N. 82 - Ottobre 2014
(CXIII)
Cecilia o la Dama con l’ermellino
abbigliamento e iconografiA, Nuove scoperte - Parte II
di Elisabetta Gnignera
La
seconda
lettura,
meno
immediata
e di
fatto
ambivalente,
è a
mio
avviso
invece,
quella
secondo
cui
Cecilia
Gallerani,
(ossia
la
mitica
Galinthia-Galanthis)
distraendo
cioè
attirando
a sé
originariamente
(prima
dell’arrivo
di
Beatrice
d’Este)
l’attenzione
del
Moro
(evocato
forse
dalle
“Moire”
del
mito),
sia
stata
punita,
ovvero
allontanata
poi
dalla
corte,
(non
prima
del
febbraio
1492,
stando
ad
una
lettera
di
Bernardo
Bellincioni
a
Ludovico
il
Moro),
e
grazie
a
tale
allontanamento
non
solo
fisico
ma
anche,
e
soprattutto
“affettivo”,
Beatrice
d’Este
abbia
potuto
concepire
l’erede
regale,
Ercole
Massimiliano
(nato
il
25
gennaio
1493).
Avendo
suscitato
le
ire
della
dea
(Beatrice
d’Este)
quindi,
Cecilia
è
stata
punita
con
l’allontanamento
dal
Moro
e
dalla
corte
e,
per
traslato,
nella
fase
ancora
in
progress
del
ritratto,
ovvero
nella
versione
del
dipinto
appena
precedente
a
quella
definitiva
che
ci è
dato
di
conoscere,
Leonardo
ritrae
forse
Cecilia
con
una
donnola
(?)
ossia
con
l’emblema
della
punizione
riservata
nel
mito
a
Galinthia,
la
quale,
per
aver
suscitato
le
ire
della
dea,
fu
trasformata
appunto
in
donnola.
Stando
a
tali
ipotesi,
potrebbe
essersi
verificata
la
seguente
successione
di
eventi:
Leonardo
potrebbe
avere
iniziato
il
ritratto
di
Cecilia,
sin
da
prima
della
gravidanza
di
Cecilia,
quando
cioè,
non
era
ancora
prevista
la
presenza
di
una
donnola
o di
un
ermellino
[Figura
1,
Parte
I]:
come
possono
dimostrare
le
scoperte
di
Pascal
Cotte
(Cotte,
2014,
pp.
200-207).
In
questo
caso,
potremmo
forse
pensare
che
il
poeta
Bernardo
Bellincioni
abbia
visto
in
realtà
questa
prima
versione
sprovvista
di
ermellino
in
quanto
egli
non
nomina
alcun
animale.
Poiché
il
Bellincioni,
in
almeno
due
sonetti
coevi
a
quello,
celeberrimo,
composto
per
celebrare
Cecilia
attraverso
il
ritratto
fattone
da
Leonardo,
allude
al
Moro
come
ad
un
ermellino
per
la
sua
lealtà
e
schiettezza:
«
Tutto
ermellino
è
ben,
se
un
nome
ha
nero»
(Bellincioni,
1876,
I,
sonetto,
XXVII,
p.
56);
ed
ancora,
«L’
Italico
Morel
bianco
Ermellino»,
(Bellincioni,
1876,
I,
sonetto
CXXVIII,
p.
178);
la
eventuale
presenza
dell’animale,
così
fortemente
simbolica
nel
ritratto,
sarebbe
stata
con
ogni
probabilità
non
soltanto
registrata,
ma
anche
descritta
doviziosamente
dal
poeta,
proprio
in
virtù
dei
significati
politico-allegorici
che
l’animale
veicolava
ed i
quali
erano
ben
noti
e
già
utilizzati
dal
Bellincioni
appunto,
per
alludere
a
Ludovico
(Solmi,
1912,
pp.
491-509).
Sempre
sulla
scia
delle
scoperte
di
Cotte,
possiamo
anche
ipotizzare
che
il
ritratto
sia
stato
ripensato
entro
i
primi
mesi
di
gestazione
del
figlio
Cesare
‒
forse
già
intorno
all’
ottobre
1490,
quando
la
silhouette
di
Cecilia
non
era
ancora
appesantita
‒ il
che
spiegherebbe
l’allusione,
nella
postura,
alla
Annunciazione
della
Vergine
evocata
attraverso
il
possibile
inserimento
di
una
donnola.
Questo
animale
che
le
antiche
credenze
ritenevano
essere
solito
concepire
attraverso
l’orecchio
e
partorire
attraverso
la
bocca
(vedere
Parte
I),
era
legato
per
antonomasia,
alla
simbologia
della
nascita
imminente
in
relazione
al
Mito
della
Nascita
di
Ercole
che
Leonardo
poteva
conoscere
dalla
lettura
delle
Metamorfoseos
di
Ovidio,
presenti
nella
propria
biblioteca
personale
(vedere
Parte
I).
Seguendo
sempre
le
evidenze
di
Cotte
circa
il
presunto
inserimento
e
rifacimento
dell’ermellino
(Cotte,
2014,pp.
