N. 27 - Agosto 2007
A EST DEL
DANUBIO
Capitolo I
di
Leila Tavi
Febbraio 2000
Ci sono giorni che rimangono vivide immagini nella
memoria e hai la sensazione di aver vissuto
veramente solo in quei giorni.
Qui la pioggia cade sempre fitta e monotona e quando
smette non si vede mai un arcobaleno, non si sente
mai l’odore dell’acqua salata, come dopo un
temporale al mare. Qui non c’è il mare, ma quando
scende la nebbia e non riesci a vedere l’altra
sponda il fiume ti sembra un mare, un mare gelido,
allora penso al sole di mezzogiorno della mia terra
che scalda gli inverni marini ed è per me una
coperta che mi protegge in questo Nord dove mi sento
straniera tra gli stranieri. Come un bimbo che nel
buio di una stanza si copre la testa e si sente
protetto nel suo guscio di lana. Protetto dal mondo,
dall’esterno, dall’altra realtà. Il dolore, il
pianto isterico di un neonato nella notte, la
lontananza feriscono l’anima e se vuoi lavare le tue
ferite devi leccarle come fa un animale perché
nessuno è lì per curartele.
Dopo la pioggia qui c’è odore di muschio bagnato,
ma se vai nel bosco ti sporchi i piedi e le gambe di
fango lurido e quando cammini per la strada devi
stare attento a non pestare gli escrementi dei cani,
perché in questa città di vecchi ci sono più cani
che bambini. La senilità mi fa ribrezzo, se nuoti
nell’acqua calda e putrida di sputi e capelli ti
capita spesso di toccare carni flaccide che
galleggiano in questa Betsabea senza misticismo.
Allora aspetto l’estate per potermi bagnare nel
fiume e avvicinarmi a due cigni che non si separano
mai, stanno sempre insieme.
A volte vorrei portare a casa per Denisa
delle nuvole bianche e soffici, per farla ridere
senza televisione.
A Denisa piace guardare le navi che passano
dall’isola sul fiume, qualche volta scendiamo dove
attraccano le navi, occasionalmente troviamo il
nonno di Denisa su una nave che fa scalo. Ha
la barba e i capelli bianchi ed è nato ad est del
Danubio, là dove il Leitha si getta nel grande
fiume, là dove i bambini adesso vanno al
McDonald’s e guardano Star Trek. Una
volta arriva con una nave da crociera, una volta con
una piccola imbarcazione che ha vinto un’asta per
uno stock di merci ad Amsterdam, una volta con una
chiatta. A Denisa piace quando arriva su una
chiatta; su una chiatta puoi correre e saltare
cercando di non perdere l’equilibrio, mentre lungo
il fiume scorrono confusi i colori delle casette
estive dei Viennesi, che fanno tutto a misura di
Lillipuziano e si contraddistinguono per il loro
timoroso pietismo.
Agosto 2006
Donau, Dunaj, Duna, Dunav, Dunărea, Дунав
attraverso paesi e città fino al Mar Nero! Starý
Ivan li conosce tutti a memoria ormai, li ha
visti mille volte dalla barca su cui il regime lo ha
confinato per anni a causa della fuga della sorella
Katka a Stoccolma.
Un ingegnere che non ha mai potuto professare, un
dramma in un unico atto di Rachmaninov da un
racconto di Puškin.
Quando cessa la pioggia a Vienna d’estate tutti
escono dalle case per ritrovarsi nella piazza del
Rathaus: medici, panettieri drogati, ex
detenuti, professori universitari, vecchi e bambini
siedono l’uno accanto all’altro sulle panchine di
ferro, a terra sulle coperte portate da casa o su
fogli di giornale, con gli sguardi rivolti al grande
schermo.
I Viennesi che guardano la musica, il loro
patrimonio più grande, il loro passato, quello che
li distingue dai Gastarbeiter, gli stranieri
costretti a fare i lavori umili in una città che
vorrebbe ancora vivere dei fasti della felix
Austria e che è unica testimone del suo declino.
Starý Ivan
può incontrare adesso Katka, nessuno gli può
impedire di farlo; Hana, sua moglie, la
considererà sempre la causa di tutti i guai della
sua famiglia; per lei, figlia di un convinto
comunista e membro del partito, un’autorità nel
paese in Moravia dove Hana è cresciuta, la
fuga di Katka è stata un’onta che la sua
famiglia, i suoi figli hanno dovuto lavare.
Se Ivuš non riesce ad avere una relazione
stabile con una donna è colpa della fuga di Katka,
se Adina ha dovuto portare fino a diciotto
anni i vestiti smessi del fratello è colpa della
leggerezza di Katka.
Ma Hana non si è mai chiesta cosa ricordano i
suoi figli di quel tempo sotto il regime, di quando
passavano le serata in casa solo con lei ed erano
costretti a sedere sul pavimento freddo perché ai
bambini non era permesso sedere sul divano per non
rovinarlo. O di quando la vedevano china a terra per
ore a pettinare le frange del tappeto da poche
corone.
