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N. 56 - Agosto 2012 (LXXXVII)

CULTURA NAPOLETANA
DALLA RESTAURAZIONE ALL’UNITà D’ITALIA

di Tommaso Venezia

 

Gli anni che vanno dal 1820 al 1860 segnarono profondamente la storia dell’Europa e dell’Italia. Le varie rivoluzioni che si susseguirono in Europa e in Italia produssero cambiamenti istituzionali.

 

Si passa da un regime feudale ad un sistema liberale democratico, in cui centro propulsore della politica era il popolo. Terminata la parentesi napoleonica con il congresso di Vienna (1814-15) in Europa i vecchi sovrani ritornarono sui loro troni.

 

A Napoli re Ferdinando IV di Borbone, pur mantenendo alcune riforme, ripropose il vecchio sistema feudale, puntando sulla centralità dello stato assoluto e riducendo il mondo culturale nelle mani di poche persone con obsoleti programmi, elaborati soprattutto dal mondo ecclesiastico.

 

Le riforme amministrative maturate nel periodo napoleonico da Giuseppe Bonaparte e da Gioacchino Murat permangono, ci fu tuttavia una rottura di equilibrio tra la monarchia e le classi colte. La rivoluzione francese fu il punto di svolta. Per questo tradimento di cui si rese responsabile la cultura napoletana, alla monarchia non restò che l’appoggio irriducibile e legittimismo del basso popolo. Il clero si presta quindi a mantenere fermo il sentimento religioso delle masse, ma anche a domesticare con una paziente opera educativa.

 

Dal 1821 l’istruzione ripiomba più che mai nelle mani del clero. Fu istituita una commissione di pubblica istruzione presieduta dal principe di Cardito. Tutte le scuole passano sotto il controllo di questa commissione, i programmi sono riformati su vecchi schemi che si rifanno alla filosofia conservatrice; ma fuori degli schemi istituzionali si muoveva un mondo nuovo nelle Università si sviluppano nuove discipline economiche e filosofiche.

 

Grazie alle lezioni di Antonio Genovesi, con la sua opera “Lezione di commercio” (1783) e alle opere di A. De Martis circolano le idee liberali del filosofo inglese J. Locke. A queste nuove idee filosofiche fu ridotto il loro raggio di autonomia, considerate discipline della vita pratica, che consideravano “l’uomo come soggetto agente, l’uomo figura nella società da centro d’impostazione di doveri, non da soggetti di diritti. Agli inizi degli anni venti dell’ottocento si sviluppa a Napoli il “coscienzalismo” per merito di Pasquale Galuppi, l’unica personalità filosofica operante liberamente a Napoli.

 

Il punto di Partenza della filosofia è la psicologia. Con il “coscienzalismo” la cultura napoletana recupera in parte il terreno perso nel confronto con il pensiero europeo post-restaurazione e tiene il passo con il processo di rinnovamento della filosofia francese. Nel 1830 la cultura napoletana riacquista la vivacità perduta fu un punto di svolta per lei. Novità si vide anche nelle attività didattiche nei programmi, sia delle scuole pubbliche sia private e l’aggiornamento didattico di G.M. Mazzetti, di fatto abolì l’attività didattica del vecchio mondo ecclesiastico. Con l’inizio del 1830 si pone anche la fine del “coscienzalismo” soppiantato dalla filosofia liberale. Il “coscienzalismo” fu un compromesso con le classi di potere borboniche e gli intellettuali napoletani guardarono oltre al “coscienzalismo”, puntarono lo sguardo verso la filosofia liberale.

 

Nel periodo che va dal 1830 al 1848 a Napoli ci fu lo sviluppo dello studio di molte scienze fino ad allora quasi sconosciute a molti, come l’economia, la filosofia dei liberali inglesi e tedeschi, i concetti nuovi del sistema industriale agricolo.

 

Si sviluppò la teoria economica liberale di Adam Smith grazie ai testi di Jean Baptiste Say e Pellegrino Rossi. La lotta della nuova borghesia intellettuale contro la vecchia struttura e gli antichi ordinamenti dello stato prende forma nell’eclettismo, che va oltre il coscienzalismo galluppiano.

