N. 83 - Novembre 2014
(CXIV)
CECILIA O LA DAMA CON L’ERMELLINO
ABBIGLIAMENTO E ICONOGRAFIA, NUOVE SCOPERTE - PARTE III
di Elisabetta Gnignera
A
differenza
di
quanto
scritto
nel
contributo
"The
Lady with
the
Ermine" revisited
di
Maria
Rzepinska
(Rzepinska,
1993,
p.196),
non
ci
aiuta
purtroppo
a
mio
avviso
a
dipanare
l’enigma
Bernardo
Bellincioni,
il
quale
compose
almeno
tre
sonetti
dedicati
alla
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti
oltre
a
quello,
celeberrimo,
dedicato
al
ritratto
di
Cecilia
Gallerani.
Infatti,
stando
a
quanto
scritto
nella
Prefazione
alle
Rime
del
Bellincioni
raccolte,
ordinate
e
messa
a
stampa
nel
1493
dal
“prete
Francesco
Tanci”
per
volere
del
Duca
Ludovico,
l’ordine
progressivo,
postumo,
secondo
cui
le
composizioni
poetiche
furono
pubblicate,
fu
stabilito
proprio
dal
Tanci.
La
raccolta
fu
approntata
infatti
su
richiesta
di
Ludovico
il
Moro
tramite
una
ambasciata
fatta
al
Tanci
da
certo
Gualtiero,
presumibilmente
“Corbetta
Gualtiero
Milanese”
grecista
e
oratore
(secondo
quanto
comunicato
da
Cesare
Cantù
a
Pietro
Fanfani
in
Bellincioni,
1876,
I,
p. 6
nota
1)
dopo
la
morte
del Bellincioni
e
stampata
nel
1493
a
Milano
(da
Filipo
di
Mantegazi)
con
il
titolo
di:
Bellincioni
Bernardo,
Sonetti,
canzoni,
capitoli,
sestine
ed
altre
rime.
Il
testo
in
oggetto
in
4°,
con
figura
intagliata
in
legno
viene
descritto
e
registrato
come
«rarissimo»
nell’Indice
delle
edizioni
citate
come
testi
di
lingua
dagli
Accademici
della
Crusca
nelle
cinque
compilazioni
del
loro
vocabolario,
per
cura
dell’Abate
Luigi
Razzolini
(Razzolini,
1863,
p.29
s.v.
Bellincioni
Bernardo).
Citiamo
a
seguire
la
prefazione
del
Tanci
inclusa
nella
edizione
della
raccolta
curata
da
Pietro
Fanfani
per
Romagnoli
nel
1876:
«Essendo
morto
il
predicto
Belinzone
senza
avere
misso
per
ordine
alcuna
delle
sue
rime,
con
grandissima
instantia
mi
impose
elio
[?
Ludovico]
io
insieme
le
riducesse,
sì
per
non
lassar
perdere
le
fatiche
di
tanto
omo,
sì
per
utile
comune,
sì
massimamente
per
piacere
alla
escellentia
tua.
Veramente
da
hom
di
magior
giudicio
che
da
me
era
questa
impresa:
pure,
per
che
più
presto
poría
fare
ogn’altra
cosa
che
dire
di
non
al
prelibato
tuo
et
mio
Gualtiero
et
massimamente
nelle
cose
che
procedano
de
la
mente
di
tua
illustrissima
signoria,
et
che
hanno
a
piacere
a
quella,
non
ho
recusato
questa
provincia
anzi
presuntione;
ma
per
che
già
sono
molti
anni
che
converso
di
continuo
con
il
prefato
nostro
poeta
Belinzone,
più
facilmente
ho
possuto
cognoscere
la
intentione
sua.
Et
ben
che
questa
cosa
mi
sia
stata
asai
difficile
et
laboriosa,
per
aver
trovato,
como
ho
predicto,
queste
rime
molto
confuse,
senza
ordine
et
senza
tituli,
o
vero
argumenti;
et
in
tante
diverse
carte
quanti
erano
li
sonetti;
non
di
meno,
con
quel
megliore
ordine
ch’io
ho
saputo
le
ho
reducte
in
questo
volume,
dove
tu
troverai
gran
copia
di
Sonetti
arguti,
faceti,
et
delectevoli
de
molti
et
varii
suggetti
in
ogni
qualitate;
et
similmente
Capituli,
Canzoni,
Sestine,
Elegie
funebre,
Egloghe,
Canzonette,
Frotule,
Comedie
o
vero
Ripresentatione,
facte
davante
a
tua
illustrissima
Signoria»
(Bellincioni,
1876,
I,
pp.
