[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

170 / FEBBRAIO 2022 (CCI)


arte

TRA SCRITTURA E ARCHITETTURA

IL DANTEUM DI GIUSEPPE TERRAGNI E PIETRO LINGERI

di Mariangela Riggio

 

Era il 1938, quando a Roma, l’avvocato Rino Valdameri, direttore della Reale Accademia di Brera e presidente della Società Dantesca Italiana, propose al Governo italiano la realizzazione di un centro studi e museo dedicato al Sommo Poeta. Erano gli anni dell’Italia in preda al fascismo, Mussolini era riuscito nell’intento di creare il suo “impero” (nel 1936 era stato proclamato l’Impero di Vittorio Emanuele III al termine delle campagne militari in Etiopia). Il duce aveva raggiunto il consenso di molti, ma partiti politici e sindacati erano stati messi al bando; la sua autorità era ormai indiscussa. Egli non perdeva occasione per manifestare a tutti la sua smania di grandezza, l’esaltazione della Patria e della sua storia, la tendenza imperialista.

 

L’idea di Rino Valdameri fu subito ben accolta, Dante è il più illustre poeta italiano e il duce si rivedeva nel “veltro” profetizzato nella Divina Commedia quale restauratore dell’ordine.

 

L’architettura italiana, in quegli anni, osservava e assorbiva pian piano il nuovo fervore del panorama internazionale. In Europa si affermavano l’International Style e il Funzionalismo riassumibili nei più celebri motti di Mies Van der Rohe, «less is more», di Adolf Loos, «ornamento è delitto», di Le Corbusier, la casa è «macchina da abitare».

 

Per i giovani architetti italiani le imprese architettoniche e urbanistiche promosse dal governo Mussolini erano imperdibili occasioni per esprimere il loro nuovo modo di progettare. Tra questi giovani entusiasti troviamo Giuseppe Terragni, il quale, lo stesso anno della sua laurea (1926), aveva fondato il Gruppo 7 (con L. Figini, G. Frette, S. Larco, A Libera, G. Pollini, C.E. Rava) il cui manifesto si leggeva su “Rassegna Italiana”:  

 

«La nuova architettura, la vera architettura, deve risultare da una stretta aderenza alla logica e alla razionalità. L’architettura al punto in cui siamo, non può essere individuale, e nello sforzo coordinato di salvarla, per ricondurla alla logica più rigida, alla diretta derivazione delle esigenze del nostro tempo, occorre oggi sacrificare la propria personalità. La nuova generazione proclama una rivoluzione architettonica ma una rivoluzione che vuole organizzare e costruire. Un desiderio di sincerità, di ordine, di logica, una grande lucidità soprattutto, ecco i reali caratteri dello spirito nuovo».

 

L’architettura razionalista italiana fa la sua affermazione nel 1928 con la prima Esposizione di Architettura razionale; tra i partecipanti vi era proprio il Gruppo 7, Giuseppe Terragni presentò in quella occasione il progetto per una Fonderia di Tubi. Nel 1930 si istituì il Movimento Italiano Architettura Razionale (MIAR).

 

In questo contesto politico e architettonico, il Danteum venne commissionato proprio a Giuseppe Terragni e a Pietro Lingeri. L’edificio doveva essere inaugurato nel 1942, in occasione del ventennale fascista e doveva sorgere a Roma su via dell’Impero (oggi via dei Fori Imperiali).

 

 

 

 

Il progetto, però, non venne mai realizzato. Nel 1940 Giuseppe Terragni venne chiamato alle armi, dal fronte seguiva i suoi lavori inviando costantemente lettere ai suoi collaboratori. Nel frattempo Pietro Lingeri continuò a lavorare al progetto e a discutere con i committenti. Ma l’entrata in guerra dell’Italia (il 10 giugno 1940) trascinata nel secondo conflitto mondiale dal Patto d’Acciaio stipulato l’anno precedente con la Germania, interruppe tutto. L’ultima udienza richiesta al duce non venne mai concessa, così il Danteum rimase un sogno sulla carta; ne rimangono gli acquerelli che raffigurano le sale principali, piante e sezioni di un progetto di massima, un modello ligneo in scala.

 

Le tavole originali del progetto, sono oggetto di una mostra intitolata “Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane”, presso la Galleria Nazionale delle Marche dal 26 novembre 2021 al 27 marzo 2022.

 

 

 

 

Oggi, grazie agli espedienti di computer grafica per la rappresentazione digitale dell’architettura, è possibile ricostruire virtualmente l’edificio e immaginare di visitarlo, come faremo nel prosieguo di questa lettura.