147-154,
208-216),
quale
lo
conosciamo
nella
versione
definitiva,
ritengo
pertanto
che
l’opera
potrebbe
essere
stata
rimaneggiata
in
corso
d’opera
in
almeno
due
successivi
momenti.
Un
primo
momento,
dopo
la
nascita
di
Cesare,
paragonato
forse
al
novello
Ercole
e
dunque,
la
presunta
donnola
preesistente
all’ermellino,
poteva
essere
un’allusione
di
stampo
celebrativo,
a
tale
vicenda
mitologica
(esistono
già
in
questo
senso,
delle
ipotesi
secondo
le
quali,
questo
ritratto
sarebbe
stato
commissionato
dal
Moro
come
regalo
per
le
nozze
di
Cecilia
Gallerani
con
il
Conte
Ludovico
Carminati,
noto
come
“il
Bergamino”,
avvenuto
nel
luglio
del
1492,
e
dunque
dopo
la
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti).
Successivamente
(
forse
dopo
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano,
figlio
legittimo
del
Moro?),
il
cambiamento
in
corso
d’opera,
evidenziato
da
Pascal
Cotte,
avrebbe
a
mio
avviso
trasformato
la
donnola
iniziale
in
un
candido
ermellino;
tale
modifica
apparirebbe
pienamente
giustificata,
sempre
secondo
chi
scrive,
dall’esigenza
di
camuffare
allusioni
politicamente
“incaute
” ad
eventi
nei
quali,
a
contrapporsi,
sarebbero
stati,
come
nel
mito,
i
due
eredi,
quello
naturale
Cesare
(Eracle-Ercole?)
e
quello
legittimo,
Ercole
Massimiliano
(Euristeo,
figlio
di
Stenelo?),
e le
due
donne
di
cui
l’una:
Beatrice
(Hera-Giunone?)
molto
più
potente
dell’altra,
ossia
la
bella
Cecilia
(Almèna,
amante
di
Zeus?
aiutata
dalla
mitica
Galinthia,
la
donnola
?).
Oltretutto
l’ermellino
poteva
assommare
in
sé
alcune
simbologie
e
rimandi
che
i
contemporanei
associavano
di
già
a
Ludovico
e –
secondariamente
–
alla
stessa
Cecilia.
In
primis,
occorre
rammentare
che
Ludovico
Sforza
aveva
ricevuto
l’investitura
onorifica
dell’ordine
dell’Armellino
dal
re
di
Napoli,
forse
già
dal
novembre
1486,
(Rona,
1977,
pp.346-358
) ma
sicuramente
entro
il
1488:
tale
massima
onorificenza,
seppure
ambita
in
sommo
grado
da
Ludovico,
fu
declinata
per
motivi
politici
dallo
stesso
Ludovico
nel
1490
in
seguito
all’insorgere
di
contrasti
con
gli
Aragonesi
(Pescio,
2000,
p.
64)
a
seguito
del
matrimonio
di
Isabella
d’Aragona
con
il
nipote
Gian
Galeazzo
Sforza
che
il
Moro
di
fatto
esautorò.
Il
fatto
che
Ludovico
avesse
declinato
l’ambita
onorificenza
intorno
al
1490,
è
stato
ritenuto
da
alcuni
un
elemento
portante
per
una
possibile
datazione
dell’
opera
entro
tale
data.
La
correlazione
non
è
però,
a
mio
avviso
fondante
in
quanto
il
poeta
Bernardo
Bellincioni
nelle
sue
Rime
composte
evidentemente
entro
il
12
settembre
1492,
data
della
sua
morte
,
allude
ancora
al
Moro
come
a:
«L’italico
Morel
bianco
Ermellino»
per
la
sua
lealtà
e
schiettezza,
nel
sonetto
Della
prudenzia
del
Signor
Ludovico.
Sempre
a
Ludovico
e
alla
propria
“moderazione”
era
associata,
encomiasticamente,
la
proverbiale
moderanzia
dell’ermellino
di
cui
lo
stesso
Leonardo
da
Vinci
così
scriveva
nel
cosiddetto
“bestiario”,
ovvero
un
insieme
di
tre
quadernetti
databili
al
1494
e
contenuti
nel
cosiddetto
“codice
H”:
«L’ermellino,
per
sua
moderanzia,
non
mangia
se
n[on]
una
sola
volta
al
dì,
e
prima
si
lascia
pigliare
a’
cacciatori
che
volere
fuggire
nella
infangata
tana.
Per
non
maculare
sua
gentilezza.
(manoscritto
H
f12
r,
Paris,
Institut
de
France)».
E
ancora:
«Moderanza
raffina
tutti
i
vizi.
L’ermellino
prima
vol
morire
che’
mbrattarsi»
(manoscritto
H f
48v,
Paris,
Institut
de
France).
