero darsi fuoco.

Ma quale sarebbe l’alternativa? Frequentare i salotti di certe amiche, dove tutto ha un prezzo e la gente porta una maschera per nascondere la sofferenza. Gente che crede che si possa comprare una crema contro tutto, anche per combattere la stupidità.

Frequentare i salotti alla ricerca di qualcuno che possa garantirci un futuro. Piuttosto sputo sangue e dormo nel letto in prestito dei miei genitori, tanto di questi tempi un futuro non se lo può garantire neanche il cavaliere con i suoi imbrogli.

 

 

 

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