 

Si passa “dall’osservazione psicologica a quell’indagine storica che vuole raccontare, scegliere dalla storia dei vari sistemi filosofici gli elementi di verità che si trovano in ciascuno di noi”. Dal 1830 ci fu un rilancio dello storicismo vichiano, tornò in auge la teoria dell’evolversi della storia “La scienza Nuova“ di Giambattista Vico. Accanto alle teorie vichiane si sviluppa anche la filosofia di autorevoli filosofi stranieri, tra questi Kant ed Heghel. Ottavio Colecchi espone a Napoli il pensiero del filosofo Kant.

 

“La coscienza, come atto d’analisi dell’intelletto“, fu per molti studiosi napoletani espressioni di grande interesse e studio, ma già scoperta grazie all’eclettismo napoletano. Oltre alle teorie di Kant si svilupparono anche le dottrine filosofiche di Heghel.

 

L’heghelismo a Napoli trovò numerosi seguaci, come Stanislao Gatti, Stefano Cusani, Giambattisto Aiello, i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa e lo stesso Ottavio Colecchi, che dallo studio di Kant passa a quello di Heghel.

 

Le lezioni di Bertrando Spaventa su Heghel, erano un superamento del pensiero più diffuso a Napoli e nel meridione, ossia il “giobertismo”. Spaventa respingeva la contorta pretesa di un astratto primato italico ed accoglieva la giusta esigenza nazionale.

 

L’heghelismo punta a traiettorie inverse su schemi classici, “risalire dai lati verso il centro da discipline subalterne della scienza verso la scienza vera. Ciò spiega l’accento sull’estetica e sulla filosofia della storia, discipline che prima del 1848 mostrano a Napoli uno straordinario risveglio.

 

Non è un caso che qui nel pieno dei moti del 1848, compare un opera di Heghel : “La filosofia del diritto “ in cui il filosofo tedesco svolge il principio della libertà nella sua determinazione etica e pratica, in primo luogo nel concetto di stato.

 

Offrendo ai napoletani le ragioni e le speranze del risorgimento, i moti del 1848 trovarono l’heghelismo italiano nel suo apogeo, fenomeni come l’improvviso risveglio economico di Napoli, la lotta condotta dagli economisti in favore dell’industrializzazione del regno e dell’ammodernamento dei suoi istituti e lo sviluppo culturale influenzarono l’heghelismo a Napoli.

 

Con l’avvento della filosofia di Heghel in Italia e soprattutto nell’Italia meridionale, nasce subito il problema dell’applicazione e conoscenza della filosofia liberale nella società reale a causa dell’arretratezza economica, sociale e culturale non paragonabile alla Germania in cui visse Heghel.

 

I problemi per la diffusione delle teorie di Heghel erano due tipi oggettivi, perché a Napoli vigeva una politica di sorveglianza poliziesca, con controlli, denunce e proibizione e un'altra soggettiva, perché pochi conoscevano la lingua tedesca. Tutto ciò fa si che le teorie hegeliane si diffondano poco.

 

Lo stesso succede con le teorie classiche ed economiche, che si diffondano non grazie direttamente alle opere egli autori classici, come Adam Smith e David Riccardo ma attraverso Jean Baptiste Say e Pellegrino Rossi.

 

Dopo la parentesi degli anni Trenta, agli inizi degli anni Quaranta si abbatte sulla cultura un’ondata di repressione da parte della monarchia borbonica.

 

Personaggi come Stanislao Gatti, Giambattista Aiello e Ottavio Colecchi furono presi personalmente di mira e ci fu una persecuzione verso gli autori liberali.

 

A Napoli nell’imminenza del 1848 l’atmosfera intorno al mondo della cultura torna ad essere quella cupa e d’oppressione degli anni peggiori della restaurazione. Quelli che acquistano sempre più influenza dopo 1840,nell’ambito dell’istruzione e della cultura sono i professori gesuiti.

 

I più indicativi sono i padri Matteo Liberatore e Gaetano Sanseverino. Il mondo ecclesiastico napoletano si batterà duramente contro le nuove filosofie e contro il liberalismo economico e il razionalismo.