-Ancora
come
encomiastica
prerogativa
di
Cecilia
Gallerani,
sembra
poter
essere
stata
considerata
dai
contemporanei,
proprio
quella
onestà
e
lealtà
evocata
dall’ermellino,
della
cui
simbologia
ci
dà
conto
Marco
Versiero,
dandone
una
interpretazione
“allusivamente
rovesciata”
e
molto
pertinente,
a
mio
avviso,
esprimendosi
in
questi
termini:
«Nonostante
sia
stato
spesso
interpretato
come
allusione
alla
virtù
muliebre
dell’effigiata,
l’animale
[l’ermellino]
serve
in
realtà
a
presentare
Ludovico
sotto
mentite
spoglie,
non
tanto
per
evitare
un
riferimento
diretto
alla
relazione
con
una
donna
diversa
dalla
promessa
sposa
(la
nipote
del
re
di
Napoli,
Beatrice
d’Este),
quanto,
al
contrario,
per
esibire
tale
liaison
come
rappresentativa
del
genere
di
rapporti
ufficiosi
orditi
dallo
Sforza
a
latere
della
rete
di
potere
ufficiale,
intessuta
dal
nipote
Gian
Galeazzo
e
dai
suoi
sodali.
Siamo,
cioè,
di
fronte
alla
presentazione
dissimulata
della
coppia
primaria
di
un’unione
laterale
(il
non-duca
Ludovico
e la
non-duchessa
Cecilia),
che
è
all’origine
di
quel
demi-monde
filo-ludoviciano,
la
necessità
del
cui
radicamento
deve
essere
sentita,
al
momento
storico-politico
di
cui
si
discute
(cioè
prima
della
morte
del
legittimo
duca),
come
l’unica
possibile
via
di
affermazione
personale
e
politica.
Si
spiegano
in
questo
senso
anche
il
riconoscimento
del
figlio
naturale
avuto
da
Cecilia
nel
1491
e
l’assunzione
da
parte
di
quest’
ultima
di
uno
status
di
primo
rilievo
a
corte,
come
duchessa
in
pectore,
di
fatto
superiore
alla
prima
donna
ufficiale,
Isabella
d’Aragona,
moglie
di
Gian
Galeazzo
in
una
misura
che
coincide
esattamente
a
quella
in
cui
Ludovico
prevaleva
su
quest’ultimo
nella
guida
effettiva
del
ducato»
(Versiero,
2006,
pp.13-14).
Pertanto,
in
base
a
quanto
premesso
supra,
la
scelta
d
Leonardo
di
dirottare
l’attenzione
verso
il
più
“innocuo”
ermellino
quale
animale
simbolico
e
allusivo
sia
del
cognome
di
Cecilia
(?),
sia
dell’
investitura
onorifica
dell’ordine
dell’Armellino
(ottenuta
da
Ludovico
Sforza
dal
re
di
Napoli
tra
il
1486
e il
1488),
sia
della
moderazione
di
Ludovico,
sia,
infine,
di
quella
onestà
e
lealtà
(ascritta
encomiasticamente
a
Cecilia
Gallerani,
così
come
a
Ludovico
Sforza...)
che
finanche
Bernardo
Bellincioni,
poeta
di
corte,
attribuiva
senza
indugio
a
«L’
Italico
Morel
bianco
Ermellino»
(Bellincioni,
1876,
I,
sonetto
CXXVIII,
p.178),
ovvero
al
Moro,
apparirebbe
dunque
ben
più
ponderata
e
meno
rischiosa
per
l’artista
il
quale
di
fatto
necessitava
della
protezione
non
solo
di
Ludovico,
evidentemente
, ma
anche
della
influente
Beatrice.
Del
resto
lo
stesso
Ludovico,
appena
informato
della
nascita
del
figlio
Cesare,
quando
i
rapporti
con
Cecilia
si
erano
in
parte
già
raffreddati,
il 9
maggio
1491
così
si
premurava
di
informare
Beatrice
dell’
evento,
con
il
maggior
tatto
possibile,
secondo
quanto
scrive
l’ambasciatore
estense
Giacomo
Trotti: «Avanti
la
sua
partita
da
Viglevano,
cum
grande
humanitate
et
dolzeza
sua
Signoria
[Ludovico]
dixit
a la
Ill.ma
Duchessa
vostra
figlia
de
la
nativitate
del
puto,
dicendole
che
gli
era
nassuto
un
ragazzo
et
un
servidore,
il
quale,
come
fusse
un
pocheto
grandeto,
ge’l
voleva
dare,
acciò
che
la
se’l
servisse
d’epso,
come
fanno
li
signori
et
signore
de
li
servidori,
jurandoli
che
non
haveva
tochato
la
mater
[Cecilia]
dal
secondo
giorno
di
carnovale
in
qua,
et
che
haveva
deliberato
mai
più
non
la
tochare,
cum
altre
parole
molto
humane.
La
quale
Madama
Duchessa
molto
allegramente
et
cum
parole
convenienti
et
satisfactorie
li
rispose
per
modo
ch’el
non
se
poterìa
dire
meglio,
de
la
quale
il
signor
Ludovico
ristette
molto
satisfacto
et
contento,
mettendola
sopra
li
nove
cieli».
