CULTURA MATERIALE E COLLEZIONISMO
INDIRIZZI DI RICERCA
di Michela Corvino
Lo studio della cultura materiale è
un tema relativamente recente fra
gli storici, infatti a lungo la
storiografia è rimasta scettica
circa la questione della materialità
e del suo potere conoscitivo. Il
motivo è da rintracciare sia nei
problemi di definizione sia
nell’apparente inconsistenza e
banalità della vita quotidiana. La
cultura materiale può essere
definita quindi come lo studio di
tutti gli aspetti visibili e
tangibili che una società ha
prodotto in un determinato periodo
storico: manufatti, utensili e
stoffe.
È importante non trascurare il
rapporto che lega l’uomo non tanto
agli oggetti quanto ai significati
che essi veicolano. Dunque,
attraverso le ‘cose’ prodotte da una
comunità in un certo contesto è
possibile avere un quadro più ampio
circa il suo modo di pensare,
abitare, costruire spazi privati e
relazioni.
All’origine dell’interesse per gli
oggetti c’è una rivalutazione dei
sistemi simbolici di cui gli oggetti
sono portatori, la quale è emersa
durante gli anni Settanta e Ottanta
del Novecento. L’approccio
storiografico alla cultura materiale
ha riguardato inizialmente l’ambito
della storia moderna, la quale ne ha
colto l’importanza per un’analisi
più approfondita del periodo che va
dal XVI al XVIII secolo, quando una
serie di cambiamenti riguardanti «le
tendenze secolari dei […] salari che
accompagnano e giustificano
l’aumento dei consumi di lusso»
hanno preso inevitabilmente il
sopravvento, tale fenomeno è
comunemente noto come ‘rivoluzione
dei prezzi’.
In origine questo mutamento è stato
interpretato in senso negativo,
ovverosia come un processo
attraverso il quale la ricchezza è
diventata immobile e la si è
sottratta al suo uso produttivo, per
cui esso è stato considerato tra le
cause della debolezza economica
dell’Italia sul lungo tempo. Queste
idee sono state superate poiché il
consumo non è da considerare a sé
stante dal momento che:
«Nell’economia di Ancien règime, in
cui il mercato non ha una dimensione
totalizzante, e il consumo dei beni
primari rimane in buona parte al di
fuori della circolazione mercantile,
il consumo di lusso assume un ruolo
dinamizzante. Ѐ nella creazione del
superfluo che si estrinseca, nel
tempo, l’espansione dell’economia
mercantile, la nascita di una
“cultura del mercato”, il prevalere
di un valore di scambio che si
emancipa dal valore d’uso fino a
sovrastarlo, sopraffarlo, vincere il
primato nella logica consumistica
del moderno capitalismo».
Si può, dunque, sostenere che il
consumo di manufatti nell’età
moderna fornisce una domanda
indispensabile per le manifatture
urbane o le prime industrie a
domicilio, conducendo alla creazione
di una rete di scambio economico
internazionale. L’acquisto di
oggetti o costruzioni edili onerose,
intese banalmente come una modalità
attraverso cui ostentare ricchezza,
al contrario, può essere letto come
un investimento o riutilizzo attivo
di capitali in eccesso.
La storiografia moderna, in
particolare per il XVIII secolo, ha
costatato che consultare le doti
matrimoniali o gli inventari delle
dimore, redatti dopo la morte
dell’interessato, il cui compito è
quello di elencare in dettaglio gli
averi di una persona, consentono di
avere una conoscenza più ampia della
mentalità dell’epoca, poiché essi
sono da considerare ponti di
collegamento tra storie individuali
ed eventi collettivi. Allo stesso
tempo l’uso degli inventari non può
fornire nessuna informazione di
supporto per ricostruire dinamiche
riguardanti l’acquisto degli oggetti
e quali trasformazioni essi hanno
subito nel corso del tempo. Ѐ
possibile, dunque, provare a mettere
in relazione la diffusione di nuove
tipologie di mobilio, di indumenti
per la persona, di biancheria per la
casa e di suppellettili, con la
nascita non solo di una nuova
coscienza sociale ma anche di
un’eventuale separazione tra sfera
domestica e pubblica.