 

Il tessuto ideologico fragile della filosofia liberale a Napoli sarà fortemente frenato dall’impetuoso affermarsi della forza conservatrice. In questo periodo si sviluppò il pensiero “neoguelfo” di Vincenzo Gioberti, sempre su posizione critica verso il panteismo della filosofia tedesca. Il neoguelfismo trovò importanti membri della società culturale come, Carlo Troya, Luigi Dragonetti e Antonio Mirabelli.

 

Prima del 1848 si realizza l’incontro di tutti i gruppi culturali che avevano in comune il neoguelfismo e la realizzazione concreta della libertà, della borghesia contro il regime autoritario borbonico e con la complicità nel mondo ecclesiastico. Il pensiero neoguelfo si basa sul riconoscimento dell’autorità e vede una coesistenza tra sovrano e sudditi un rapporto di dipendenza che porta i sudditi a dipendere dal sovrano.

 

Nella sua opera maggiore “Il Primato”(1843),Vincenzo Gioberti sostiene un Programma di federazione di stati sotto la presidenza del pontefice, egli preconizza una monarchia cristiana che assegna al principe il compito di provvedere al bene dei sudditi e al pontefice il compito di arbitrato internazionale, secondo la visione del papato medievale e un unione federativa.

 

In ultimo per quanto concerne i rapporti tra stato e chiesa, V. Gioberti vuole una coesistenza tra l’autorità temporale e quella spirituale. Con gli avvenimenti del 1848, a Napoli termina l’influenza del riformismo borghese e contemporaneamente finisce la genesi del pensiero hegeliano. Mentre nel Regno imperversa l’oscurantismo reazionario, i maggiori rappresentanti dell’heghelismo napoletano vanno in esilio. Vige l’autarchia sia nel campo economico sia in quello culturale, perché la pubblicazione di opere straniere soprattutto quelle inglesi, fu vietata.

 

Prima del 1848 uscivano testi di religiosi, di apologetica e dogmatica, manuali del più pieno conformismo ecclesiastico. Il loro oscurantismo suscitava sdegno anche all’estero. Importante fu lo sconcerto del filosofo e diplomatico inglese William Ewart Gladstone, che in visita a Napoli, trovò per la città testi, stampati dalla Tipografia Reale.

 

Il tradizionalismo cattolico trovò lo sviluppo dopo 1848 con la “Civiltà Cattolica” dei gesuiti, che assunsero enorme potere a Napoli. Con il tradizionalismo e con autori come Gaetano Sanseverino, Matteo Liberatore, si sviluppò la lettura di San Tommaso e della metafisica cristiana, di conseguenza il neotomismo.

 

Viene rivalutata anche la figura di Giambattista Vico con la scienza teologica, il quale è ricondotta alla filosofia scolastica. Con il tradizionalismo Vico ha in comune almeno il dogma “dell’assoluta soggezione dell’uomo di fronte all’ordine naturale“.

 

I rappresentanti della filosofia hegeliana a Napoli esulano tutti dal regno delle Due Sicilie e si ritrovarono quasi tutti in Piemonte, in Inghilterra o nell’isola di Malta. Francesco De Sanctis fuggì a Torino e si inserisce molto bene nel mondo accademico torinese. Proprio a Torino, grazie agli intellettuali napoletani, ci fu la base della preparazione culturale per l’unità d’Italia.

 

Importante fu l’attvità di F. De Sanctis dei fratelli Spaventa e di Luigi Settembrini, che più di tutti spinge i piemontesi a lavorare istituzionalmente e politicamente per l’Unità d’Italia.

 

Questa ricostruzione degli avvenimenti culturali e politici che vanno dalla restaurazione all’unità d’Italia costituisce la società culturale napoletana fino all’unita d’Italia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Sarubbi, Manuale di storia delle dottrine politiche, ed G.Giappichelli, Torino 1991.

R. Palmarocchi, L’Italia meridionale dalla rivoluzione alla restaurazione, Archivio storico Italiano.

G. Oldrini, La filosofia napoletano dell’ottocento, Laterza, Bari 1973.

Raffaele Franchini, Croce interprete di Heghel e altri saggi filosofici, Giannini, Napoli 1964.



 

 

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