Da
tale
testimonianza,
il
cui
testo
è
stato
ricavato
da
chi
scrive,
comparando
le
versioni
del
medesimo
documento
contenute
in
varie
pubblicazioni
(Covini,
2009,
p.
97;
Pizzagalli,
2008,
p.
129;
Lopez,
2009,
pp.122-123),
sembrerebbe
proprio
che
i
rapporti
tra
il
Moro
e
Cecilia
così
come
lo
status
della
donna
e
del
figlio,
fossero,
già
radicalmente
mutati
dopo
la
nascita
di
Cesare:
da
novello
Ercole,
Cesare
diviene
addirittura
“servitore”
di
Beatrice,
nelle
parole
di
Ludovico...
Tale
lettura
dei
fatti
insieme
all’inserimento
dell’ermellino
nel
ritratto,
sposterebbero
le
successive
revisioni
e la
versione
definitiva
de
La
Dama
con
l’ermellino
almeno
agli
anni
1491-93.
Proprio
negli
anni
1493-1494,
Leonardo
traccia
il
motivo
di
una
nuova
allegoria
politica
riferita
al
Moro
ovvero
la
progettata
allegoria
de
L’ermellino
col
fango:
Galeazzo
tra
tempo
tranquillo
e
fuggita
di
fortuna,
inclusa
nel
Ms.H,
al
folio
98
recto
e
datata
al
1494
ca.
In
anni
appena
precedenti,
Leonardo
aveva
già
trattato,
attraverso
altre
allegorie
politiche,
i
temi
della
moderazione
e
prudenza
quali
attributi
distintivi
del
Moro;
tra
gli
esempi
-
studiati
attentamente
da
Marco
Versiero,
in
un
suo
recente
contributo
citato
a
seguire
–
ritengo
opportuno
menzionare:
l’
Allegoria
dello
Stato
di
Milano
(
1485-1488
ca),
(alias
Allegoria
del
governo
del
ducato
milanese)
disegno
con
penna
e
inchiostro
bruno
su
carta
ingiallita
incluso
nella
Oxford,
Christ
Church
Collection
inv.
JBS
18
(0037);
l’
Allegoria
del
Moro
cogl’
occhiali
e la
‘nvidia
colla
falsa
infamia
dipinta
e la
giustizia
nera
pel
Moro
(1494
ca.),
disegno
a
sanguigna
ripassata
a
penna
e
inchiostro
su
carta
bianca
conservato
al
Musée
Bonnat
di
Bayonne,
inv.656
recto.
Che
Leonardo
fosse
stato
sollecitato
da
Ludovico,
attraverso
la
sua
opera,
ad
imprimere
progressivamente,
nell’immaginario
collettivo,
una
inequivocabile
corrispondenza
tra
la
Virtù
politica
della
moderazione
e la
figura
e
l’operato
stesso
del
Moro,
appare
evidente,
secondo
Versiero
anche
dagli
Schizzi
per
vestizione
scenica
(1491
ca.):
disegno
a
matita
rossa,
penna
e
inchiostro,
incluso
nel
Ms.
Arundel
263
al
f.P1
(già
250)
e
corredato
da
appunti
per
la
vestizione
scenica
di
uno
dei
cavalieri
partecipanti
alla
giostra
indetta
da
Galeazzo
di
Sanseverino
(capitano
delle
milizie
milanesi)
in
occasione
delle
nozze
di
Ludovico
il
Moro
con
Beatrice
d’
Este
(1491).
Scrive
in
proposito
Versiero
«Siccome
questo
studio
di
dettaglio
si
riferisce
sicuramente
alla
figura
della
Prudenza
assisa
in
trono,
[…]
se
ne
potrebbe
inferire
di
essere
in
presenza
di
una
prima
figurazione
in
costume
“faraonico”
della
prudenza
del
Moro,
poi
codificata,
secondo
un
dispositivo
allegorico
più
complesso,
dal
foglio
di
Bayonne.
Le
annotazioni
che
corredano
i
disegni,
infatti,
documentano
l’
intenzione
di
Leonardo
di
dipingere
su
“una
rota
, il
centro
della
quale
fia
collocato
al
centro
della
coscia
dirieto
del
cavallo”,
una
figura
di “prudenzia”,
vestita
di
rosso
per
la
carità
sedente
in
focosa
cadrega
[scil.
cattedra,
cioè
scranno],
[con]
carta
e un
ramicello
di
lauro
in
man
a
significazione
della
speranza
che
nasce
dal
ben
servire”»
(Versiero,
2010,
p.110).
