N. 47 - Novembre 2011
(LXXVIII)
Dalmazia & Venezia Giulia
dalla
metà
ottocento
alla
prima
guerra
mondiale
-
Parte
IV
di
Nicola
Ponticiello
&
Roberto
Rota
Il risveglio nazionale degli slavi si contrapponeva non solo all’elemento dominante tedesco o magiaro, ma anche contro gli italiani nelle zone contese, cosicché i diritti nazionali, riconosciuti nell’Impero austro-ungarico attraverso la carta costituzionale del 1867, con le relative ampie competenze attribuite alle diete provinciali mettevano la politica nazionale dei diversi Länder nelle mani dei gruppi nazionali maggioritari sottraendo vaste aree dell’Impero al controllo dello Stato. La situazione di fatto veniva percepita dai gruppi nazionali minoritari in maniera tale da sembrare che l’intento da parte del governo centrale di Vienna fosse quello del vecchio topos del divide et impera. In effetti, citando Felice Venezian, leader indiscusso del partito liberal-nazionale italiano a Trieste, il quale asseriva al riguardo in una prospettiva di futura presa del potere da parte dell’Italia in quel di Trieste: "Gli slavi da noi sono tutt’una cosa col dominio austriaco. Nessuno si accorgerà più che ci siano quando quel dominio non ci sarà più sul collo".
Dal
punto
di
vista
slavo
naturalmente
le
cose
stavano
diversamente
per
cui
la
Dalmazia
e la
Venezia
Giulia
compresa
la
città
di
Trieste
non
venivano
considerati
come
territori
italiani,
anzi
l’elemento
nazionale
italiano
presente
sul
territorio
era
percepito
quale
antagonista
ed
usurpatore
dello
spirito
nazionale
slavo,
dalle
nascenti
aspirazioni
indipendentiste
e
nazionalistiche
slovene
e
croate.
Come
ben
evidenziato
da
Raoul
Pupo
è
proprio
negli
anni
Settanta
del
XIX
secolo
che
il
processo
di
assimilazione
ed
italianizzazione
della
borghesia
cittadina
slava
nelle
città
della
costa
giuliana
inizia
ad
affievolirsi
e,
di
contro,
inizia
a
costituirsi
una
borghesia
slovena
e
croata,
che
innalzava
di
fatto
i
toni
dei
conflitti
di
nazionalità
dell’area
dell’Alto
Adriatico.
In
questa
prospettiva
storica
andando
ad
analizzare
i
territori
che
costituiscono
l'attuale
Croazia
nel
periodo
che
va
dal
1866
alla
scoppio
della
prima
guerra
mondiale,
essi
riflettevano
una
divisione
politica
dell’area
che
derivava
da
centinaia
d'anni
di
frammentazioni
e
dominazioni
differenti,
questi
territori
avevano
quindi
sviluppato
storie
diverse,
assimilando
differenti
influenze,
sviluppando
forme
dissimili
di
linguaggio
e
pure,
per
certi
aspetti,
delle
religioni
distinte:
alcune
zone
della
Dalmazia
vennero
infatti
abitate
da
popolazioni
ortodosse,
che
i
veneziani
chiamavano
anche
greci,
ma
che
in
seguito
furono
detti
serbo-ortodossi
(Filippo
Maria
Paladini,
Un
caos
che
spaventa.
Poteri,
territori
e
religioni
di
frontiera
nella
Dalmazia
della
tarda
età
veneta,
Venezia,
Marsilio,
2002).
Prendendo
spunto
dalla
storiografia
sui
nazionalismi
europei
Guy
Hermet
(Nazioni
e
nazionalismi
in
Europa,
Bologna,
il
Mulino,
1997),
ci
mostra
le
diverse
direttrici
che
la
coscienza
nazionale
croata
assume
nel
XIX
secolo
ripercorrendone
la
storia
per
sommi
capi.