 

Cosa sarebbe stato il Danteum? Un monumento celebrativo, il “Tempio al Massimo Poeta degli Italiani” come era definito nello stesso Statuto. Avrebbe rievocato il percorso dantesco attraverso le sue sale, dalla selva oscura al Paradiso, avrebbe plasmato le cantiche e la metrica della Divina Commedia in volumi, spazi, pareti, attraverso rigide ripartizioni geometriche. Il visitatore avrebbe compiuto un percorso circolare che possiamo così figurarci con la mente…

 

Immaginate di essere su via dei Fori imperiali, pressoché all’altezza della Basilica di Massenzio, innanzi a voi, maestoso è il Colosseo. Alla vostra sinistra, su Largo Ricci, lì all’incrocio con via Cavour, vi è un edificio dal volume compatto. Sulle pareti, dei bassorilievi ricordano talune allegorie riferite all’Impero che ritroviamo narrate nelle terzine dantesche. I bassorilievi sono realizzati sui disegni di Mario Sironi.

 

 

 

 

 

 

Una parete «intessuta di blocchi marmorei», 100, ciascuno con «misure proporzionali al numero delle terzine di ciascun canto», nasconde una rampa. L’ingresso è stretto, percorrendo la rampa, il Colosseo vi rimane sempre innanzi fino a quando non svoltate a sinistra, qui lo stretto passaggio vi accompagna fino a un’ampia corte.

 

È perso ogni contatto visivo con il contesto esterno, avete la sensazione di trovarvi in uno spazio immenso, quasi sprecato, così come inutile era ormai la vita di Dante condotta nel peccato quando, «nel mezzo del cammin di nostra vita» si ritrovò «per una selva oscura ché la diritta via era smarrita».

 

 

 

 

 

Nella Relazione sul Danteum gli stessi progettisti illustrano i significati simbolici che vanno letti all’interno del monumento. Relativamente alla corte si legge: «spazio “volutamente” sprecato” [che può richiamare] alla vita di Dante fino al trentacinquesimo anno di età trascorsa in errore e in peccato e quindi “perduta” per il bilancio morale e filosofico dell’esistenza del Poeta».

 

Dunque, in questa ampia corte, sulla parete di fronte a voi, un curioso telaio metallico sorregge alcune immagini, sono raffigurate le metope del Tempio di Selinunte, una Kore: frammenti di un tempio reinterpretato in chiave moderna. Dietro al telaio vi è il buio di una selva di 100 colonne, ciascuna di esse regge una porzione di soffitto lasciando trapelare pochi raggi di sole.

 

Non perdetevi tra la “selva oscura”, seguite la luce… ecco una scala in fondo. Da qui comincia la salita, al termine delle 3 rampe, una porta, l’unica in tutto l’edificio: è la porta dell’Inferno.

 

 

 

 

 

Siete a quota 2,70 metri (27 è multiplo di 3) rispetto alla corte, la sala che si apre innanzi a voi è buia, il pavimento è suddiviso in 7 riquadri degradanti che sprofondano via via uno alla volta, altrettanti riquadri sorretti da 7 colonne compongono il soffitto e fanno filtrare lame di luce.

 

I progettisti descrivevano così questa scelta architettonica: «La sensazione dell’incombente, del vuoto formatosi sotto la crosta terrestre attraverso uno spaventoso sconvolgimento tellurico dalla caduta di Lucifero, può essere reso plasticamente dall’immanente piano di copertura della Sala; questo soffitto fratturato e il pavimento pure scomposto in riquadri digradanti, la scarsa luce che filtra attraverso le fenditure dei blocchi di copertura daranno quella sensazione di catastrofe di pena e di inutile aspirazione verso il sole e la luce che tante volte ritroviamo negli accorati discorsi dei peccatori interrogati da Dante».

 

In fondo alla sala, il cammino riprende in salita, la Scala conduce a quota 5,40 m «e quindi uscimmo a riveder le stelle».

 

 

 

 

 

La sala Purgatorio ha il tetto vetrato, suddiviso in 7 riquadri di dimensioni decrescenti, dal più grande al più piccolo, posti a quote diverse; il soffitto, così come il pavimento, si alza gradualmente. La montagna del Purgatorio è, infatti, rievocata nei 7 riquadri del pavimento che si alzano come gradini uno dopo l’altro conducendovi alla prossima scala.

 

In fondo all’ultima rampa, la luce è davvero abbagliante, siete a quota 8,10 m (81 è multiplo di 3). 33 colonne di vetro riflettono la luce del sole che pervade tutta la sala coperta da tetto in vetro. O forse avremmo trovato delle colonne opache?

 

Il plastico realizzato negli anni Quaranta non riporta le colonne vitree come negli acquerelli mostrati al duce alla prima udienza, molto probabilmente i progettisti avevano cambiato idea considerando la difficoltà di realizzare colonne in vetro dal diametro di 80 cm. Si ipotizza che queste erano state pensate anche come costituite in blocchi di vetro cemento disposti a formare rocchi cilindrici a giunti sfalsati (come si può notare nella ricostruzione virtuale qui proposta).