In
questo
caso,
la
declinazione
politica
dell’allegoria
de
L
’Ermellino
col
fango
–
coeva
del
disegno
leonardesco
su
tondo
(91mm
diametro)
datato
al
1494
e
noto
come
la
Favola
o
Allegoria
dell’ermellino,
a
penna,
inchiostro
bruno
e
gesso
nero
su
carta,
conservato
presso
il
Fitzwilliam
Museum
di
Cambridge
(Accession
number
PD.120-1961,
e
ritenuto
lo
schizzo
preparatorio
di
una
medaglia
allegorica
[Figura
4] –
è da
leggersi
forse
in
maniera
duplice:
da
un
lato
come
riposta
emblematica
alle
accuse
(ovvero
al
fango
gettato
sull’ermellino...)
che
venivano
rivolte
al
Moro
in
quegli
anni,
colpevole
tra
l’altro
di
essersi
sbarazzato
imprigionandoli,
tra
l’estate
ed
il
settembre
del
1489,
di
uomini
fedeli
al
nipote
Gian
Galeazzo:
ossia
il
nobile
ghibellino
Pallavicino
Pallavicini,
Aloisio
Terzago
(
altrove
Luigi
Terzaghi),
e
suo
cognato
Filippo
Eustachi;
ed
in
generale
reo,
agli
occhi
di
molti,
di
voler
usurpare
con
l’inganno
il
potere
al
nipote
e
duca
legittimo,
Gian
Galeazzo
(il
quale
morirà
di
malattia
(?avvelenamento)
il
22
ottobre
1494.
.
Figura
4
.
Leonardo da Vinci, la Favola o Allegoria dell’ermellino, 1494 ca., disegno su tondo ( 91 mm) a penna, inchiostro bruno e gesso nero su carta, ritenuto lo schizzo preparatorio di una medaglia allegorica. Cambridge, Fitzwilliam Museum ( Accession number PD.120-1961)
Dall’altro,
come
una
denuncia
velata
dell’artista
circa
l’ambiguo
comportamento
di
Ludovico
personificato
dall’ermellino
infangato:
a
questo
proposito
desidero
riproporre
qui
a
seguire
le
annotazioni
espresse
sempre
da
Marco
Versiero
in
proposito
della
suddetta
allegoria:
«Una
enigmatica
annotazione
di
Leonardo
l’ermellino
col
fango.
Galeazzo
tra
tempo
tranquillo
e
fuggita
di
Fortuna,
fornisce
la
probabile
traccia
di
un’allegoria
politica,
in
cui
la
virtù
della
“moderanzia”,
di
cui
l’ermellino
(cioè
Ludovico)
è
dotato,
gli
consente
di
assistere
all’avvicendarsi
della
cattiva
e
della
buona
“fortuna”
nella
vita
del
nipote:
ma
l’espressione
“ermellino
col
fango”,
nel
senso
di
un
ermellino
che
ha
rinunciato
alla
sua
purezza
e si
è
sporcato
nel
fango,
potrebbe
anche
volersi
riferire
alla
improvvisa
scelta
di
Ludovico
di
abbandonare
un
atteggiamento
politico
moderato
per
compiere
un
audace
colpo
di
mano,
mentre
l’allegoria
del
“tempo
nimboso”,
cui
la
seconda
parte
dell’appunto
allude,
potrebbe
leggersi
nel
senso
che
Galeazzo
precipita
da
un
“tempo
tranquillo”
a
una
situazione
in
cui
la
fortuna
benigna
lo
ha
abbandonato
(“fuggita
di
fortuna”),
con
significato
inverso,
dunque,
a
quello
(più
convenzionale)
sin
qui
preferito
dagli
studiosi
(Galeazzo
che
passa
dalla
tempesta
alla
quiete
grazie
all’opera
di
protezione
e
guida
dello
zio),
a
ulteriore
conferma
dell’attenzione
riservata
da
Leonardo
agli
aspetti
spesso
privi
di
scrupolo
della
politica
ludoviciana»
(Versiero,
2004,
pp.111-112).
Similmente,
dietro
ad
una
simbologia
“di
facciata”
alludente
alle
virtù
del
Moro
e
della
Gallerani,
potrebbe
in
realtà
nascondersi
a
mio
avviso
ne
La
Dama
con
l’ermellino,
una
denuncia
“cifrata”
delle
lotte
di
potere,
ai
danni
della
Gallerani,
a
cui
si
attaglia
perfettamente
il
Mito
della
Nascita
di
Ercole.
A
suffragio
di
tale
ipotesi
circa
un
costante
modus
operandi
di
Leonardo,
cito
ancora
una
volta
Marco
Versiero,
in
quanto
fine
interprete
– a
mio
avviso
–
degli
scenari
politico-allegorici
nei
quali
si
muove
Leonardo:
«In
effetti
Leonardo
è
paragonabile
a
qualsiasi
altro
inventore
di
allegorie
per
quel
che
concerne
la
scelta
dei
temi
(
che
non
è
escluso
fosse
spesso
determinata
dal
committente,
o
direttamente,
con
la
mediazione
di
qualche
colto
letterato)
e
per
l’impiego
di
due
specie
di
simboli:
quello
di
tipo
araldico
(rinvianti
alle
origini
familiari
e al
lignaggio
del
mecenate)
e
quello
a
carattere
propagandistico
(ispirati
alla
sua
condotta
politica
contingente
e
alla
trama
di
alleanze
ordita
con
altri
potentati).
