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N. 28 - Aprile 2010 (LIX)

GEOGRAFIA DANTESCA E REALTà DEL VIAGGIO
bomarzo e LA VALLE INFERNALe - parte i

di Giuseppe Maiorano

 

Non sono pochi in Italia i siti che, in un modo o nell’altro, sono stati segnalati come possibile fonte di ispirazione del viaggio dell’Alighieri nei regni dell’oltretomba e, soprattutto, di quel fatidico percorso attraverso la valle infernale che sembra concretizzarsi in spaventosi dirupi, grotte, caldere, crateri vulcanici visibili in diverse zone della penisola italiana.

 

Ma, al di là delle forti impressioni e delle indubbie suggestioni provocate da tali siti, in realtà esiste in Italia una porzione di territorio che corrisponde in modo piuttosto puntuale al tracciato, alle misure ed ai caratteri morfologici dell’itinerario descritto da Dante nella prima cantica del suo poema, l’Inferno. Tale percorso ha inizio in prossimità del centro storico di Viterbo, precisamente nelle vicine aree archeologiche di Ferento ed Acqua Rossa, e si snoda attraverso il territorio dei comuni di Vitorchiano e Bomarzo, svolgendosi quindi tra l’antica via Cassia e l’alveo del Tevere.


Ciò che segue si configura come un vero e proprio ‘saggio di geografia dantesca’ o, meglio ancora, di ‘geografia della Commedia dantesca’.


Comunemente con ’geografia dantesca’ si intende l’insieme dei ‘luoghi danteschi’, ossia
delle località descritte o solo menzionate da Dante nella Commedia, o in altre opere da lui composte: località note al poeta per via diretta, per averle cioè visitate di persona, o indiretta, per averne avuto notizia attraverso altri scritti o descrizioni orali. In tal senso e con questi limiti, la geografia dantesca ha stretta attinenza con la ‘biografia dantesca’, ovvero con l’accertamento della presenza fisica del poeta in tali luoghi, al fine di una puntuale ricostruzione della sua vita, dell’ambiente e delle personalità che possono aver interagito ed influito su di lui e sulle sue opere.


Molte sono le località, italiane ed estere, cui Dante fa riferimento nella Commedia, descrivendole a volte molto dettagliatamente, altre volte citandole invece molto concisamente. Nel Convivio egli ammette che "...per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando sono andato". Esistono molti toponimi relativi a entità geografiche naturali, quali fiumi, laghi, monti, promontori, isole, ovvero ad insediamenti umani rappresentati da città, regioni e stati di dimensioni e caratteristiche estremamente variabili. Tra i toponimi della nostra penisola si segnalano: Arzanà (Arsenale di Venezia), Bari, Brescia, Cecina, Chiavari, Corneto, Faenza, Gaeta, Grecia, Lamagna (Germania), Lerici, Lucca, Luni, Peschiera, Rialto (Venezia), Sardigna (Sardegna), Trentino, Trinacria, Urbino, Valcamonica, Valdichiana, cui si aggiungono molti ‘idronimi’, cioè nomi di corsi d’acqua e laghi, quali: Adige, Arno, Bacchiglione, Brenta, Garda, Lamone, Mincio, Po, Santerno, Sile, Tagliamento, Tevere. Per l’estero troviamo: Arli (Arles), Bruggia (Bruges), Doagio (Douai), Etiopia, Europa, Gade (Cadice), Guanto (Gent), Guizzante (Wissant), Libia, Lilla (Lille), Marocco, Osterlicchi (Austria), Pola. Esempi di idronimi sono: Albia (Elba), Danoia (Danubio), Molta (Moldava), Rodano, Tanai (Don).


La geografia dell’Italia è ovviamente più precisa rispetto a quella d’oltralpe. Dante mostra buone conoscenze dell’orografia e dell’idrografia di alcune regioni italiane, soprattutto Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. Circa un probabile viaggio del poeta oltre i confini della penisola, verosimilmente a Parigi tra il 1309 e il 1310, va detto che tale ipotesi, sebbene respinta da molti critici, presenta tuttavia consistenti elementi di verosimiglianza, non solo perché riferita da fonti attendibili del tempo, come Boccaccio e Giovanni Villani (il dato è ripreso anche dal Pucci, dal Buti, da Benvenuto da Imola e da altri biografi e commentatori) ma perché non pochi nè trascurabili sono i riferimenti presenti tanto nella Commedia (in Par. X, 137: ‘leggendo nel vico de li strami’, e in Par. XXIV, 46-48: ‘sì come il baccellier...’ ) quanto in altri documenti, come l’Epistola di Ilaro, indirizzata da frate Ilaro ad Uguccione della Faggiuola, in cui si accenna esplicitamente ad un viaggio di Dante ‘ad partes ultramontanas’.