6-8).
Secondo
la
numerazione
progressiva
dei
sonetti
data
dal
Tanci,
il
sonetto
per
la
nascita
di
Cesare,
precederebbe,
sia
il
componimento
contenente
l’allusione
emblematica
al
Moro
come
“Italico
ermellino”,
sia
il
componimento
sopra
la
descrizione
del
ritratto
di
Cecilia
Gallerani...
In
base
a
ciò
saremmo
tentati
di
datare
a
dopo
la
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti
[
celebrata
dal
poeta
in
almeno
tre
componimenti
che
includiamo
ad
epilogo
del
presente
contributo
],
tout
court,
il
ritratto
ma
purtroppo
la
numerazione
progressiva
dei
sonetti,
non
può
essere
considerata
probante
in
quanto
la
stessa
numerazione
è
stata,
per
sua
stessa
ammissione,
elaborata
appunto
dal
Tanci,
il
quale
dichiara
però,
nella
Prefazione
citata
supra,
di
essere
a
conoscenza
degli
intenti
del
Bellincioni,
essendo
stato
a
stretto
contatto
con
il
poeta
a
lungo
e
«di
continuo»...
Conclusioni
Tenendo
in
debito
conto
gli
elementi
di
costume
presenti
nella
versione
definitiva
dell’opera
– databili
più
plausibilmente
intorno
al
1490/91,
quando
cioè
le
fogge
alla
spagnuola
introdotte
nel
1489
da
Isabella
d’
Aragona
avevano
attecchito
ed
anzi,
con
l’ingresso
di
Beatrice
d’este
a
Milano
nel
1491,
erano
diventate
una
prerogativa
della
corte
sforzesca–
così
come
le
scoperte
di
Pascal
Cotte,
relative
a
dettagli
di
costume
preesistenti
e a
rifacimenti
rilevati
nel
dipinto
(Cotte,
2014,pp.171-182,
201-217),
uno
dei
dati
più
importanti,
scaturiti
dalle
analisi
multispettrali
di
Cotte,
fonte
e
causa
dei
presenti
approfondimenti,
è
forse
la
scoperta
che
nella
iniziale
iconografia
della
Dama
con
l’ermellino
fosse
stato
dapprima
assente
e
poi
inserito
successivamente,
un
esemplare
della
famiglia
dei
mustelidi,
forse
una
donnola
(?)
poi
sostituita
dall’ermellino
e/o
da
un
animale
simbolico,
se
si
considera
il
peculiare
assemblaggio
di
parti
anatomiche
e
proporzioni:
del
resto,
frequente,
specialmente
in
opere
legate
al
matrimonio
e
alla
nascita,
quali
cassoni
nuziali
e
deschi
da
parto,
appare
l’uso
di
animali
allegorici
con
funzione
propiziatoria
e
talismanica.
Figura
7
.
MASACCIO (? ANDREA DI GIUSTO), Putto con animale allegorico. Verso di desco da parto, 1426 ca. Tempera su tavola. Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. L’animale, associato forse alla nascita, in quanto sul recto del desco da parto è appunto raffigurata una scena di natività, è scarsamente decifrabile : alcuni studiosi lo assimilano ad un cane, altri ad un esemplare della famiglia dei mustelidi ( furetti, donnole ed ermellini), tradizionalmente associati alla nascita.
Tale
evenienza
confermerebbe,
a
mio
avviso,
le
notevoli
tangenze
con
il
mito
greco
della
Nascita
di
Ercole,
nesso
ampiamente
dibattuto,
per
questo
dipinto,
da
Krystyna
Moczulska
(Moczulska,
2009:
vedere
mia
nota
finale)
e
Jacqueline
Marie
Musacchio
(Musacchio,2001,
pp.180-181):
quest’ultima,
sulla
scia
di
Moczulska,
in
relazione
alla
ricorrente
raffigurazione
di
mustelidi
in
dipinti
del
Rinascimento
italiano.
