N. 44 - Agosto 2011
(LXXV)
Dalmazia & Venezia Giulia
dalla metà ottocento alla prima guerra mondiale - Parte I
di Nicola Ponticiello & Roberto Rota
Nel
1866
al
termine
della
terza
guerra
d’indipendenza
il
Regno
d’Italia
annetteva
il
Veneto
ai
danni
dell’Impero
asburgico,
portando
così
il
confine
orientale
d’Italia
a
ridosso
dell’Isonzo.
Questo
evento
è
stato
letto
spesso
dalla
storiografia
italiana
che
si è
interessata
al
contesto
dell’area
giuliana
come
un
evento
periodizzante
ed,
in
effetti,
questo
aspetto
è
ben
evidenziato
dal
lavoro
di
Marina
Cattaruzza
(L’Italia
e il
confine
orientale
1866-2006,
Bologna,
il
Mulino
2007),
che
si è
occupata
delle
controversie
legate
al
confine
orientale
d’Italia
lungo
un
percorso
di
ben
centoquaranta
anni
di
storia
della
frontiera
orientale,
dal
1866
al
2006.
Anche
la
storiografia
dell’area
slava
concorda
nella
lettura
che
vede
il
1866
come
anno
d’inizio
della
disputa
nazionalistica
nell’Alto
Adriatico
ed
in
particolare Milica
Kacin
Wohinz
e
Jože
Pirjevec.
In
effetti,
soltanto
esaminando
il
contesto
geopolitico
dell’Alto
Adriatico,
dalla
seconda
metà
del
XIX
secolo,
si
riusciranno
a
definire
le
giuste
coordinate
per
cogliere
in
pieno
gli
eventi
connessi
alla
realtà
dalmata
e
giuliana,
che
nel
secolo
successivo
nel
periodo
tra
le
due
guerre
mondiali
per
circa
un
quarantennio,
diverranno
particolarmente
conflittuali
dal
1915
al
1955
l’area
sarà
interessata
da
incessanti
dispute
per
il
confine,
in
un’ininterrotta
sequela
di
lotte
fra
stati
nazionali,
irredentismi
e
nazionalismi.
L’Alto
Adriatico
nel
1866
si
presentava
suddiviso
tra
il
giovane
Regno
d’Italia
ed
il
più
vetusto
Impero
asburgico.
L’Italia
come
si è
già
accennato
aveva
conquistato
il
Veneto,
grazie
alla
vittoria
nella
guerra
del
giugno-agosto
1866,
combattuta
contro
l’Austria
ed
al
fianco
della
Prussia.
L’Impero
asburgico
uscì
quindi
sconfitto
dalla
guerra,
estromesso
dalla
Confederazione
germanica,
e
tormentato
dalle
controversie
fra
le
numerose
nazionalità
che
lo
costituivano,
avviandosi
di
conseguenza
verso
una
crisi
istituzionale
sempre
più
intensa.
La
risposta
della
Casa
d’Asburgo
alle
pressioni
interne
ed
esterne
portò
all’accordo-compromesso
del
1867
(Ausgleich)
che
rappresentò
un
grande
successo
per
il
solo
gruppo
nazionale
magiaro.
La
nuova
compagine
statale
che
né
scaturì
portò
alla
separazione
dell’Impero
d’Austria
(Cisleitania)
dal
Regno
d’Ungheria
(Transleitania).
Sul
piano
istituzionale
il
risultato
fu
inedito,
entrambe
le
parti
che
costituivano
il
nuovo
Stato
austro-ungarico
avevano
proprie
leggi
ed
istituzioni.
Tuttavia
ambedue
continuavano
ad
essere
soggette
all’autorità
della
corona
asburgica,
condividendo
le
forze
armate,
la
politica
estera
che
era
prerogativa
di
un
unico
ministero
degli
Esteri
e la
finanza
pubblica.
Dal
punto
di
vista
amministrativo
i
territori
della
Venezia
Giulia
furono
suddivisi
fra
il
Küstenland
e la
Carniola.
A
questo
punto
però
é
opportuno
focalizzare
l’attenzione
sul
termine
di
Venezia
Giulia
utilizzato
per
designare
l’area
dell’Alto
Adriatico.
Tale
definizione
viene
data
dal
glottologo
goriziano
Graziadio
Isaia
Ascoli
nel
1863
e
sarà
in
seguito
fatta
propria
dagli
irredentisti
e
nazionalisti
italiani.
Al
riguardo
ecco
un
articolo
pubblicato
l’8
agosto
1863
sull’
“Alleanza”
di
Milano
dallo
stesso
Ascoli
intitolato
Le
Venezie
che
in
alternativa
alla
denominazione
di
Litorale
Austriaco
proponeva
invece
quella
di
“Venezia
Giulia”:
«Noi
diremo
"Venezia
propria"
il
territorio
rinchiuso
negli
attuali
confini
amministrativi
delle
province
venete;
diremo
"Venezia
Tridentina"
o
"Retica"
(meglio
"Tridentina")
quello
che
pende
dalle
Alpi
Tridentine
e
può
avere
per
capitale
Trento;
e
"Venezia
Giulia"
ci
sarà
la
provincia
che
tra
la
Venezia
Propria
e le
Alpi
Giulie
ed
il
mare
rinserra
Gorizia,
Trieste
e
l'Istria.
