N. 6 - Giugno 2008
(XXXVII)
I dammusi di pantelleria
la terra, la pietra, la casa
di Federica Campanelli
Distante poco più di quaranta miglia dalle coste
tunisine, nel Canale di Sicilia emerge la sommità di
un edificio vulcanico sottomarino, oggi conosciuto
come isola di Pantelleria.
Costituita particolarmente
da rocce magmatiche, scolpita nel corso del tempo dai
venti di maestrale e toccata periodicamente da altissime
temperature, l'isola di Pantelleria, al-Quasayra
(la piccola, come è definita dai
berberi), è esempio d’armonico incontro tra la terra e
l’uomo. La materia della superficie terrestre, tal
quale, passa a far parte della cultura antropica locale,
prendendo forma in rurali esempi di costruzione
vernacolare mediterranea.
È l’osservazione della
materia, prima ancora che della forma, a guidare
l’analisi storica e tecnica dell’architettura locale,
perché essa è figlia del territorio.
Dammuso,
questa la denominazione dell’ormai tipica abitazione
pantesca;
una parola che già di per sé traccia una semplice
illustrazione dell’edificio.
Il
termine dammuso, infatti, trova origini nel
vocabolo arabo dammus, unica parola per
indicare la volta estradossata. Nelle abitazioni
pantesche, dammus, quindi dammuso, indica
tuttavia l’intera costruzione.
I
dammusi, così pienamente conformi al paesaggio naturale,
si presentano quali modeste ma pregevoli testimonianze
lapidee di un’efficace maniera di vivere il proprio
territorio, sposando tecnologie costruttive a semplicità
e sintesi.
Questa
tipologia d’abitazione è la splendida, ricca eredità che
gli Arabi hanno ceduto al territorio circa
novecento anni fa quando, nel 1123, l’isola fu
annessa alla Sicilia normanna di Ruggero I.
Il
dammuso ha subito nel tempo inevitabili evoluzioni
tecniche, morfologiche e di destinazione; ciò nonostante
persistono ancora i suoi elementi distintivi e
caratterizzanti. La messa in opera dei blocchi di roccia
vulcanica, definita non a caso pantellerite,
è rigorosamente a secco.
L’assemblaggio a secco, che non prevede l’uso di malte o
leganti per la giunzione, è una tecnica la cui
proverbiale essenzialità cela piuttosto una scrupolosa
razionalità costruttiva, non priva in difficoltà.
L’equilibrio, apparentemente labile, di una simile
struttura custodisce quella salda stabilità pluriennale
che ancora oggi ci permette di apprezzare opere come gli
ermetici nuraghes sardi, l’incedere tortuoso dei
muri nel territorio ibleo, i terrazzamenti collinari
pugliesi e le pajare salentine.
Non è casuale il sorgere dei dammusi là
dove l’area risulta aspra e sassosa. Reperire il
materiale da costruzione direttamente dai banchi
rocciosi ipogei, converte, infatti, la pratica faticosa
ma necessaria dello spietramento in un’efficace opera di
bonifica fondiaria, rendendo produttivo il terreno.
L’abitazione del dammuso si erge su
fondazioni poco profonde, circa cinquanta centimetri, ed
è composta generalmente da tre ambienti interni: il
principale è la kammira, cui sono
affiancate l’arkova e il kammirino,
che nel complesso costituiscono un’unica cellula
abitativa. Le cellule si possono riscontrare singole o,
soprattutto in tempi più recenti, aggregate.
Poche ed essenziali le aperture che si
limitano alla porta d’ingresso e a piccole finestre: gli
occhi di pietra.
L’elevato spessore, fino al metro, delle mura
perimetrali svolge molteplici funzioni: permette di
assorbire le spinte delle coperture e, sfruttando la
scarsa conducibilità termica della roccia, di isolare
l’ambiente interno.
Natura, morfologia e caratteri climatici
del luogo sono, logicamente, elementi da cui non si può
prescindere nel valutare e legittimare specifiche
soluzioni tecnico-costruttive. I prolungati periodi di
siccità rendono necessaria la realizzazione di un
sistema di raccolta delle acque, e ciò giustifica
l’abbondante presenza di tetti a terrazza e a volta
estradossata.
La
cupola estradossata è quella in cui la superficie
esterna della stessa, l’estradosso, è a vista,
costituendo da sola la copertura dell’edificio.
Inizialmente realizzate con l’ausilio di un legante
molto semplice, come terra impastata ad acqua, le volte
sono successivamente eseguite anche con calce.
Ciò
dimostra come ci siano state attività d’importazione,
utili per l’ottenimento di quei materiali che l’isola
non poteva fornire.
L’uso
della calce, inoltre, contribuisce fortemente alla
protezione dall’irraggiamento solare.
Gli
estradossi delle cupole adiacenti, operano da fenditure
entro le quali l’acqua piovana può scorrere fino ad una
prospiciente cisterna interrata.
Quest’ultima, introdotta durante il periodo
punico (dall’IX° secolo a.C. all’epoca romana),
rappresenta la basilare risorsa idrica dell’isola, che
non dispone di rilevanti sorgenti naturali.
Esclusive e razionali le sistemazioni esterne,
rappresentate dai giardini. Ancora una volta
solide costruzioni a secco, edificate su pianta
comunemente circolare, ad avvolgere e preservare dai
forti venti marini una o più piante arboree: agrumi
innanzi tutto ma, non meno frequenti, ulivi, vari alberi
da frutta e palme da dattero.
La
collocazione del giardino può variare e, che risulti
annessa all’abitazione o che sia isolata, questa
struttura (alta fino a tre metri) è sempre presente.
Molti
dei dammusi giunti ai nostri giorni risalgono al XIX° e
XX° secolo, ma attualmente sono destinati in gran numero
alla funzione di pensioni e B&B (oramai germoglianti in
qualsivoglia località votata al turismo). Non mancano
pertanto opere di “modernizzazione” che hanno
arricchito le tradizionali abitazioni pantesche di
cristalline e lucenti piscine (inevitabili quando si è
circondati dal mare), TV satellitari e condizionatori
paladini del ristoro.
C’è da
dire che tuttavia, attraverso alcune norme di tutela del
territorio, ci si è impegnati nel limitare opere
d’abusivismo, inevitabili in territori come questi. Ne
sono state esempio l’ammenda di i venti milioni di lire
e i dieci giorni di arresto che l’ex ministro delle
Finanze, Vincenzo Visco, s’è trovato a scontare,
nel 2001, in seguito alla condanna definitiva in
Cassazione.
L'accusa era relativa proprio alla ristrutturazione di
un vecchio dammuso in contrada Nicà.
Oggi
l’isola di Pantelleria è una meta turistica ambita,
forse destinata ad inflazionarsi: dalle contrade
di Rekhali, passando per Khamma, Sibà,
Bugeber, fino a Bukkuram, di certo non
mancano ristoranti ed esercizi commerciali dalle
discutibili conformità territoriali, ma i locali
notturni scarseggiano, demoralizzando così i
cacciatori di mondanità, e l’isola può conservare
ancora una propria dimensione legata al silenzio. |