Tuttavia
come
Martin
Kemp
ha
correttamente
evidenziato,
la
difficoltà
di
decifrare
compiutamente
le
allegorie
leonardesche
sta
nel
fatto
che
gli
animali
e le
piante
codificati
dall’emblematica
(anche
attraverso
la
glittica)
restano
per
il
Vinciano
elementi
della
natura,
conservandone
la
vitalità
e
mutevolezza
e
perciò
presentando
significati
ambigui
o
per
lo
meno
polivalenti»
(Versiero,
2006,
p.9).
In
merito
alle
eventuali
modifiche
operate
da
Leonardo
sulla
taglia
dell’animale
raffigurato,
è
bene
invece
rammentare
come,
del
resto,
la
differenza
tra
una
donnola
ed
un
ermellino,
dovesse
essere
ben
chiara
ai
contemporanei
di
Leonardo
se
anche
il
sopracitato
poeta
Bernardo
Bellincioni,
si
vantava
nei
suoi
versi
di
non
essere
così
sciocco
e
sprovveduto
da
non
saper
distinguere
la
donnola
(el
donel)
dall’ermellino:
Non
son
sì
grosso
e
soro
Che
comperi
el
donel
per
ermellino:
Di
presente
se'
tu
del
novarino
(Bellincioni,
I,
1876,
sonetto
C.I.,
p.
147)
Per
quanto
affascinanti,
le
ipotesi
suddette,
devono
essere
però
vagliate
alla
luce
di
rigorosi
riscontri
cronologici
e
temporali:
dal
momento
che
Bernardo
Bellincioni
compone
il
sonetto
Sopra
il
ritratto
di
Madonna
Cecilia,
qual
fece
Leonardo
entro
la
data
della
propria
morte
avvenuta
il
12
settembre
1492,
si
deduce
che
entro
tale
data,
il
ritratto
di
Cecilia
fosse
stato
all’incirca
compiuto
(?)
senza
escludere
che
Leonardo
possa
aver
apportato,
magari
successivamente
a
questa
data,
delle
modifiche
-
messe
in
luce
del
resto
dagli
studi
di
Pascal
Cotte
-
che
avrebbero
modificato
parzialmente
la
versione
iniziale
del
ritratto.
I
ripensamenti
circa
l’inserimento
e le
proporzioni
dell’ermellino,
riconsiderati
in
relazione
ai
simbolismi
veicolati
dal
mito
greco
della
Nascita
di
Ercole,
potrebbero
dare
adito
ad
almeno
due
possibili
scenari
entro
i
quali
Leonardo
sembra
attuare
il
proprio
processo
creativo:
un
primo
possibile
scenario,
sarebbe
a
mio
avviso
quello
secondo
cui
il
ritratto
sia
stato
iniziato
forse
prima
della
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti
(3
maggio
1491)
per
poi
essere
stato
rielaborato
dopo
la
stessa,
quando
è
ormai
certo
il
sesso
del
neonato
e la
silhouette
di
Cecilia
non
è
più
appesantita
da
un
inoltrato
stato
di
gravidanza
ma,
allo
stesso
tempo,
Cecilia
si
trova
in
uno
status
propizio
per
consentire
all’artista
di
istituire
un
colto
riferimento
al
mito
della
nascita
di
Ercole,
paragonando
forse
Cecilia
ad
Alcmèna,
amante
inconsapevole
e
madre
del
figlio
naturale
di
Zeus
o a
Galanthis,
la
donna
trasformata
in
donnola
in
virtù
del
vezzo
–
tipico
di
Leonardo
– di
alludere
all’identità
della
dama
ritratta
con
l’ausilio
di
colti
rebus
figurativi.
Tale
scenario,
che
suffragherebbe
l’ipotesi
di
un
originario
intento
dell’artista
di
“elevare,
mitizzandolo”,
il
concepimento
di
Cesare,
figlio
naturale
del
Moro,
deve
essere
a
mio
avviso
considerato
però
anche
retroattivamente
in
relazione
ad
una
straordinaria
e
successiva
concomitanza
di
eventi,
che
materializzò
in
un
preciso
e
breve
lasso
di
tempo,
una
reale
“coincidenza”
tra
i
nomi
dei
protagonisti
delle
vicende
che
andiamo
qui
a
descrivere
e
una
delle
versioni
più
note
del
mito
greco
della
Nascita
di
Ercole.
Un
secondo
scenario,
invece,
posticiperebbe
l’introduzione
della
presunta
donnola
nella
raffigurazione,
con
lo
scopo
di
alludere
alla
mitica
Nascita
di
Ercole,
forse
durante
la
gestazione,
nel
1492,
del
primogenito
di
Ludovico,
Ercole
Massimiliano.
Durante
la
gravidanza
di
Beatrice,
poteva
forse
essere
già
nota
a
Leonardo
l’intenzione
dei
coniugi,
di
chiamare
l’eventuale
primogenito
“Ercole”
come
il
nonno
materno,
(qualora
si
fosse
rivelato
tale
e
non
di
sesso
femminile).
