[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

186 / GIUGNO 2023 (CCXVII)


medievale

Sulla cultura umanistico-rinascimentale
l’offuscamento del passato

di Federica Ambroso

 

 

Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, si diffuse progressivamente in tutta Europa una nuova visione del mondo che scosse dalle fondamenta le convinzioni che per secoli non erano mai state messe in dubbio, e riportò in auge l’interesse per la cultura, aprendo gli occhi a un mondo da troppo tempo stagnante nelle tenebre dell’ignoranza.

 

Mentre nel Medioevo la struttura sociale gerarchica e statica e l’economia chiusa trovarono un corrispettivo in una visione statica della realtà, teocentrista, permeata dalla religiosità, nel Rinascimento i nuovi ceti comunali si indirizzarono verso l’antropocentrismo, rivalutando la figura umana e l’importanza di sondare la realtà per conoscere ciò che è al di là del già conosciuto. Innanzitutto, si intese appunto far luce sulla dignità dell’uomo, essere libero per natura, protagonista della storia; Pico della Mirandola, nella sua De hominis dignitate, lo definì persino “creatore di se stesso”.

 

L’uomo rinascimentale è “faber fortunae suae”, e ha diritto di essere felice in questa vita, godendo appieno dei beni materiali senza sensi di colpa, senza vergogna. Egli è quindi un uomo spregiudicato, che si dedica alla vita attiva, orgoglioso di ciò che è e può fare, impiegando le sue risorse in quanto mezzi che Dio ha messo a disposizione per la sua felicità.

 

La tensione al trascendente tipica della visione medievale implicava invece la svalutazione della vita terrena; il fine della vita umana era unicamente il raggiungimento della salvezza eterna, ostacolato dal peso della carne, del peccato. L’uomo doveva quindi mortificarsi con digiuno, punizioni, preghiera. Questa visione ascetica portava inevitabilmente a disprezzare il mondo in quanto legato alla vita terrena; un’importante testimonianza di ciò ci è fornita dall’opera di Innocenzo III, il De contemptu mundi.

 

Mentre l’ideale dell’uomo medievale era il monaco, quindi uno stile di vita contemplativo, nel Rinascimento esso è un uomo che va oltre i vecchi orizzonti, vivendo attivamente: il banchiere, il mercante, il capitano di ventura, il navigatore…

 

L’esaltazione dell’uomo e dei valori terreni era stato un tema ampiamente trattato dai classici, e gli intellettuali del Rinascimento non poterono che ritrovare i loro ideali nelle opere antiche. Si diffuse così l’amore per i modelli greci e latini, che incentivò la loro riscoperta. L’approccio a queste opere fu innovativo, profondamente diverso da quello medievale. Nel Medioevo si riconosceva il valore dei classici, ma se ne dava una lettura allegorica, cristianizzata, che mirava a cogliere significati nascosti concordi con i dogmi cristiani, che avrebbero dovuto prefigurare e anticipare le verità del Cristianesimo; si ricordi ad esempio che Virgilio fu a lungo ritenuto annunciatore della venuta di Cristo, per il contenuto della IV Bucolica, che profetizzava la nascita di un puer che avrebbe portato una nuova età dell’oro. I classici erano sottoposti a una sorta di “censura” che doveva renderli compatibili con gli ideali cristiani, ed erano fortemente attualizzati.

 

Nel Rinascimento, più precisamente durante l’Umanesimo, invece, la lettura dei classici fu di tipo storico; gli umanisti cercarono di cogliere l’autentico significato di quelle opere, di recuperarle nella loro fisionomia autentica e originaria, collocandole nel contesto dell’epoca in cui erano state prodotte, vale a dire storicizzandole. Gli umanisti, chiamati così proprio perché definirono la letteratura classica “humanae litterae” in quanto, come scrisse Leonardo da Vinci, “formano l’uomo completo”, credevano nella superiorità degli antichi, e cercavano nelle loro opere verità insuperabili.

 

Si ebbe così un cambiamento quantitativo e qualitativo: quantitativo perché si diffuse una maggior conoscenza dei classici e della letteratura greca, grazie anche all’arrivo di dotti greci spinti in Italia dalla minaccia dei Turchi, che recavano con sé opere antiche, qualitativo perché si cercò di comprendere appieno l’autentico pensiero degli antichi. A questo proposito nacque una nuova disciplina, la filologia, la scienza della parola, che rappresentò un forte elemento di stacco con il passato medievale; grazie a essa, lo studioso Lorenzo Valla fu in grado di dimostrare la falsità della famosa “Donazione di Costantino”, sulla quale i papi avevano basato la loro aspirazione a estendere il loro dominio territoriale.

 

Un’altra importante novità del Rinascimento fu la laicizzazione della cultura: essa iniziò a essere considerata autonoma dalla Chiesa, e gli intellettuali rivendicarono il diritto alla libera ricerca. Nel Medioevo, la figura dell’intellettuale si identificava con quella del chierico, e non esisteva il concetto di originalità creativa. Il copista doveva riprendere gli insegnamenti del passato riproducendoli come erano stati tramandati, in quanto essi erano depositari dell’auctoritas, un’autorità della tradizione che non poteva essere messa in discussione. Si pensava che la verità fosse stata data una volta per tutte, e la conoscenza si identificava con l’accettazione di tale verità. Sulla base della Scolastica, si riteneva che la fede cristiana si basasse sui fondamenti della religione; la religione aveva un primato sulla cultura, e il sapere doveva essere sistemato in un ordine unitario che rispecchiasse quello del mondo, subordinato alla legge di Dio.