Nella
denominazione
comprensiva
"Le
Venezie"
avremo
poi
un
appellativo
che
per
ambiguità
preziosa
dice
classicamente
la
sola
Venezia
Propria,
e
perciò
potrebbe
stare
sin
d'ora,
cautamente
ardito,
sul
labbro
e
nelle
note
dei
nostri
diplomatici.
Noi
ci
stimiamo
sicuri
del
buon
effetto
di
tale
battesimo
sulle
popolazioni
a
cui
intendiamo
amministrarlo;
le
quali
ne
sentono
tutta
la
verità.
Trieste,
Roveredo,
Trento,
Monfalcone,
Pola,
Capodistria,
hanno
la
favella
di
Vicenza,
di
Verona,
di
Treviso;
Gorizia,
Gradisca,
Cormons,
quella
d’Udine
e di
Palmanova.
Noi
abbiamo
in
ispecie
ottime
ragioni
d’andar
sicuri
che
la
splendida
e
ospitalissima
Trieste
s'intitolerà
con
gaudio
orgoglio
la
Capitale
della
Venezia
Giulia.
E
non
ci
resta
che
di
raccomandare
questo
nostro
battesimo
al
giornalismo
nazionale;
bramosi
che
presto
sorga
il
dì
in
cui
raccomandarlo
ai
Ministri
e al
Parlamento
d’Italia
e al
valorosissimo
suo
Re».
Com’è
stato
osservato
da
Marina
Cattaruzza:
«La
definizione
elaborata
dall'Ascoli
non
si
collocava
in
un'ottica
secessionista
ed
irredentista.
Si
trattava
piuttosto,
per
il
glottologo
Goriziano,
di
dare
maggiore
visibilità
alla
componente
italiana
nella
monarchia
asburgica,
evidenziandone
le
ascendenze
romane
e
venete...»
Il
nome
derivava
dalla
Regio
X,
una
delle
undici
regiones
in
cui
l’imperatore
Augusto
divise
l'Italia
intorno
al
7
d.C.,
in
seguito
indicata
dagli
storici
come
Venetia
et
Histria.
Il
suo
territorio
corrispondeva
alle
antiche
regioni
geografiche
della
Venezia
e
dell'Istria.
L'Ascoli
divise
il
territorio
della
Regio
X in
tre
parti
(le
cosiddette
Tre
Venezie):
la
Venezia
Giulia
(Friuli
orientale,
Trieste,
Istria,
parti
della
Carniola
e
della
Iapidia),
la
Venezia
Tridentina
(il
Trentino
e l'Alto
Adige)
e la
Venezia
Propria
(Veneto
e
Friuli
centro-occidentale).
È da
tener
presente
che
nel
momento
in
cui
l'Ascoli
suggerisce
il
nome
di
Venezia
Giulia
l'intero
territorio
faceva
parte
dell'Impero
d'Austria.
Prima
del
1866
la
città
di
Trieste,
il
Friuli
orientale,
l’Istria,
le
Alpi
Giulie,
Fiume
le
isole
del
Quarnaro
erano
parte
del
Ducato
di
Carniola
sempre
sotto
la
monarchia
asburgica,
ma
dal
1867
dopo,
la
firma
dell’Ausgleich
che
sanciva
la
nascita
del
nuovo
Impero
austro-ungarico
si
definiva
una
suddivisione
diversa,
che,
eccezion
fatta
per
le
Alpi
Giulie
e la
città
di
Fiume,
distingueva
i
territori
sopra
elencati
rispetto
alla
Carniola
creando
il
Küstenland
(Litorale
Austro-Illirico).
La
Dalmazia
invece
era
separata
dalla
Croazia
ed
era
sotto
giurisdizione
dell’Impero
d’Austria
(Cisleitania),
di
contro
Fiume
rientrava
nel
territorio
croato
ed
era
sotto
giurisdizione
del
Regno
d’Ungheria
(Transleitania).
I
rapporti
internazionali
tra
l’Italia
e
l’Impero
austro-ungarico
dopo
il
1867
si
inserivano
,
naturalmente,
nel
più
ampio
contesto
europeo,
in
questo
periodo
le
spinte
irredentiste
del
nazionalismo
italiano
iniziavano
a
trasformarsi
in
spinte
imperiali
e
nazionalistiche,
le
quali
vedevano
ancora
nell’Austria
il
nemico,
ma
questa
volta
non
solo,
come
durante
il
Risorgimento,
della
libertà
del
popolo
italiano,
ma
piuttosto
dell’affermazione
della
politica
di
potenza
militare
e
dell’espansione
imperialistica
dell’Italia
verso
i
Balcani
e
l’area
danubiana.