Nel
caso
de
La
dama
con
l’ermellino,
però,
estremamente
interessante,
parrebbe
l’uso
quasi
‘criptico’
del
mito,
scelto
forse
da
Leonardo,
per
coloro
che
conoscevano
dall’interno,
le
vicende
che
si
stavano
svolgendo
in
quel
momento
presso
la
corte
sforzesca...
Il
rimando
in
filigrana
a
tale
eroe
mitologico
riecheggiato
nei
sonetti
del
poeta
Bellincioni,
così
come
l’emblema
politico
del
bianco
ermellino
usato
sia
dal
Bellincioni
in
uno
dei
suoi
sonetti,
sia
da
Leonardo
per
alludere
alla
persona
di
Ludovico
Sforza,
nella
cosiddetta
allegoria
politica
de:
“l’ermellino
col
fango.
Galeazzo
tra
tempo
tranquillo
e
fuggita
di
fortuna
inclusa
nel
al
folio
98
recto
del
manoscritto
H
databile
agli
anni
1493-1494,
porterebbero
plausibilmente
a
collocare
il
rifacimento
e
compimento
del
ritratto
nei
mesi
compresi
tra
l’avvenuta
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti
Sforza
(3
maggio
1491)
ed
il
1493,
ovvero
nei
mesi
successivi
alla
nascita
di
Ercole
Massimiliano
Sforza
(25
gennaio
1493).
Tra
i
due
riferimenti
temporali,
proposti,
troviamo
però
il
terminus
ad
quem
costituito
dalla
data
di
morte
del
poeta
di
corte
Bernardo
Bellincioni
avvenuta
il
12
settembre
1492,
data
entro
cui
furono
ovviamente
composti
i
componimenti
raccolti
ed
editi
postumi
nel
1493
dal
“prete”
Francesco
Tanci
per
volere
del
duca
Ludovico
Sforza,
i
quali
includono
il
celeberrimo
sonetto
Sopra
il
ritratto
di
Madonna
Cecilia,
qual
fece
Leonardo
dove
però
non
si
nomina
né
la
donnola
né
l’ermellino.
Se
si
escludesse
l’ipotesi
che
il
Bellincioni
abbia
omesso
volutamente
di
descrivere
l’ermellino
come
ipotizzava
qualche
anno
fa
Carlo
Pedretti
annotando
che:«Per
affermare
che
esso
[ il
ritratto]
sia
lo
stesso
celebrato
dal
Bellincioni
e
ricordato
nelle
lettere
scambiate
fra
la
Gallerani
e
Isabella
d’Este
nel
1498
occorre
ammettere
che
la
presenza
dell’ermellino
in
entrambe
le
circostanze
fosse
taciuta
per
essere
di
ovvio
significato
[…]
o
per
evitarne
una
spiegazione»
(Pedretti,
1990,
p163);
allora
potrebbe
prendere
forma
l’ipotesi
che
il
Bellincioni
vide
il
ritratto
prima
dei
successivi
rifacimenti
di
Leonardo
quando
l’ermellino
di
fatto
non
c’era.
Per
quanto
riguarda
invece
la
presunta
data
di
inizio
dell’opera,
i
ripensamenti
dell’artista
emersi
attraverso
le
immagini
L.A.M
di
Pascal
Cotte
(Cotte,
2014,pp.
147-154,
200-
216),
condurrebbero
a
una
ulteriore
ipotesi
ovvero:
Leonardo
potrebbe
avere
iniziato
l’opera
anche
prima,
e/o
durante
i
primissimi
mesi
di
gestazione
di
Cesare
Sforza
Visconti,
quando
la
silhouette
di
Cecilia
non
è
ancora
appesantita
dalla
gravidanza
in
corso,
e,
stando
alle
scoperte
di
Cotte,
Cecilia
avrebbe
assunto
una
posa
appena
diversa
da
quella
che
conosciamo
e
maggiormente
in
linea
con
i
canoni
di
aulica
“compostezza”
dell’epoca
[Figura
1,
parte
I],
ovvero
con
le
braccia
e le
mani
posate
le
une
sulle
altre,
senza
ermellino
(Cotte,
2014,
pp.201-207).
