[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

190 / OTTOBRE 2023 (CCXXI)


moderna

CULTURA MATERIALE E COLLEZIONISMO
INDIRIZZI DI RICERCA
di Michela Corvino

 

Lo studio della cultura materiale è un tema relativamente recente fra gli storici, infatti a lungo la storiografia è rimasta scettica circa la questione della materialità e del suo potere conoscitivo. Il motivo è da rintracciare sia nei problemi di definizione sia nell’apparente inconsistenza e banalità della vita quotidiana. La cultura materiale può essere definita quindi come lo studio di tutti gli aspetti visibili e tangibili che una società ha prodotto in un determinato periodo storico: manufatti, utensili e stoffe.

È importante non trascurare il rapporto che lega l’uomo non tanto agli oggetti quanto ai significati che essi veicolano. Dunque, attraverso le ‘cose’ prodotte da una comunità in un certo contesto è possibile avere un quadro più ampio circa il suo modo di pensare, abitare, costruire spazi privati e relazioni.

All’origine dell’interesse per gli oggetti c’è una rivalutazione dei sistemi simbolici di cui gli oggetti sono portatori, la quale è emersa durante gli anni Settanta e Ottanta del Novecento. L’approccio storiografico alla cultura materiale ha riguardato inizialmente l’ambito della storia moderna, la quale ne ha colto l’importanza per un’analisi più approfondita del periodo che va dal XVI al XVIII secolo, quando una serie di cambiamenti riguardanti «le tendenze secolari dei […] salari che accompagnano e giustificano l’aumento dei consumi di lusso» hanno preso inevitabilmente il sopravvento, tale fenomeno è comunemente noto come ‘rivoluzione dei prezzi’.

In origine questo mutamento è stato interpretato in senso negativo, ovverosia come un processo attraverso il quale la ricchezza è diventata immobile e la si è sottratta al suo uso produttivo, per cui esso è stato considerato tra le cause della debolezza economica dell’Italia sul lungo tempo. Queste idee sono state superate poiché il consumo non è da considerare a sé stante dal momento che: «Nell’economia di Ancien règime, in cui il mercato non ha una dimensione totalizzante, e il consumo dei beni primari rimane in buona parte al di fuori della circolazione mercantile, il consumo di lusso assume un ruolo dinamizzante. Ѐ nella creazione del superfluo che si estrinseca, nel tempo, l’espansione dell’economia mercantile, la nascita di una “cultura del mercato”, il prevalere di un valore di scambio che si emancipa dal valore d’uso fino a sovrastarlo, sopraffarlo, vincere il primato nella logica consumistica del moderno capitalismo».

Si può, dunque, sostenere che il consumo di manufatti nell’età moderna fornisce una domanda indispensabile per le manifatture urbane o le prime industrie a domicilio, conducendo alla creazione di una rete di scambio economico internazionale. L’acquisto di oggetti o costruzioni edili onerose, intese banalmente come una modalità attraverso cui ostentare ricchezza, al contrario, può essere letto come un investimento o riutilizzo attivo di capitali in eccesso.

La storiografia moderna, in particolare per il XVIII secolo, ha costatato che consultare le doti matrimoniali o gli inventari delle dimore, redatti dopo la morte dell’interessato, il cui compito è quello di elencare in dettaglio gli averi di una persona, consentono di avere una conoscenza più ampia della mentalità dell’epoca, poiché essi sono da considerare ponti di collegamento tra storie individuali ed eventi collettivi. Allo stesso tempo l’uso degli inventari non può fornire nessuna informazione di supporto per ricostruire dinamiche riguardanti l’acquisto degli oggetti e quali trasformazioni essi hanno subito nel corso del tempo. Ѐ possibile, dunque, provare a mettere in relazione la diffusione di nuove tipologie di mobilio, di indumenti per la persona, di biancheria per la casa e di suppellettili, con la nascita non solo di una nuova coscienza sociale ma anche di un’eventuale separazione tra sfera domestica e pubblica.

Lo studio delle abitazioni conferma l’alto valore rappresentativo attribuito alla dimora di famiglia e svela aspetti sia pubblici sia privati della vita quotidiana dei suoi abitanti. Questi ultimi non arricchiscono solo le facciate degli edifici e riempiono i loro saloni con arredi preziosi, ma anche ambienti in cui è possibile godere una più serena intimità, sono questi ultimi spazi, soprattutto, a rivelare dettagli sul loro stile di vita. Una collezione di oggetti preziosi, per materiale o invenzione, serve a costruire un’immagine raffinata, colta o soltanto ricca del suo proprietario. I manufatti collezionabili sono molti, di varie tipologie e di differente valore, che sia esso economico, affettivo e devozionale.