 

Decisive sono anche le Epistole V, VII e X, inviate da Dante rispettivamente ai potenti d’Italia (ottobre 1310), all’imperatore Enrico VII (17 aprile 1311) e a Margherita di Brabante, sua consorte, (18 maggio 1311), quest’ultima epistola scritta per conto della Gherardesca, moglie di Guido di Battifolle dei Conti Guidi, presso cui Dante soggiornava. Le date delle epistole, la loro concatenazione e alcuni particolari riportati nel testo, sembrano denunciare un coinvolgimento di Dante nella spedizione di Enrico VII in Italia, costituendo una prova dei contatti diretti stabiliti dal poeta con l’imperatore e sua moglie prima del loro arrivo in Italia, quindi forse nella stessa Lussemburgo, luogo di residenza della coppia imperiale.


è interessante a tal proposito il fatto che il 2 luglio 1309 Enrico VII fa improvvisamente ritorno a Lussemburgo per incontrare Filippo di Savoia e una delegazione italiana, cui potrebbe aver preso parte l’Alighieri stesso. Molto eloquente, inoltre, appare un altro dato sfuggito sinora agli studiosi: Margherita di Brabante invia la sua prima epistola alla Gherardesca, che in quel momento ospita Dante, chiedendole notizie della sua sventurata famiglia e, implicitamente, della sorte del padre, il conte Ugolino della Gherardesca, riferendosi verosimilmente ai tragici avvenimenti immortalati dai celebri versi del canto XXXIII dell’Inferno, che a quell’epoca risulterebbe da poco completato. Riterrei non casuale l’interesse di Margherita di Brabante per le sorti della illustre famiglia pisana, suscitando il sospetto che la stessa Margherita sia informata del fatto che Dante sia ospite della Gherardesca e presupponendo la conoscenza dei celebri versi danteschi, forse recitati alla presenza della coppia imperiale proprio in occasione del menzionato viaggio di Dante in Europa. La corrispondenza epistolare tra le due donne nasconderebbe, in realtà, un segreto scambio di informazioni tra il poeta e l’imperatore in relazione alla imminente spedizione politico-militare di quest’ultimo in Italia.


In una accezione più ampia la ‘geografia dantesca’ tende a coincidere con la ‘cosmografia dantesca’, quale è desumibile dai numerosi riferimenti contenuti nelle diverse opere dell'Alighieri. Tra l’altro, il termine ‘geografia’ non vi compare esplicitamente, sostituito infatti da ‘cosmografia’, disciplina che studia la terra e la distribuzione delle regioni sulla superficie terrestre.


Gli interessi geografici di Dante sono molto ampi e si potrebbero definire quasi moderni. Essi sono rivolti alla geografia sia generale che regionale, agli aspetti fisici ed antropici, ai fenomeni naturali. Da buon osservatore della natura, Dante introduce similitudini e spiegazioni tratte dai fenomeni della geografia fisica, ha cognizione della sfericità della terra, definita 'globo' in Par. XXII, 134, e dei principali elementi geografici e astronomici di riferimento: equatore, poli, meridiani. L’accenno alla ‘palla’ in Conv. III, V, 10 è riferito probabilmente ad una sfera di usuale consultazione.