Tale
originaria
versione
del
ritratto,
potrebbe
essere
stata
modificata
successivamente
attraverso
l’introduzione
di
un
presunto
furetto/
donnola,
allusiva,
una
volta
nato,
del
novello
Ercole,
ovvero
di
Cesare
Sforza
Visconti,
per
poi
essere
stata
modificata
ancora
tramutando
la
donnola
in
un
ermellino
e/o
bestiola
simbolica
una
volta
nato
il
figlio
legittimo
di
Ludovico
il
Moro:
Ercole
Massimiliano
Sforza,
“novello
Ercole”
di
nome
e di
fatto…
Tale
ipotesi
si
concilierebbe
con
il
fatto
che
Bernardo
Bellincioni,
vide
e
descrisse
il
Ritratto
della
Gallerani
nel
noto
sonetto
composto
entro
il
settembre
1492,
ma
senza
nominare
né
una
donnola,
né
un
ermellino,
animali
difficilmente
omissibili
se
considerati
dal
punto
di
vista
simbolico...
Infatti
il
Bellincioni
può
aver
visto
e
descritto
il
ritratto
prima
della
revisione
definitiva
di
Leonardo
la
quale
confluirà,
restauri
a
parte,
più
o
meno
nella
versione
che
conosciamo,
completata
forse
in
concomitanza
o
dopo
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano.
In
tal
caso,
sulla
base
di
quanto
esposto,
il
lasso
di
tempo
in
cui
collocare
rispettivamente
l’inizio
e il
compimento
dell’opera
di
nostra
pertinenza,
potrebbe
essere
il
seguente:
- a
partire
dagli
ultimi
mesi
dell’anno
1489
cioè
prima
della
gestazione
di
Cesare
Sforza
Visconti
e/o
nei
primi
mesi
della
stessa
(entro
ottobre
1490)
ovvero
dopo
l’ingresso
di
Isabella
d’Aragona
alla
corte
Sforzesca
(gennaio
1489)
quando
la
Duchessa
aragonese
favorì
l’adozione,
da
parte
di
Cecilia
Gallerani
delle
fogge
abbigliamentarie
cosiddette
“alla
castigliana”
o
“alla
catalana”
presenti
già
nella
versione
dell’opera,
appena
precedente
alla
definitiva
che
conosciamo,
quando
—
stando
alle
analisi
multispettrali
di
Pascal
Cotte
—
venne
introdotto
un
esemplare
della
famiglia
dei
mustelidi
ma
più
piccolo
del
definitivo
(Cotte,
2014
pp.
208-214);
-
fino
ai
primi
mesi
del
1493,
dopo
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano
Sforza
quando
il
dipinto
trovò
forse
la
formulazione
definitiva,
essendo
ormai
improprio
alludere
a
Cesare
Sforza
Visconti
come
“novello
Ercole”,
data
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano,
figlio
primogenito
di
Ludovico
e
novello
Ercole.
Nota
Dopo
avere
inviato
il
presente
contributo
a
Pascal
Cotte
(6
gennaio
2013),
notando
le
nostre
notevoli
tangenze
di
pensiero,
egli
mi
ha
gentilmente
segnalato
il
seguente
articolo
del
2009
cui
non
avevo
avuto
accesso
precedentemente:
KRYSTYNA
MOCZULSKA,
Leonardo
da
Vinci:
“The
Lady
with
an
Ermine”
–
interpretation
of
the
Portrait.
L’autrice,
alludendo
alle
Metamorfosi
di
Ovidio,
accenna,
(nell’articolo
in
oggetto)
ad
alcune
ipotesi
di
interpretazione
che
coincidono
completamente
con
alcune
di
quelle
esposte
nel
presente
mio
contributo.
Né,
all’epoca
della
stesura
e
del
completamento
del
presente
testo,
ero
a
conoscenza
dell’apparizione
di
due
brevi
ma
significativi
testi
in
lingua
polacca,
di
Janusz
Wałek
(Walek,
2012)
e
Katarzyna
Bik
(Bik,
2012)
rispettivamente
Capo
del
Dipartimento
della
Pittura
Europea
e
referente
plenipotenziaria
per
i
contatti
con
i
media,
del
Museo
Nazionale
di
Cracovia.