Per quanto riguarda le collezioni, a un livello sicuramente più alto, si trovano medaglie, dipinti, carte geografiche, sculture e fossili. Questi oggetti, spesso molto onerosi, quindi accessibili a pochi, vengono acquistati al solo scopo di essere guardati, e nonostante siano collocati in spazi privati sembra sia necessaria la presenza di un pubblico, come una piccola cerchia di ospiti o amici. Il fine di questi oggetti è di accrescere il prestigio sociale di chi li possiede, infatti l’acquisto di monete o marmi antichi rimanda, in una certa misura, all’idea stessa di possedere una parte di classicità, come i quadri di soggetto religioso mettono in comunicazione con il divino.

Per ciò che concerne l’aspetto sacro è doveroso fare una precisazione. La vita devozionale in casa è espressa attraverso vari oggetti sacri, che possono essere crocifissi, reliquiari e presepi. Se da un lato in questi averi è possibile leggere effettivamente una spiritualità interiore e quasi soggettiva, d’altro canto non può esserci una religiosità domestica completamente separata dalla sfera pubblica. L’ambito sacro è uno delle poche categorie in cui risulta quasi impossibile discernere ciò che è pubblico da ciò che è privato, questa è proprio una delle più importanti caratteristiche tridentine, ovverosia il controllo dei comportamenti e delle devozioni negli spazi sacri e profani, mediante il lavoro svolto dal clero.

Nelle collezioni, in posizione intermedia, rientrano una serie di artefatti che sono da considerare non solo nella misura in cui possono essere, più o meno, accessibili, ma anche dal fatto che possono prevedere o meno l’uso. Tali oggetti, come tabacchiere, strumenti musicali e scientifici, possono coinvolgere un numero più ampio di acquirenti. Inoltre tra questa tipologia di artefatti rientrano, in particolare tra i nobili, quelli relativi allo svago personale.

Quando i signori sono liberi dai loro obblighi di corte si concedono cure personali e svaghi nelle proprie residenze. Nelle stanze private dell’appartamento nobiliare, ad esempio nei camerini, spesso si riscontra la presenza di raffinate scacchiere. Ci si è chiesto il motivo per il quale gli scacchi siano un gioco molto in voga presso i nobili, una spiegazione plausibile sarebbe quella di considerarli non soltanto come un semplice torneo da tavola, ma come riproduzione di uno schema bellico che termina con la sconfitta del re avversario. Quindi la scacchiera potrebbe rievocare in qualche modo le origini guerriere dell’aristocrazia, così come le ricche collezioni di armi, in particolare, tra queste ultime la spada risulta essere il simbolo per eccellenza della nobiltà.

Un ulteriore svago per i nobili è rappresentato dalla lettura nel proprio studio, negli inventari però non sempre è possibile trovare descrizioni di piccole biblioteche private, a volte vi si riscontra un’incomprensibile assenza di libri. La spiegazione su questo silenzio possono essere varie, spesso oggetti di uso quotidiano non vengono registrati perché possono sembrare un’ovvietà o di scarso valore. Sebbene gli studi sulla pratica della lettura abbiano evidenziato un basso tasso di alfabetizzazione sia maschile sia femminile in Italia, in realtà non possedere libri non significa necessariamente che non si ha modo di leggere. Infatti è possibile essere lettore senza avere una biblioteca, al contrario colui che la possiede può collezionare testi senza la necessità di leggerli.

La penuria di biblioteche private, dunque, non certifica un arretramento culturale, come a lungo è stato ipotizzato. Altri studiosi hanno osservato che i libri a volte non rientrano tra i beni personali, al contrario essi compaiono in documenti che elencano le proprietà del casato e della famiglia, di conseguenza, il problema sarebbe da collegare alle fonti che vengono usate per la ricerca.