Le terre emerse si estendono per 180° di longitudine nell’emisfero boreale, dalla foce del Gange, all’estremità orientale, sino a Cadice, all’estremità opposta. La latitudine complessiva è circa 67°, per cui la forma della superficie terrestre è quella di una mezza luna, il resto è occupato dalle acque dell’oceano. Le misure del globo terrestre – ad esempio il diametro, pari a 6500 miglia - ed altri dati metrici sono desunti da Alfragano (Al-Farghan), astronomo arabo del IX secolo. La città di Gerusalemme è collocata a 0° Long. in posizione equidistante da Cadice e dalla foce del Gange. Rispetto alla latitudine Gerusalemme si situa nel ‘colmo’, cioè a circa 33° Lat. Nord se si considera equidistante dai limiti settentrionale e meridionale delle terre emerse, ovvero a 23°27’ Lat. se si considera collocata alla massima latitudine di zenitalità dei raggi solari, cioè al Tropico del Cancro. Lo scarto di 10° è la discrepanza tra la descrizione classica di stampo scientifico, di influsso tolemaico, e la tradizione cristiana (in Ezechiele 5, 5). Per Tolomeo Gerusalemme è situata a 31°40’ Lat. Nord. Agli antipodi della città sacra, nell’emisfero australe, sorge invece la montagna del Purgatorio, collocata su un’isola originata dallo spostamento di una grande massa, allontanatasi dal centro della terra verso l’emisfero australe per fuggire da Lucifero, qui conficcatosi cadendo dal cielo. Con lo spostamento di tale massa si sarebbe prodotto anche l’invaso della voragine infernale.


Analogamente, la presenza delle terre emerse su un solo emisfero, quello boreale, è spiegata da Dante ricorrendo al racconto biblico della cacciata degli angeli ribelli dal Paradiso; infatti, la loro caduta nell’emisfero australe avrebbe provocato il ritiro e il riemergere delle terre verso l'altro emisfero, con uno spostamento quindi in direzione opposta a quello che avrebbe causato la formazione del cono infernale e della montagna del Purgatorio. In realtà per Dante esiste una spiegazione duplice del fenomeno delle terre emerse:


a) le terre si sono spostate nell’emisfero boreale per la caduta di Lucifero e degli angeli ribelli nell’emisfero australe, spiegazione definita ‘extra materiam naturalem’, cioè di natura religiosa;


b) l’emersione delle terre nell’emisfero boreale è dovuta alla forza esercitata dalle stelle del cielo boreale che sovrastano appunto le terre emerse, sia che tale sollevamento si debba a vera e propria attrazione da parte dei corpi celesti - con un effetto ‘calamita’ - sia che esso si produca sotto la spinta di vapori attratti dagli stessi corpi celesti (attrazione indiretta delle terre), spiegazione ‘intra materiam naturalem’, cioè di tipo naturalistico. Oltre a ciò, la finalità precipua della emersione delle terre al di sopra delle acque è considerata una ragione superiore (causa finalis), deriva cioè dalla necessità che avvenga la commistione degli elementi da cui trae origine la nascita e la corruzione della materia vivente, secondo l’intentio della natura universale.


Queste spiegazioni sono contenute in uno scritto dottrinale, la ‘Quaestio de aqua et terra’, ormai concordemente attribuito a Dante. La ‘quaestio’ è un genere letterario, che consiste nella trascrizione testuale delle dispute verbali o ‘quaestiones’, in cui nel medioevo si mettevano in discussione alcuni importanti problemi dottrinali e si confrontavano le diverse soluzioni, confutando le tesi contrarie e dimostrando con valide argomentazioni le proprie tesi. La ‘quaestio’ letteraria corrisponde in realtà alla sola fase conclusiva della disputa, la più importante, detta ‘determinatio’', cioè la formulazione definitiva ed ufficiale della dottrina disputata. In essa erano riportate anche le obiezioni mosse al maestro, assistito dal ‘baccelliere’.

 

La ‘Quaestio’ dantesca corrisponde alla ‘determinatio’ di un dibattito sorto a Mantova e conclusosi a Verona nel gennaio 1320 sul problema se la terra emersa possa essere più alta, cioè ‘esterna’, rispetto alla superficie dell’acqua, oppure se l‘acqua si trovi più in alto (il che contraddice l’esperienza) secondo il modello cosmologico teorico, accettato tradizionalmente, che identificava il centro della terra con il centro dell’Universo. Le diverse sfere - terra, acqua, aria, fuoco - si dispongono in maniera concentrica, e l’acqua, più esterna della terra, dovrebbe ricoprire quest’ultima. Per tale quesito Dante, come si è visto, propone una soluzione scientifica, senza tuttavia negare quella di ascendenza biblica.



 

 

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