Tali
testi,
editi
in
versione
digitale
il
13
febbraio
2012
sul
Portal
Rynek
i
Sztuka,
in
occasione
del
rientro
de
La
Dama
con
l’ermellino
a
Cracovia,
dalla
mostra
londinese
tenutasi
alla
National
Gallery:
Leonardo
da
Vinci.
Painter
at
the
Court
of
Milan
(9
novembre
2011-5
febbraio
2012),
riproponevano
e
circostanziavano
alcune
delle
correlazioni
già
presenti
nel
testo
della
Moczulska
e,
sorprendentemente
per
me,
poi
incluse
nel
mio
testo,
composto
da
chi
scrive,
per
Pascal
Cotte
e
circolato
in
parte
in
forma
inedita
prima
di
essere
reso
noto
in
questa
sede.
Tali
coincidenze,
pertanto,
mi
confortano
ancora
di
più,
sulla
plausibilità
delle
mie
ipotesi
e mi
permetteono
di
affermare
che,
in
questo
caso,
ci
troviamo
di
fronte
al
collimare
di
ipotesi
cui
si è
giunti
attraverso
percorsi
del
tutto
indipendenti
e
partendo
da
presupposti
e
prospettive
diversi.
Collaborando
con
studiosi
e
storici
dell’Arte
di
caratura
internazionale,
posso
dire
che,
generalmente,
quando
si
verifica,
non
deliberatamente,
una
tale
coincidenza
di
interpretazioni,
si
può
molto
esseri
fiduciosi
sul
buon
esito
delle
rispettive
ricerche.
Tengo
a
precisare
che
chi
scrive
è
una
specialista
del
costume
(secc.
XIII-XVI)
‘prestatasi’
eccezionalmente
ad
indagare
alcune
istanze
iconografiche
in
quanto
ho
ritenuto
opportuno
documentare,
quanto
più
possibile,
una
mia
intuizione
iniziale,
divenuta
poi
meditata
ipotesi,
basandomi
sia
sugli
studi
di
Cotte,
sia
su
alcune
mie
considerazioni
di
carattere
vestimentario.
Mi
auspico
che
questo
testo
possa
costituire
un
piccolo
contributo
al
dibattito
in
corso
circa
la
genesi
e la
datazione
di
questa
opera,
senza
per
questo
voler
entrare
in
merito
a
questioni
stilistiche
non
di
mia
pertinenza.
Nel
mio
caso,
non
escludo
che
tale
saggio,
originatosi
dagli
studi
di
Cotte,
possa
dar
vita,
ad
approfondimenti
ed
integrazioni
future
che
possano
accogliere
integralmente
i
miei
contributi
vestimentari
(parte
editi
in
estratto
nel
volume
di
Cotte,
e
parte
inediti)
composti
su
amichevole
sollecitazione
di
Pascal
Cotte
che
ringrazio
di
aver
condiviso
con
me
in
anteprima
i
risultati
delle
sue
scoperte.
Ringrazio
inoltre
la
Signora
Patricia
Brennan
per
aver
gentilmente
supervisionato
la
mia
traduzione
inglese
di
molti
passaggi
del
presente
testo:
gli
eventuali
errori
di
traduzione
superstiti
sono
i
miei.
Appendice
Selezione
di
Rime
del
poeta
di
corte
Bernardo
Bellincioni
composte
prima
del
12
settembre
1492,
nell’ordine
dato
da
Francesco
Tanci
per
l’edizione
del
1493,
riproposta
nell’edizione
del
1876
curata
da
Pietro
Fanfani
ed
edita
da
Gaetano
Romagnoli.
SONETTO
XIX.
AL
SIGNOR
LODOVICO
DI
PAULO
JERONIMO
DEL
FIESCO,
IN
DIALOGO,
PE
IL
NASCIMENTO
DEL
SIGNOR
CESARE
P.
Deh!
Perché
piangi
o
Febo?
F.