Se paragonato alle grandi collezioni, negli inventari figurano oggetti come gioielli, biancheria, abiti e porcellane, i quali potrebbero sembrare di ‘minore’ importanza. Questi beni economicamente possono differire molto tra loro, poiché è da considerare la qualità e il materiale, ma si presuppone che siano usati nella vita quotidiana. Peraltro, fin dai primi studi storiografici sulla cultura materiale, gli studiosi hanno notato la maggiore propensione all’accumulo di tali suppellettili da parte delle donne. Ciò si spiega alla luce della loro inferiore possibilità di possedere proprietà immobiliari, di conseguenza, la ricchezza femminile è soprattutto costituita da questa tipologia di beni mobili, come emerge dalle enumeratio bonorum presenti con alta frequenza nelle doti nuziali.

Un altro elemento da non trascurare è che possedere questi artefatti per una donna non costituisce soltanto il suo futuro e della sua casa ma sono anche allo stesso tempo un modo per costruire la sua identità, lasciare memoria di sé e occasioni di socializzazione, dal momento che essi diventano oggetto di sfoggio, ad esempio, essi vengono mostrati a una cerchia di amiche, quindi è determinante la presenza di un pubblico.

Grande spazio negli inventari è riservato all’abbigliamento, cucito sia con le più raffinate stoffe e intarsiato con metalli preziosi sia con i materiali più umili, esso presenta una duplice funzione, non è solo sinonimo di rappresentanza ma è anche una questione che coinvolge l’idea stessa di proprietà nella società di Ancien Régime. È evidente che gli abiti siano una componente fondamentale dei patrimoni femminili, fatto ampiamente riscontrabile negli inventari dotali, allo stesso tempo, si può notare la presenza di abbigliamento da donna negli inventari maschili.

Questa situazione potrebbe apparire insolita, ma ciò accade per una distinzione che vi è tra possesso maschile e uso femminile dei beni, infatti, gli uomini, acquistando il vestiario per le loro mogli, ne sono di fatto i legittimi proprietari, dal momento che vi è una sorta di «regime di separazione dei beni che vige all’interno delle coppie sposate, per cui ciò che è stato comprato con il denaro di uno dei coniugi resta di sua proprietà».

Infine, tra gli approcci più recenti della storiografia ce n’è uno che sembra vedere una connessione tra identità di genere, consumo e cultura materiale. Per tale scopo un esempio potrebbe essere l’uso di essenze e cosmesi, sia le dame sia i signori investono somme sempre più elevate in creme, profumi e pettini nel XVIII secolo, tra l’altro, ciò conduce alla diffusione di nuovi suppellettili, come i tavolini da toilette. Per tali prodotti sembra, almeno inizialmente, che non vi sia una distinzione di genere, è la stessa galanteria a imporre ai gentiluomini di profumarsi e fare uso di ciprie, fatto che sarà deriso come segno di effeminatezza nel secolo successivo, quando si imporrà uno stile di vita più sobrio in opposizione a quello della vanitosa aristocrazia.
 
 
Riferimenti bibliografici:
 

A. Petrizzo, Nuovi sguardi sugli oggetti, in Storia e cultura materiale: recenti traiettorie di ricerca, a cura di A. Petrizzo e C. Saba, Il Mulino, Bologna 2016.

A. Clemente, Consumi di lusso ed economia mondo. Il Regno di Napoli nel XVIII secolo, in Luxes et internationalisation (XVI-XIXe siècles), a cura di N. Sougy, Alphil-Presses Universitaires, 2013.

G. Bruno, Le ricchezze degli avi. Cultura materiale della società napoletana nel Settecento, Federico II University Press, Napoli 2022.  

F. Luise, Gli spazi delle residenze aristocratiche tra intimità e esigenze rappresentative, in Dimore signorili a Napoli: Palazzo Zevallos Stigliano e il mecenatismo aristocratico dal XVI al XX secolo, a cura di Birra e Denunzio, Arte’m, Napoli 2013.              

G. Sodano, Miracoli e devozioni nel Mezzogiorno moderno. Tra tradizione e innovazione storiografica, in Mezzogiorno prodigioso. Ricerche sul miracolo nel Meridione d’Italia dell’età moderna, Mediterranea, Palermo 2023.

A. Clemente, Il lusso “cattivo.” Dinamiche del consumo nella Napoli del Settecento, Carrocci, Roma 2011.

G. Bruno, Definire l’identità: oggetti e consumi nel XVIII secolo napoletano, in Femminile e maschile nel Settecento, a cura di C. Passetti e L. Tufano, Firenze University Press, Firenze 2018.

R. Ago, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Donzelli Editore, Roma 2006.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]