Ora Hana ha tutto quello che un piccolo
borghese può desiderare: una bella casa, una baita
esclusiva, una bella auto, una pelliccia, ma non è
felice con il suo frigorifero pieno di medicinali
contro la depressione.
Adina
convive con uno degli uomini più ricchi di
Bratislava, ma non è felice, deve sopportare i suoi
scatti d’ira, le prostitute di cui si circonda e le
volte che torna alle cinque di mattina nel loro
bell’attico davanti al Hrad completamente
ubriaco e le vuole mettere le mani addosso.
Anche malý Alex lo sa, lo sente rientrare
nella notte e sa che lo caccerà dal letto della
mamma. E quando malý Alex mi dice: “Ostaň
tu! Non mi lasciare, lubim ta”, non puoi non
abbracciarlo e raccontargli di quando sua mamma e io
giocavamo felici nel Donau Park e parlavamo
dei nostri progetti futuri, senza sapere che un
giorno suo fratello, il fratello che io non avrei
conosciuto per lungo tempo, il padre di mia figlia,
sarebbe stato la causa dei miei guai.
Da qualche anno Ivan e io abbiamo interrotto
la spirale di odio e violenza reciproca che ha reso
la nostra vita da ragazzi quasi insopportabile,
viviamo a chilometri di distanza e cerchiamo
entrambi di dimenticare.
Quando qualcuno ci vede insieme pensa come un tempo
che siamo fratelli, come quando dividevamo
l’appartamento con Adina; uscivamo spesso
insieme e la gente scambiava me per la sorella e sua
sorella per sua moglie e tutti e tre stavamo al
gioco.
Ora la sua voce al telefono mi sembra sempre stanca
e spenta, chissà se ha finalmente trovato la sua
felix Austria, quella vita che voleva portata su
piatto d’argento, pensando che Vienna fosse
l’Eldorado.
Mi auguro per lui che abbia veramente trovato una
donna paziente che gli abbia fatto dimenticare quel
vicino, l’uomo dei trenini elettrici, i lunghi anni
passati solo a Bratislava e gli stenti di una vita
sotto il regime, un regime che ti faceva accorgere
che era Natale solo perché sulla tavola quella sera
Hana aveva messo tre mandarini.
La vita della Boatshaus, degli allenamenti
massacranti in canoa, ogni giorno, per potersi
guadagnare quel posto agli europei, la chiave per
vedere quell’Ovest di cui poco si sapeva, se non per
le trasmissioni televisive austriache che si
vedevano di nascosto con un’antenna pirata.
Poi in giro con quel furgoncino: Francia, Germania,
Monaco, Costa azzurra, Italia, sempre con le
maledette conserve da mangiare ai bordi della strada
senza potersi mai permettere un ristorante.
Vienna con i suoi bordelli, i suoi casini;
Bratislava con le sue prostitute, con le belle slave
che ti potevi comprare nei primi anni Novanta con un
paio di calze. Ivo e i suoi primi scellini,
l’ebbrezza di poter comprare, di poter ordinare in
un ristorante fino a scoppiare, di poter finalmente
consumare, buttare via una cosa senza doverla
riparare ogni volta.
Il nostro matrimonio, il primo nella storia tra una
italiana e uno slovacco, perché Štefánik non fa
testo. La prima ragazza di Ivo con una carta
di credito in tasca, abituata a prendere la vita
come un gioco, l’amica di sua sorella.
Dopo il divorzio mi capita spesso di andare a
trovare i miei ex suoceri a Bratislava o in
montagna, sui Tatra, e chiacchieriamo in
slovacco davanti a un tè o uno schnapps
insieme ad altri loro amici e io finalmente sento di
aver compreso questa mentalità e di essere riuscita
a integrarmi a loro.
Hana
mi chiede dei miei nuovi amori, starý Ivan
parla con me di politica internazionale, Adina
mi parla dell’ultima boutique che hanno
aperto in centro, mentre Denisa e malý
Alex giocano in giardino con Berinka, la
tartaruga di Hana.
Non possiamo non ridere ripensando a quando appena
ventenne sedevo accanto a Ivo senza capire
una parola dei loro discorsi, carpendo solo gli
animi tesi e, astemia e vegetariana, ero la
disperazione di Hana durante la cena.
Adesso Hana e io abbiamo imparato a stimarci
a vicenda: io ho imparato ad apprezzare la sua
cucina e le sue colazioni a base di cipolla e
paprika e la mia ex suocera ha imparato che una
donna può anche non essere capace di cucire e
cucinare ed essere in grado di far crescere felice
una figlia.
Nell’inverno senza neve di Roma mi capita talvolta
di pensare a quelle lunghe passeggiate solitarie
lungo il Danubio e nonostante tutto provo una
nostalgia che va diretta al cuore. |