Io
piango
e
grido
Perché
oggi
è
nato
un
risplendente
sole.
P.
Più
splendente
di
te?
F.
Non
dirò
fole:
El
splende
più
ch’
io
mai
splendessi
in
lido.
P.
Questo
non
credo,
anzi
di
questo
i’
rido,
F.
Non
rider,
eh’
egli
è
vero;
onde
mi
dole.
P.
Poiché
creder
convien
queste
parole,
Di’
come
nacque,
e
dove
el
fece
nido?
F.
D’un
Moro
il
seme
cotal
sol
divenne;
È
con
Cicilia
e
bei
suoi
raggi
fissi
Sotto
le
amene
sue
candide
penne.
P.
Che
farai
donque
?
F.
Convien
ch’
io
mi
abissi
P.
Perché
cagion
?
F.
Però
che
quando
el
vene
Da
lui
fui
vinto,
si
eh’
e’
fu
l’ecclissi.
SONETTO
XX.
DEL
BELINCIONE
PER
RISPOSTA
ALL’ANTECEDENTE
PER
LE
RIME
Se
Febo
or
piange,
ancor
si
duol
Cupido
Perché
mai
più
sarà
quel
ch’
esser
suole,
Sendo
nato
colui
che
tòr
gli
vuole
Le
bellezze,
el
valor,
la
fama,
el
grido.
Non
fur
sì
lieti
insieme
Enea
e
Dido,
Come
l’arbor
di
Tisbe
[il
Moro]
in
la
sua
prole,
Con
l’isola
[Cecilia/Sicilia],
la
qual
per
l’onde
sole,
Disse,
da
vostra
Italia
or
mi
divido.
Da
Giove
el
frutto
a
noi
piove
dal
Cielo:
A
l’alta
rocca
mia,
dice,
i’
lo
scrissi,
Però
che
‘l
patre
suo
me
la
mantenne.
Cesare
ha
nome,
a
lui
l’opre
promissi:
Marte
invido
per
me
l’ira
ritenne
Quel
dì,
che
Febo
il
volto
par
coprissi.
SONETTO
XXVII.
CONTRO
A
MAL
DICITORI
Quel
che
già
ricordò
l’errore
a
Piero,
Di
che
Menalca
ancor
diventa
rosso,
Tenne
in
ciance
colui,
ch’
è or
sal
grosso,
Per
la
man
del
mio
Moro,
e
non
più
zero.
Ma,
se
la
invidia
fa
tacere
el
vero,
Alla
barba
di
chi
‘n
bocca
ha
tal
osso
El
Moro
è
mazza
a
più
d’un
aliosso*:
Tutto
ermellino
è
ben,
se
un
nome
ha
nero
Una
siepe
a
l’italico
giardino
Ha
fatto,
e
non
lo
sanno
e
cianciatori,
Che
s’
intendon
piuttosto
d’un
buon
vino.
Quanti
in
parole
son
buon
dipintori
In
aria
a
disegnar
d’
oltramarino,
Poi
di
foglie
di
fava
dan
colori!
Son
diventati
mori.
Chi
sa
voja
attendere
al
suo
bene**
Chi
sa
‘l
luzzo
buon
seco
sei
tiene.
*
Aliosso:
l’aliosso
è
l’osso
del
tallone
dell’agnello
con
il
quale
giocavano
anticamente
i
bambini.
**
In
realtà
si
tratta
di
un
gioco
di
parole
con
i
termini:
Savoia
e
Saluzzo
in
quanto
il
Duca
di
Savoja
riacquistò
Saluzzo
per
merito
del
Moro.
SONETTO
XLV.
SOPRA
IL
RITRATTO
DI
MADONNA
CECILIA,
QUAL
FECE
LEONARDO
Di
che
ti
adiri?
A
chi
invidia
hai
Natura?
Al
Vinci
che
ha
ritratto
una
tua
stella:
Cecilia!
sì
bellissima
oggi
è
quella
Che
a
suoi
begli
occhi
el
sol
par
ombra
oscura.
L’onore
è
tuo,
sebbeii
con
sua
pittura
La
fa
che
par
che
ascolti
e
non
favella:
Pensa
quanto
sarà
più
viva
e
bella,
Più
a te
fia
gloria
in
ogni
età
futura.