La
Croazia
fu
territorio
asburgico
dal
1603
(in
precedenza
fin
dal
1102
rientrava
sotto
la
sovranità
della
corona
di
Santo
Stefano
ed
era
quindi
possesso
del
Regno
d’Ungheria),
e vi
si
delinea,
intorno
al
1800,
una
tendenza
nazionalista
tendente
ad
includere
tutti
gli
slavi
del
sud,
compresi
i
serbi,
nota
con
il
nome
di
illirismo.
La
dottrina
nazionalistica
fu
teorizzata
da
un
giornalista
di
Zagabria,
Ljudevit
Gaj.
Nello
stesso
periodo
tuttavia
la
massa
della
popolazione
continua
a
sentirsi
orgogliosa
di
appartenere
all'Impero
austriaco
e
ostenta
il
proprio
cattolicesimo
contrapposto
all'ortodossia
serba
considerandosi
occidentale
rispetto
a
Belgrado.
Lo
scopo
degli
illiristi,
fatto
successivamente
proprio
dal
nazionalismo
croato,
era
la
creazione
della
nazione
croata
attraverso
il
superamento
della
coscienza
regionale
nei
singoli
territori,
mediante
l'attenuazione
delle
barriere
fra
i
ceti
(nobiltà,
borghesia,
clero
e
popolazione
contadina)
e,
infine,
mediante
l'uniformazione
della
lingua.
I
croati
hanno
quindi
sviluppato
un
concetto
nazionale
fortemente
antagonista
rispetto
ai
popoli
quali
gli
ungheresi,
gli
italiani
ed
in
parte
i
tedeschi,
visti
come
coloro
i
quali
avendo
dominato
politicamente
ed
economicamente
per
secoli
il
popolo
croato,
intendevano
promuoverne
una
completa
snazionalizzazione,
ciascuno
di
essi
per
le
proprie
specifiche
mire
territoriali.
A
ciò
si
aggiunga
come
particolarità
la
presenza
all'interno
sia
della
Croazia
che
della
Dalmazia
di
una
forte
componente
nobiliare
e
mercantile
la
quale
storicamente,
nel
momento
in
cui
si
elevava
socialmente,
tendeva
ad
identificarsi
rispettivamente
con
gli
ungheresi,
gli
italiani
o i
tedeschi:
questo
produsse
l'idea
per
la
quale
ad
una
differenziazione
di
classe
(povero/ricco)
corrispondeva
una
differenziazione
di
utilizzo
della
lingua
(slavo/non
slavo),
considerata
come
"acquisita"
o
"imposta".
In
pratica,
anche
le
persone
che
nei
vari
decenni
si
erano
chiaramente
identificati
come
"ungheresi"
o
"tedeschi"
o
"italiani"
vennero
considerati
spesso
o
come
recenti
immigrati
o
come
"croati
assimilati".
In
generale
nella
storiografia
al
riguardo,
viene
posto
in
evidenza
come
questo
processo
di
assimilazione
alla
“nazione
considerata
superiore“
si
sia
arrestato
a
partire
dalla
seconda
metà
del
XIX
secolo.
In
Dalmazia
l'identità
nazionale
incomincio
ad
avvertire
l’esigenza
della
creazione
di
un’entità
nazionale
indipendente,
che
si
fondasse
sul
concetto
di
"nazione
dalmata",
a sé
stante
sia
rispetto
al
mondo
italiano
che
a
quello
slavo,
croato
o
serbo.
L'idea
di
una
nazione
dalmata
fondeva
e
conciliava
slavismo
adriatico
e
italianità,
permettendo
di
conciliare
e
giustificare
sul
piano
intellettuale
e
politico
la
natura
multietnica
e
multilinguistica
della
società
urbana
dalmata.
Tale
idea
venne
fatta
propria
e
sviluppata
nei
primi
quaranta
anni
del
XIX
secolo
da
alcuni
dei
principali
intellettuali
dalmati,
quali
Niccolò
Tommaseo,
Francesco
Carrara,
Simeone
Gliubich
ed
altri
ancora.