Al
Congresso
di
Berlino
del
1878
questo
assunto
sembrava
essere
confermato
agli
occhi
dei
nazionalisti
italiani
che
vedevano
nel
successo
della
diplomazia
asburgica,
con
l’acquisizione
del
protettorato
amministrativo
sulla
Bosnia-Erzegovina
da
parte
dell’Impero
austro-ungarico,
una
sconfitta
degli
interessi
italiani.
Si
era
confidato
invece
in
ampliamenti
territoriali
di
compensazione
per
l’Italia
nel
caso
di
acquisizioni
da
parte
dell’Austria-Ungheria
ai
danni
dell’Impero
Ottomano
nei
Balcani,
per
rispondere
adeguatamente
al
concetto
di
equilibrio
proposto
dal
cancelliere
tedesco
Otto
von
Bismarck.
Dopo
il
Congresso
di
Berlino
la
politica
estera
italiana
mutò
decisamente
il
suo
atteggiamento
ponendo
in
primo
piano
l’affermazione
del
diritto
di
praticare
una
politica
di
potenza
libera
dai
vincoli
del
Risorgimento.
Tale
politica
sarebbe
stata
interpretata
da
Francesco
Crispi
nella
logica
di
competizione
intereuropea
e
sarebbe
successivamente
sfociata
nel
periodo
del
colonialismo
italiano.
L’adesione
dell’Italia
nel
1882
alla
Triplice
Alleanza
con
Austria-Ungheria
e
Germania
avvenne
in
effetti
già
prima
dell’insediamento
di
Crispi
alla
presidenza
del
Consiglio
dei
ministri,
in
risposta
alla
politica
coloniale
francese
che
nel
1881
annetteva
la
Tunisia
e
danneggiava
le
mire
espansionistiche
italiane.
L’adesione
alla
Triplice
per
quanto
sembrasse
comportare
la
rinuncia
alle
terre
irredente
(proprio
nel
1882
veniva
giustiziato
dopo
il
processo
in
Austria
il
patriota
Guglielmo
Oberdan,
che
aveva
tentato
di
assassinare
l’imperatore
Francesco
Giuseppe
con
il
lancio
di
una
bomba
su
un
corteo
di
veterani
a
cui
prendeva
parte
lo
stesso
imperatore,
il 2
agosto
1882)
consentì
però
all’Italia
di
uscire
dall’isolamento
internazionale.
Il
successivo
rinnovo
del
trattato,
nel
1887,
assicurò
all’Italia,
in
base
ad
apposite
clausole
contratte
in
accordi
separati,
acquisizioni
territoriali
nel
caso
di
ampliamenti
dell’Austria-Ungheria
nei
Balcani.
Nel
1912,
con
l’ulteriore
rinnovo
del
trattato,
tali
clausole
divennero
parte
integrante
dello
stesso.
Nonostante
l’adesione
dell’Italia
alla
Triplice
Alleanza,
i
rapporti
con
l’Impero
austro-ungarico
non
furuno
mai
pienamente
“amichevoli”
e
liberi
da
contrasti
e da
strategie
geopolitiche
(oltre
che
dall’ostilità
degli
irredentisti
per
l’alleanza
con
il
nemico
“naturale”).
I
rapporti
diverrano
di
nuovo
particolarmente
tesi
nel
1908
con
l’annessione
da
parte
dell’Austria-Ungheria
della
Bosnia-Erzegovina,
avvenuta
a
causa
del
timore
dell’Impero
asburgico
che
in
seguito
al
successo
della
rivoluzione
dei
Giovani
turchi,
il
“nuovo”
Impero
ottomano
avesse
potuto
avanzare
richieste
per
riottenere
l’amministrazione
dei
territori
della
Bosnia-Erzegovina.
Il
malumore
che
si
diffuse
nell’opinione
pubblica
italiana
sembrò
riportare
la
situazione
al
1878
e si
tornava
di
nuovo
a
parlare
a
gran
voce
di
compensi.
Questa
situazione
di
frizione
dovuta
alla
decadenza
dell’Impero
ottomano
porterà
alla
guerra
italo-turca
del
1912
(ed
alla
conseguente
annessione
della
Libia
al
Regno
d’Italia).
La
crisi
nei
Balcani
sfocierà
invece
nelle
due
guerre
balcaniche
del
1912-1913
fino
al
fatidico
1915,
quando
fu
ripudiato
da
parte
dell’Italia
il
trattato
della
Triplice
Alleanza
che
la
legava
agli
“Imperi
centrali”.
Il
Patto
di
Londra
del
26
aprile
1915
porterà
l’Italia
a
dichiarare
guerra
all’Austria-Ungheria
il
24
maggio
di
quello
stesso
anno
e a
partecipare
al
primo
conflitto
mondiale
al
fianco
dei
paesi
dell’Intesa.