Lo studio delle abitazioni conferma
l’alto valore rappresentativo
attribuito alla dimora di famiglia e
svela aspetti sia pubblici sia
privati della vita quotidiana dei
suoi abitanti. Questi ultimi non
arricchiscono solo le facciate degli
edifici e riempiono i loro saloni
con arredi preziosi, ma anche
ambienti in cui è possibile godere
una più serena intimità, sono questi
ultimi spazi, soprattutto, a
rivelare dettagli sul loro stile di
vita. Una collezione di oggetti
preziosi, per materiale o
invenzione, serve a costruire
un’immagine raffinata, colta o
soltanto ricca del suo proprietario.
I manufatti collezionabili sono
molti, di varie tipologie e di
differente valore, che sia esso
economico, affettivo e devozionale.
Per quanto riguarda le collezioni, a
un livello sicuramente più alto, si
trovano medaglie, dipinti, carte
geografiche, sculture e fossili.
Questi oggetti, spesso molto
onerosi, quindi accessibili a pochi,
vengono acquistati al solo scopo di
essere guardati, e nonostante siano
collocati in spazi privati sembra
sia necessaria la presenza di un
pubblico, come una piccola cerchia
di ospiti o amici. Il fine di questi
oggetti è di accrescere il prestigio
sociale di chi li possiede, infatti
l’acquisto di monete o marmi antichi
rimanda, in una certa misura,
all’idea stessa di possedere una
parte di classicità, come i quadri
di soggetto religioso mettono in
comunicazione con il divino.
Per ciò che concerne l’aspetto sacro
è doveroso fare una precisazione. La
vita devozionale in casa è espressa
attraverso vari oggetti sacri, che
possono essere crocifissi,
reliquiari e presepi. Se da un lato
in questi averi è possibile leggere
effettivamente una spiritualità
interiore e quasi soggettiva,
d’altro canto non può esserci una
religiosità domestica completamente
separata dalla sfera pubblica.
L’ambito sacro è uno delle poche
categorie in cui risulta quasi
impossibile discernere ciò che è
pubblico da ciò che è privato,
questa è proprio una delle più
importanti caratteristiche
tridentine, ovverosia il controllo
dei comportamenti e delle devozioni
negli spazi sacri e profani,
mediante il lavoro svolto dal clero.
Nelle collezioni, in posizione
intermedia, rientrano una serie di
artefatti che sono da considerare
non solo nella misura in cui possono
essere, più o meno, accessibili, ma
anche dal fatto che possono
prevedere o meno l’uso. Tali
oggetti, come tabacchiere, strumenti
musicali e scientifici, possono
coinvolgere un numero più ampio di
acquirenti. Inoltre tra questa
tipologia di artefatti rientrano, in
particolare tra i nobili, quelli
relativi allo svago personale.
Quando i signori sono liberi dai
loro obblighi di corte si concedono
cure personali e svaghi nelle
proprie residenze. Nelle stanze
private dell’appartamento nobiliare,
ad esempio nei camerini, spesso si
riscontra la presenza di raffinate
scacchiere. Ci si è chiesto il
motivo per il quale gli scacchi
siano un gioco molto in voga presso
i nobili, una spiegazione plausibile
sarebbe quella di considerarli non
soltanto come un semplice torneo da
tavola, ma come riproduzione di uno
schema bellico che termina con la
sconfitta del re avversario. Quindi
la scacchiera potrebbe rievocare in
qualche modo le origini guerriere
dell’aristocrazia, così come le
ricche collezioni di armi, in
particolare, tra queste ultime la
spada risulta essere il simbolo per
eccellenza della nobiltà.
Un ulteriore svago per i nobili è
rappresentato dalla lettura nel
proprio studio, negli inventari però
non sempre è possibile trovare
descrizioni di piccole biblioteche
private, a volte vi si riscontra
un’incomprensibile assenza di libri.
La spiegazione su questo silenzio
possono essere varie, spesso oggetti
di uso quotidiano non vengono
registrati perché possono sembrare
un’ovvietà o di scarso valore.