Proprio
da
questa
tradizione
culturale
bilingue,
municipalista
e
particolarista
sorse
e si
sviluppò
nei
primi
decenni
del
XIX
secolo
l'autonomismo
liberale
dalmata
di
Antonio
Bajamonti
e
Luigi
Lapenna.
Significativamente,
alcuni
di
questi
intellettuali
nel
corso
degli
anni
maturarono
invece
un'idea
diversa,
identificando
se
stessi
vuoi
come
italiani
(Bajamonti
su
tutti)
vuoi
come
croati
(per
esempio
Gliubich).
Per
quanto
concerne
la
Slovenia,
anche
qui,
come
abbiamo
visto
per
la
Croazia
e la
Dalmazia,
i
meccanismi
di
assimilazione
verso
le
culture
nazionali
considerate
“superiori”
da
parte
dei
ceti
borghesi
slavi
e
quindi
visti
come
indice
di
ascesa
sociale,
ebbero
termine
visibilmente
entro
la
seconda
metà
del
XIX
secolo.
Come
osserva
Rolf
Wörsdörfer
(Il
confine
orientale
Italia
e
Jugoslavia
dal
1915
al
1955,
Bologna,
il
Mulino,
2009)
era
ancora
molto
diffuso
dopo
il
primo
dopoguerra
nell’immaginario
collettivo
slavo
lo
stereotipo
secondo
il
quale
un
“veneziano“
o un
italiano
erano
più
ricchi
rispetto
ad
uno
slavo.
Il
nucleo
originario
dell’odierna
Slovenia
viene
individuato
dall’attuale
storiografia
nel
periodo
delle
guerre
di conquista
napoleoniche
dove
in
seguito
a
tale
annessione
il
condottiero
e
poi
artefice
del
primo
Impero
francese
creò
le
Province
Illiriche,
le
quali
costituiranno
l'embrione
della
futura
Slovenia.
Queste
province,
istituite
nel
1809
con
capitale
Lubiana,
vennero
sciolte
nel
1813,
quando
furono
rioccupate
dall'Austria.
Sottomesse
di
nuovo
alla
sovranità
asburgica
rifluiranno
di
nuovo
nei
ducati
di
Carniola,
Stiria
e
Carinzia
ed
in
seguito
alla
suddivisione
del
1867
fu
costituito
il
Litorale
(Küstenland).
Successivamente,
nel
1882,
il
gruppo
nazionale
sloveno
ottiene
la
maggioranza
nella
dieta
della
Carniola
e in
quella
del
consiglio
comunale
di
Lubiana.
In
questo
periodo
prendono
corpo
e si
diffondono
nel
neo
costituito
territorio
del
Küstenland
e
nel
ducato
di
Carniola
le
idee
nazionaliste
slovene,
che,
come
per
il
caso
croato
e
dalmata,
virano
verso
diverse
direzioni,
siano
esse
autonomiste
all’interno
dell’Impero
o
indipendentiste,
e
cozzano
oramai
spontaneamente
con
le
aspirazioni
del
gruppo
nazionale
italiano.
In
riferimento
al
destino
dei
territori
contesi
dell’Istria
e
delle
città
di
Gorizia
e
Trieste,
basta
citare
il
più
autorevole
intellettuale
sloveno
dell’epoca
Ivan
Cankar,
che
sostanzialmente
esprimeva
il
concetto
ed
affermava
al
riguado
che:
"Lubiana
era
il
cuore
della
Slovenia,
mentre
Trieste
emporio
portuale
aperto
sul
mondo,
era
il
suo
polmone".
La
crescita
della
coscienza
nazionale
slovena
iniziò
quindi
a
diffondersi
nell’area
giuliana
all’inizio
del
XIX
secolo.
Uno
degli
esempi
più
vivi
di
tale
ascesa
fu
la
costruzione
all’inizio
del
secolo
a
Trieste
del
Narodni
Dom
(Casa
Nazionale),
eretto
nonostante
l’opposizione
dell’amministrazione
municipale
nazional-liberale.