Ringraziar
dunque
Ludovico
or
puoi
E
l’ingegno
e la
man
di
Leonardo,
Che
a’
posteri
di
te
voglia
far
parte.
Chi
lei
vedrà
cosi,
benché
sia
tardo,
Vederla
viva,
dirà:
Basti
a
noi
Comprender
or
quel
ch’
è
natura
et
arte.
SONETTO
LXVII.
DELLA
NATIVITATE
DEL
SIGNORE
CESARE
Non
fur
si
liete
quelle
antiche
genti
Nell’insula
di
Delo,
ove
al
sol
piacque
Doppo
la
grande
innundazion
dell’acque
Mostrare
a
quelle
i
suoi
raggi
lucenti,
Come
gli
Insubri
or
son
lieti
e
contenti
Pel
novo
sol
che
un
tempo
ascoso
giacque
Ne’
giardin
di
Cicilia,
unde
poi
nacque,
Che
a
justi
prieghi
il
ciel
par
che
consenti.
Questo
è ‘1
palladio
e
santo
simolacro,
Che
ricevè
Milan,
come
già
Troja,
Qual,
mentre
l’ebbe,
el
ciel
si
vidde
amico.
«
Per
forza
o
fraude
mai
la
diva
gioja,
Jove
dice,
fia
tolta
a
Ludovico,
Per
che
a la
mia
rocca
or
la
consacro.
SONETTO
CXXVIII.
DELLA
PRUDENZIA
DEL
SIGNOR
LUDOVICO
Non
si
creda
a
Milano
oggi
un
Lupino*
Chi
ama
Iddio
riprendere
e i
Lioni,
Che
gli
agnelli
e’
conosce
da’
castroni
L’Italico
Morel
bianco
Ermellino
Non
bisogna
pensar
di
far
mulino,
Che
a
Milan
non
si
spendono
e
grossoni;
Però
saranno
buoni
e’
maccheroni
A
quella
che
impedì
Dante
el
camino**
E
vocabuli
strani
e ‘l
parlar
raro
Non
basta
ove
bisogna
sperïenza,
Sì
come
disse
Gonzo
al
calendaro***
El
Moro
poco
compera
a
credenza:
Come
Tomaso
fa
per
viver
chiaro,
E
piglia
le
balene
spesso
a
lenza
Or
questo
è in
sentenza,
Che
infin
ricalco
non
darà
per
oro
Questo
amaro
Lupino
al
nostro
Moro.
* Il
lupino
è da
intendersi
forse
come
un
mandante
della
Lupa
= la
Chiesa/il
Papato.
**
Cioè
la
Lupa,
simbolo
appunto
della
Chiesa.
***
Sembra
che
si
alluda
qui
alla
riforma
del
Calendario
fatta
in
quegli
anni
e
che
tale
Gonzo
[?]
pronunciasse
queste
parole.
Elisabetta
Gnignera
(specialista
di
Storia
del
Costume
e
delle
Acconciature
dei
secoli
XIII-XVI)
tutti
i
diritti
riservati
©
english
version
Riferimenti
bibliografici:
B.BELLINCIONI,
Le
Rime,
riscontrate
sui
manoscritti
emendate
a
annotate
da
Pietro
Fanfani.
Gaetano
Romagnoli,
Bologna
1876
K.BIK,
Kluczem
jest
zwierzątko.
Dziesięć
lat
temu
pojawiła
się
jeszcze
jedna
teoria
mająca
związek
z
tajemniczym
zwierzątkiem
trzymanym
przez
Cecylię
Gallerani
na
obrazie
Leonarda
da
Vinci
in
http://rynekisztuka.pl/2012/02/13/dama-z-gronostajem-leonarda-da-vinci-wrocila-do-krakowa/
>,
data
edizione
digitale:
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Lumiere
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J.WALEK,
"Dama
z gronostajem”
Leonarda
da
Vinci
wróciła
do
Krakowa
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http://rynekisztuka.pl/2012/02/13/dama-z-gronostajem-leonarda-da-vinci-wrocila-do-krakowa/
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data
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digitale:
13
febbraio
2012.