Tale
spunto
può
aver
fornito
inizialmente
all’artista
l’idea
di
rifarsi
al
mito
della
Nascita
di
Ercole,
di
cui
parte
attiva
era
stata
sia
Galanthis
(la
fantesca),
sia
la
donnola,
a
seconda
delle
varie
versioni
del
mito,
e
dunque,
si
sarebbe
trattato,
per
traslato,
di
alludere
alla
Gallerani
quale
artefice,
essendosi
allontanata
dalla
Corte,
del
concepimento
di
Ercole
Massimiliano
da
parte
di
Beatrice...
Tale
motivo
ispiratore,
potrebbe
poi
essere
stato
forse
rivisto
dall’artista,
per
evitare
di
incorrere
in “
pericolose
implicazioni
politicamente
contaminate
e
contaminanti”
del
Mito,
all’origine
della
scelta
figurativa.
Si
volle
forse
evitare
il
rischio
di
indispettire
Beatrice
d’Este
(Hera,
?)
rispetto
alla
scelta
di
alludere
a
Cecilia
l’amante
o la
donnola?),
quale
novella
Alcmèna
la
quale,
dopo
aver
dato
alla
luce
Cesare,
figlio
adulterino
del
Moro
(proprio
come
nel
Mito),
allontanandosi
da
Ludovico
ha
consentito
a
Beatrice
di
concepire
l’erede
legittimo,
poi
venuto
alla
luce:
Ercole
Massimiliano
Sforza?
Ercole
Massimiliano,
il
primogenito
del
Moro,
nato
il
25
gennaio
del
1493,
fu
infatti
battezzato
con
il
nome
di
Ercole,
in
onore
del
nonno
materno,
ma
poi
fu
chiamato
Massimiliano
per
compiacere
l’
imperatore
omonimo
Massimiliano
I
d'Asburgo
(Vienna,
22
marzo
1459
–
Wels,
12
gennaio
1519)
il
quale,
nel
1494,
sposò
Bianca
Maria
Sforza,
nipote
di
Ludovico
il
Moro.
Date
le
ipotesi
enunciate,
occorre
infine
incrociare
i
dati
biografici
dei
possibili
protagonisti
di
questa
Vicenda,
immortalati
nella
cosiddetta
Pala
Sforzesca,
quasi
al
completo,
qualora
si
metta
prudentemente
in
dubbio
l’identificazione
del
bambino,
appaiato
a
Ludovico
il
Moro,
con
Cesare
Sforza
Visconti…
(si
tratta
invece
– e
più
plausibilmente
a
mio
avviso
– di
Francesco
Maria
Sforza,
unico
figlio
di
Gian
Galeazzo,
nato
il
30
gennaio
1491
e
detto
“il
duchetto”?)
[Figure
5-6].
.
Figura
5
.
Maestro della Pala Sforzesca, Sacra conversazione con Madonna e Bambino in trono e Dottori della Chiesa: Sant'Ambrogio, San Gregorio Magno, Sant'Agostino e San Girolamo, 1494-95. Milano, Pinacoteca di Brera
.
Figura
6
.
Pala Sforzesca: dettaglio dei committenti: Ludovico Sforza e Beatrice d’Este con il primogenito Ercole Massimiliano ( appaiato a Beatrice) ed il presunto Cesare Sforza Visconti (?) figlio naturale di Ludovico, appaiato forse, in questo caso, al padre (?)
Considerando
che
la
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti
avvenne
il 3
maggio
1491
e
che
Beatrice
d’
Este
darà
alla
luce
il
primogenito
Ercole
Massimiliano
il
25
gennaio
1493,
le
modifiche
relative
all’ermellino
portate
alla
luce
da
Pascal
Cotte,
potrebbero
anche
collocarsi
in
un
lasso
di
tempo
intermedio
tra
i
due
eventi,
cioè
in
una
avanzata
fase
della
gravidanza
di
Beatrice
d’Este,
forse
entro
il
12
settembre
del
1492
(?),
data
della
morte
del
poeta
Bernardo
Bellincioni
il
quale
vide
il
dipinto
e lo
descrisse
– ma
omettendo
qualsiasi
riferimento
all’ermellino
–
nel
noto
sonetto
la
cui
composizione
rappresenta
il
nostro
terminus
ad
quem
per
una
possibile
datazione
intermedia
dell’opera,
ovvero
qualche
mese
prima
della
nascita
di
Ercole
Massimiliano:
in
questa
fase
tarda
della
gravidanza
di
Beatrice
d’Este,
non
si
può
escludere
che
Leonardo
fosse
a
conoscenza
della
intenzione
di
dare
al
nascituro
–
nel
caso
si
fosse
trattato
di
un
maschio
– il
nome
di
Ercole,
proprio
come
l’eroe
mitico
di
nostra
pertinenza,
ed
in
onore
del
nonno
materno.