Esso
rappresentava
per
gli
sloveni
insieme
al
Carso,
popolato
da
slavi,
non
già
un
territorio
di
frontiera
ma
con
la
città
di
Trieste
un
unico
territorio
da
rivendicare
alla
madre-patria,
alla
nazione
slovena.
Come
osservano
Wohinz
e
Pirjevec
l'ascesa
del
gruppo
nazionale
sloveno
nell'Ottocento
é
evidenziata
dalla
repentina
crescita
economica
e
culturale.
Mentre
ancora
all'inizio
del
secolo
soltanto
una
trentina
di
persone
in
tutto
il
territorio
etnico
sloveno
erano
capaci
di
scrivere
nella
madrelingua,
alla
fine
dello
stesso
secolo
esisteva
un'editoria
fiorentissima,
capace
di
raggiungere
anche
i
più
sperduti
casolari
di
montagna.
E
bisogna
considerare
che
in
epoca
napoleonica
la
gran
parte
della
popolazione
era
costituita
da
masse
di
contadini
non
del
tutto
affrancate
degli
obblighi
feudali.
Queste
masse
furono
capaci
di
presentarsi
con
una
società
oramai
ben
strutturata
ed
articolata,
allo
scoppio
del
primo
conflitto
mondiale
e
pronte
per
rivendicare
appieno
i
propri
diritti
di
autogoverno.
Rolf
Wörsdörfer
mette
in
risalto
il
ruolo
cardine
che
hanno
avuto
nell’autodifesa
delle
coscienze
nazionali
slave
le
associazioni
scolastiche
e le
case
editrici.
In
particolare
le
case
editrici
del
“risorgimento
degli
slavi
del
sud”,
create
a
Lubiana
e
Zagabria,
che
si
ponevano
l’obiettivo
della
diffusione
di
libri
in
lingua
slovena
e
croata,
si
rifacevano
al
simbolo
dell’operosità
dell’ape
regina
(matica)
molto
diffuso
tra
i
popoli
slavi
occidentali
e
meridionali,
a
tale
simbologia
si
richiamavano
la
Slovenska
matica
e la
Matica
hrvatska.
L'associazione
scolastica
Družba
sv.
Cirila
in
Metoda
(Società
dei
Santi
Cirillo
e
Metodio)
che
nel
1888
a
Trieste
aprì
la
prima
classe
elementare,
si
presentò
in
prima
linea
facendo
la
parte
del
leone
nella
difesa
della
lingua
e
cultura
slava
sopratutto
là
dove
la
popolazione
era
più
esposta
all'offensiva
culturale
dell'italianità
o
del
germanesimo.
Nei
territori
asburgici
popolati
da
sloveni
la
Cmd
(acronimo
sloveno
di
Družba
sv.
Cirila
in
Metoda)
godeva
dell'appoggio
dei
ceti
abbienti
(slavi).
La
rete
della
Cmd
comprendeva
asili
e
scuole
elementari
a
Trieste
e
dintorni,
Gorizia,
Cormons,
Velikovec,
Maribor,
Jesenice,
Celje
e
altri
centri
minori,
in
tutto
la
società
gestiva
nove
scuole
elementari
e
ventisei
asili,
partecipando
inoltre
alla
nascita
di
ulteriori
strutture
scolastiche
sia
private
che
statali.
Come
osserva
Rolf
Wörsdörfer,
anche
sè
dal
punto
di
vista
quantitativo
tale
attività
può
sembrare
modesta
essa
era
particolarmente
fastidiosa
per
i
liberalnazionali
italiani
in
quanto
la
forza
e
l'attrattiva
della
Cmd
e
della
struttura
scolastica
slovena
presente
sul
litorale
si
basava
sulla
stretta
collaborazione
politica
tra
gli
sloveni
di
Trieste
e
Lubiana
ed i
croati
dell'Istria.