 

 

 

 

 

Il percorso, ormai interamente segnato dalla luce, vi conduce all’uscita, un’unica scala da percorrere in discesa vi riporta su via dei Fori Imperiali. In fondo alla scala, un alto blocco marmoreo, rappresenta il Veltro. A un elemento, semplice, muto, anomalo, è consegnata la chiave di lettura voluta dalla committenza.

 

Nella critica letteraria dell’epoca fascista si leggeva, infatti, che l’avvento di Mussolini fosse la venuta del “veltro” profetizzato da Virgilio nel I Canto dell’Inferno. Oggi quel blocco di marmo lo avremmo percepito semplicemente per quello che era, un semplice parallelepipedo in travertino, e forse anche allora? Chissà che i progettisti non abbiano volutamente celato determinate simbologie o, giusto per accontentare la committenza, le abbiano inserite in dei “fuori percorso”.

 

Infatti, alla stessa quota della Sala Paradiso, ma dalla parte opposta, si inserisce un lungo corridoio suddiviso in due da una lunga serie di pilastri. Sulla parete in fondo al corridoio doveva essere illustrata un’aquila, realizzata su disegno di Mario Sironi. Questa immagine alludeva a un episodio descritto da Dante nel XVIII canto del Paradiso, quando le anime si dispongono innanzi al poeta a formare una scritta in latino (amate la giustizia, voi che siete giudici in terra) e l’ultima lettera, la M, pian piano di trasforma in aquila (simbolo dell’Impero romano):

 

«Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai

le parti sì, come mi parver dette.

‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai
fur verbo e nome di tutto ‘l dipinto;
‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai.

Poscia ne l’emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d’oro distinto».


[…]


«e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e ‘l collo d’un’aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco».

 

Il Danteum sarebbe stato, quindi, uno splendido gioco architettonico, dove la metrica, il numero dei canti (33) e delle cantiche (3) della Divina Commedia, nonché la simbologia numerica nota (3 = simbolo della Trinità Cristiania; 7 = 3+4 simbolo di perfezione poiché somma della natura divina, 3, e materiale, 4) si potevano rivivere in volumi e spazi tangibili.

 

«Un tempio che tripartito in Sale che poste a quote diverse stabiliscono un percorso ascendente e che costruite in modo diverso si integrano a vicenda preparando gradualmente il visitatore ad una sublimazione della materia e della luce. (…) una atmosfera che suggestioni il visitatore e sembri gravare anche fisicamente sulla sua mortale persona e lo commuova così come il “viaggio” commosse Dante (…)».

(G. Terragni, P. Lingeri, Relazione sul Danteum)

 

La ricostruzione virtuale qui proposta è frutto di uno studio elaborato dalla scrivente nel 2011 e ripreso nel 2015, quando, in occasione del 750° Anniversario della nascita di Dante Alighieri è stato organizzato un incontro culturale con il patrocinio del Comune di Cianciana (AG) e del Circolo di Cultura di Sciacca (AG). In quell’occasione, insieme al Professor Eugenio Giannone e al Professore Architetto Nunzio Marsiglia dell’Università di Palermo, è stato presentato un suggestivo viaggio virtuale all’interno del Danteum. La ricostruzione digitale è stata condotta a partire dai disegni degli architetti Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri riportati nei riferimenti bibliografici consultati, ciò che resta di un progetto di massima, con il supporto della rigorosa applicazione della geometria aurea e dei rapporti dimensionali su menzionati e descritti dagli stessi progettisti nella Relazione sul Danteum.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Artioli A., Materiali per comprendere Terragni e il suo tempo, Atti della Giornata di Studio, Bata Gamma editrice, Viterbo 1996.

Ciucci G. (a cura di), Giuseppe Terragni. Opera completa, Electa, Milano 1996.

Ciucci G., Pasquarelli, Un documento inedito. La ragione teorica del Danteum, in “Casabella”, n. 522, Marzo 1986.

Ciucci G., Casabella e Terragni, in “Casabella”, n. 721, Aprile 2004.

Fosso E., Mantero E. (a cura di), Giuseppe Terragni 1904-1943, Tipografia editrice Cesari Nanni, Como 1982.

Mantero E., Giuseppe Terragni e la città del razionalismo italiano, Dedalo Libri 1969.

MIAR, L'architettura razionale italiana 1931, in “La Casa Bella”, Aprile 1931.

Schumacher T., Terragni e il Danteum, 1938 II ed., Officina Edizioni, Roma 1983.

Zevi B. (a cura di) Omaggio a Terragni, in “L’Architettura Cronache e Storia”, n. 153/1968.

Zevi B., Giuseppe Terragni, Zanichelli Editore, Bologna, 1980.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]