Tale
concomitanza
di
eventi,
potrebbe
aver
ispirato,
all’
artista,
la
necessità
di
modificare
l’iconografia
dell’opera
attraverso
l’ingrandimento
dell’animale
che
da
donnola
sarebbe
diventato
ermellino,
in
omaggio
sia
alla
figura
di
Ludovico
e
alle
sue
virtù
morali
e
politiche
simboleggiate
dal
mitico
animale,
sia
a
Cecilia
Gallerani,
di
cui
si
evocava
il
cognome.
Questo
“ripensamento”
dell’iconografia
dell’opera,
avrebbe
evitato
forse
una
pericolosa
situazione
di
impasse
in
un
momento
in
cui
sarebbe
stato
ormai
inopportuno,
rappresentare
Cecilia
come
novella
Alcmena,
madre
di
Eracle,
dal
momento
che
Beatrice
stava
dando
alla
luce
il
legittimo
erede,
novello
Ercole,
di
nome
e di
fatto
, se
di
sesso
maschile…
Pertanto,
considerando
i
dettagli
di
costume
ed i
possibili
simbolismi
veicolati
sia
dalla
iniziale
scelta
iconografica
di
rappresentare
forse
una
donnola,
sia
da
quella
successiva
di
sostituire
la
donnola
con
l’attuale
ermellino,
a
mio
avviso,
la
ipotesi
più
probabile,
è
che
il
ritratto
possa
essere
stato
iniziato
forse
anche
prima
del
concepimento
di
Cesare
Sforza
Visconti
(
entro
maggio-giugno
1490)
ma
ritengo
in
ultima
analisi
che
il
dipinto
sia
un’opera
in
progress
modificata
in
corrispondenza
di
alcuni
eventi
decisivi:
durante
la
gestazione
e
dopo
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti
(3
maggio
1491);
durante
la
gestazione
e
dopo
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano
(25
gennaio
1493).
Tali
ipotesi,
conducono
a
supporre
che
Leonardo
si
sia
spinto
oltre
la
data
di
morte
di
Bernardo
Bellincioni,
magari
addirittura
dopo
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano
nel
rimaneggiare,
portandolo
a
termine,
il
ritratto
che
il
Bellincioni
poté
forse
vedere
e
descrivere
nel
noto
sonetto
composto
entro
la
data
della
propria
morte
avvenuta
il
12
settembre
1492.
Forse
il
Bellincioni
ebbe
accesso
all’opera
che
si
trovava
allora
già
compiuta
ma
nella
versione
iniziale
priva
di
ermellino
e
antecedente
(
forse
di
qualche
anno…)
a
quella
definitiva
giunta
sino
a
noi.
Del
resto,
nel
sonetto
del
Bellincioni
non
viene
nominata
né
la
presenza
di
una
donnola,
né
la
presenza
di
un
ermellino,
la
quale,
sarebbe
stata
con
ogni
probabilità
descritta
dal
poeta
in
virtù
delle
forti
implicazioni
simboliche
di
tale
animale
ritenuto
dai
contemporanei
(incluso
lo
stesso
poeta),
come
emblematico
di
Ludovico
il
Moro.
A
scanso
di
equivoci,
desidero
sottolineare
ancora
una
volta,
che
le
presenti
mie
ipotesi
di
datazione
scaturiscono
dall’
analisi
congiunta
dei
dettagli
vestimentari,
debitamente
evidenziati
da
chi
scrive,
nel
volume
di
Pascal
Cotte
Lumière
on
the
Lady
with
an
Ermine/Lumière
sur
la
Dame
à l’Hermine
(Cotte,
2014,
pp.
21-23,
78
-87,
171,
178,
182,
217),
e ad
introduzione
del
presente
contributo,
unitamente
ad
alcune
delle
principali
scoperte
–
finora
inedite–
dei
rifacimenti
operati
da
Leonardo
da
Vinci
e
messi
in
luce
da
Pascal
Cotte,
le
quali
mi
hanno
suggerito
possibili
e
deliberate
connessioni
con
la
vicenda
mitologica
della
Nascita
di
Ercole.
Tale
vicenda
mitologica,
se
traslata
negli
avvenimenti
in
corso
presso
la
corte
sforzesca,
costituirebbe
di
per
sé
una
sorta
di
rimando
cronologico
interno
all’opera
ovvero
ai
mesi
che
vanno
da
maggio/giugno
1491,
appena
dopo
la
nascita
di
Cesare
Sforza
Visconti,
sino
alla
avanzata
gravidanza
di
Beatrice
d’Este,
entro
il
12
settembre
1492:
terminus
ad
quem
costituito
dalla
morte
di
Bernardo
Bellincioni
il
quale
vide
e
descrisse
il
ritratto
ma
forse
in
una
fase
non
ancora
definitiva
in
quanto
l’opera
potrebbe
essere
stata
rimaneggiata
e
terminata
addirittura
dopo
la
nascita
di
Ercole
Massimiliano
Sforza
avvenuta
il
25
gennaio
1493.
Elisabetta
Gnignera
(specialista
di
Storia
del
Costume
e
delle
Acconciature
dei
secoli
XIII-XVI)
tutti
i
diritti
riservati
©
english
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