 

Nel Rinascimento si diffuse una nuova figura di intellettuale: il cortigiano, una figura laica, legata alla corte di un signore. Gli intellettuali potevano essere accolti a corte da un mecenate, un signore che si circondava di artisti che davano lustro allo Stato e li manteneva in cambio dei loro servigi. Tuttavia, la figura dell’intellettuale di corte presentava anche alcuni aspetti negativi: la corte era una “gabbia dorata”, l’intellettuale viveva immerso nel lusso, negli agi, ma non aveva la possibilità di partecipare attivamente alla vita politica ed era subordinato alla volontà del signore, condizionato da lui; chiuso in quel mondo abbagliante e raffinato, si disinteressava del mondo esterno, fino a diventare sprezzante e indifferente verso il popolo.

 

La diffusione della cultura nel Rinascimento si dovette anche e soprattutto all’invenzione della stampa a caratteri mobili a opera di Johann Gutenberg. I libri stampati erano meno costosi, più maneggevoli, facilmente reperibili, e questo all’apparenza consentì una maggior circolazione degli scritti e della cultura umanistica, anche se in realtà bisogna ricordare che la maggior parte della popolazione era analfabeta, quindi si venne a creare più che altro un aristocraticismo della cultura umanistica, dimostrato dal proliferare di accademie di letterati italiani, come l’Accademia aldina.

 

L’interesse rinascimentale per l’uomo e la natura fu alla base del progresso scientifico caratteristico di quel periodo. Anche la scienza infatti rivendicò l’autonomia dalla Chiesa; gli scienziati vollero condurre un’osservazione diretta della natura, mettendo in discussione l’autorità della tradizione che non si era mai osato mettere in dubbio nel Medioevo, cercando di riprodurre “artificialmente” la natura e misurare matematicamente ciò che si vede.

 

Galileo affermò l’autonomia della scienza, poiché essa ci dice “come vadia il cielo”, mentre la fede “come si vadia al cielo”, intendendo con ciò che la Bibbia non è un manuale scientifico, non deve essere presa alla lettera, né si deve cercare in essa la spiegazione scientifica dei fenomeni naturali; scienza e fede sono due ambiti separati, che rispondono a diversi interrogativi dell’uomo.

 

Il metodo dell’osservazione diretta dei fenomeni consentì di ampliare le conoscenze nel campo della biologia, della zoologia, della botanica, dell’anatomia, che fu basata sulla dissezione dei cadaveri. Importanti scienziati di quel periodo furono Andrea Vesalio e Leonardo da Vinci.

 

Nel Cinquecento si verificò una vera e propria rivoluzione nel campo dell’astronomia: Niccolò Copernico affermò che era la Terra a girare intorno al Sole, al contrario di quanto si era sempre creduto; questa affermazione ebbe importanti conseguenze anche sulla visione dell’uomo e quindi investì anche l’ambito teologico, morale e sociale. La rivoluzione scientifica, iniziata con l’ipotesi eliocentrista, proseguita con Brahe, Keplero, Galilei, finì 150 anni dopo, con Isaac Newton, che portò a compimento l’immagine meccanica dell’universo.

 

La Chiesa, sostenuta dai misoneisti, si oppose all’emancipazione della scienza e della cultura, e tentò di mantenere un controllo sulla diffusione del sapere; una delle vittime del dogmatismo fu Giordano Bruno, bruciato sul rogo con l’accusa di aver rivendicato l’autonomia culturale e di non aver ritrattato.

 

In questo clima di evoluzione del pensiero e di rivalutazione dell’uomo, si diffuse anche una nuova concezione realistica e laica della storia e della politica. Si iniziò a pensare che tutto ciò che accadeva dipendesse dai meriti o dai demeriti degli uomini e dalla sorte, e che la conoscenza e lo studio del passato dovessero offrire un insegnamento. Nel Medioevo, invece, la storia era concepita in senso provvidenzialistico: l’uomo era considerato un attore sulla scena della storia, tutto ciò che accadeva doveva dipendere da Dio, regista delle azioni umane.

 

Nel Rinascimento, con l’affermazione dello Stato moderno, tramontò anche l’ideale universalistico, mentre si diffuse una concezione amorale della politica, i cui principali teorizzatori furono Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini. Machiavelli affermò l’autonomia della politica e la necessità di desacralizzarla, sostenendo che essa è regolata da leggi specifiche, distinte da quelle morali o religiose; lo statista deve essere spregiudicato, usare al meglio le sue virtù e mirare all’ordine dello Stato.

 

La politica rinascimentale fu dominata anche dal contrasto fra utopisti, desiderosi, sulle orme di Thomas Moore, di un mondo più giusto, e realisti, convinti che la giustizia non si potrà mai realizzare: i primi accusavano i realisti di essere cinici conservatori, e di coprire la loro contrarietà alla giustizia con il pretesto che essa è difficile da realizzare, i realisti a loro volta accusavano gli utopisti di essere inconcludenti.

 

In ogni caso, nel Rinascimento ha preso avvio un processo di evoluzione culturale e sociale che ha scosso il mondo dal torpore del Medioevo, gli ha lentamente dato colore, ne ha scoperto pian piano i volti più nascosti, vincendo le barriere invisibili dell’ignoto, fendendo il confine tra dubbio e possibilità, dimostrando quanto l’uomo possa essere, grazie al suo intelletto, “faber fortunae suae”.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]