Sebbene gli studi sulla pratica
della lettura abbiano evidenziato un
basso tasso di alfabetizzazione sia
maschile sia femminile in Italia, in
realtà non possedere libri non
significa necessariamente che non si
ha modo di leggere. Infatti è
possibile essere lettore senza avere
una biblioteca, al contrario colui
che la possiede può collezionare
testi senza la necessità di
leggerli.
La penuria di biblioteche private,
dunque, non certifica un
arretramento culturale, come a lungo
è stato ipotizzato. Altri studiosi
hanno osservato che i libri a volte
non rientrano tra i beni personali,
al contrario essi compaiono in
documenti che elencano le proprietà
del casato e della famiglia, di
conseguenza, il problema sarebbe da
collegare alle fonti che vengono
usate per la ricerca.
Se paragonato alle grandi
collezioni, negli inventari figurano
oggetti come gioielli, biancheria,
abiti e porcellane, i quali
potrebbero sembrare di ‘minore’
importanza. Questi beni
economicamente possono differire
molto tra loro, poiché è da
considerare la qualità e il
materiale, ma si presuppone che
siano usati nella vita quotidiana.
Peraltro, fin dai primi studi
storiografici sulla cultura
materiale, gli studiosi hanno notato
la maggiore propensione all’accumulo
di tali suppellettili da parte delle
donne. Ciò si spiega alla luce della
loro inferiore possibilità di
possedere proprietà immobiliari, di
conseguenza, la ricchezza femminile
è soprattutto costituita da questa
tipologia di beni mobili, come
emerge dalle enumeratio bonorum
presenti con alta frequenza nelle
doti nuziali.
Un altro elemento da non trascurare
è che possedere questi artefatti per
una donna non costituisce soltanto
il suo futuro e della sua casa ma
sono anche allo stesso tempo un modo
per costruire la sua identità,
lasciare memoria di sé e occasioni
di socializzazione, dal momento che
essi diventano oggetto di sfoggio,
ad esempio, essi vengono mostrati a
una cerchia di amiche, quindi è
determinante la presenza di un
pubblico.
Grande spazio negli inventari è
riservato all’abbigliamento, cucito
sia con le più raffinate stoffe e
intarsiato con metalli preziosi sia
con i materiali più umili, esso
presenta una duplice funzione, non è
solo sinonimo di rappresentanza ma è
anche una questione che coinvolge
l’idea stessa di proprietà nella
società di Ancien Régime. È evidente
che gli abiti siano una componente
fondamentale dei patrimoni
femminili, fatto ampiamente
riscontrabile negli inventari
dotali, allo stesso tempo, si può
notare la presenza di abbigliamento
da donna negli inventari maschili.
Questa situazione potrebbe apparire
insolita, ma ciò accade per una
distinzione che vi è tra possesso
maschile e uso femminile dei beni,
infatti, gli uomini, acquistando il
vestiario per le loro mogli, ne sono
di fatto i legittimi proprietari,
dal momento che vi è una sorta di
«regime di separazione dei beni che
vige all’interno delle coppie
sposate, per cui ciò che è stato
comprato con il denaro di uno dei
coniugi resta di sua proprietà».
Infine, tra gli approcci più recenti
della storiografia ce n’è uno che
sembra vedere una connessione tra
identità di genere, consumo e
cultura materiale. Per tale scopo un
esempio potrebbe essere l’uso di
essenze e cosmesi, sia le dame sia i
signori investono somme sempre più
elevate in creme, profumi e pettini
nel XVIII secolo, tra l’altro, ciò
conduce alla diffusione di nuovi
suppellettili, come i tavolini da
toilette. Per tali prodotti sembra,
almeno inizialmente, che non vi sia
una distinzione di genere, è la
stessa galanteria a imporre ai
gentiluomini di profumarsi e fare
uso di ciprie, fatto che sarà deriso
come segno di effeminatezza nel
secolo successivo, quando si imporrà
uno stile di vita più sobrio in
opposizione a quello della vanitosa
aristocrazia.
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