N. 12 - Dicembre 2008
(XLIII)
Il culto di
Santiago
tra devozione e
politica
di
Ilaria Sabbatini
Quando Dante scriveva la
Vita nova, ormai il cammino di Compostela era
divenuto il pellegrinaggio per antonomasia che
raccoglieva la quintessenza del viaggio devozionale in
Occidente. Rispondendo alla necessità di sviluppare il
significato del termine l’Alighieri glossava:
"Peregrini si possono intendere in due modi, in uno
largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino
chiunque è fuori de la sua patria, in modo stretto non
s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’
Iacopo o riede. E però è da sapere che in tre modi si
chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de
l’Altissimo: chiamansi palmieri in quanto vanno
oltremare, là onde molte volte recano la palma,
chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di
Galizia, però che la sepultura di sa’ Iacopo fue più
lontana de la sua patria ched’alcuno altro apostolo,
chiamansi romei in quanto vanno a Roma".
Le peregrinationes maiores, Gerusalemme, Santiago
e Roma, costituivano i cardini di un sistema cultuale
incentrato sulla concretezza delle reliquie e dei luoghi
santificati dalla presenza divina. Ma nel momento in cui
Dante scriveva il pellegrinaggio alle tombe degli
apostoli non si era ancora definitivamente imposto
grazie alla spinta del grande Giubileo del 1300, mentre
la ridefinizione dell’ideale di crociata stava agendo
come principale causa della flessione del passaggio in
Terrasanta, con conseguente trasferimento in Occidente
di una parte della sacralità gerosolimitana.
Ciò detto, la complessità
degli sviluppi della devozione cristiana nella fase
tardomedievale non concede spazio a semplificazioni di
sorta, tant’è che la ridotta accessibilità della
Terrasanta di fronte al pericolo turco-ottomano non è
più ritenuta dagli storici una causa sufficiente a
spiegare da sola l’evoluzione del fenomeno del
pellegrinaggio.
Entrano in gioco numerosi
ordini di fattori che possono essere riassunti – in via
esplicativa – nell’avvento di un nuovo tipo di
devozione, tutta tesa all’interiorizzazione
dell’esperienza religiosa, e nel mutamento degli
equilibri politici del mediterraneo orientale,
circostanza che rendeva più difficoltoso il
raggiungimento delle mete d’oltremare.
Malgrado ciò, fin dal
primo Trecento, i buoni rapporti tra il regno angioino
di Napoli e l’Egitto mamelucco ponevano le basi per il
radicamento dei francescani in Terrasanta, condizione
che – associata ad un più o meno regolare servizio di
collegamento garantito dalla flotta navale veneziana –
favorì la ripresa dei passaggi oltremare. I
pellegrinaggi gerosolimitani non conobbero mai un vero e
proprio arresto, segno che le trasformazioni, pur
modificando le forme del culto, non impedirono la
continuità di un’esperienza tra le più pregnanti della
spiritualità medievale.
La pratica del pellegrinaggio, com’è risaputo,
rappresenta un fenomeno devozionale comune a tutte le
religioni: è la presenza della divinità o la sua
testimonianza che, pervadendo i luoghi in cui si
manifesta, li fa assurgere a mete privilegiate
dell’esperienza religiosa. Il cristianesimo non inventa
niente di nuovo ma disciplina entro forme sempre più
codificate la pratica del viaggio devoto ereditata dalla
cultura giudaica, prima ancora che dal mondo classico.
Il simbolo del viaggio,
nella dottrina cristiana, allude ad una realtà ultima da
intendere in termini escatologici di cui il
pellegrinaggio si fa interprete, preludendo alla nuova
vita che si prospetta nella resurrezione.
Senza nulla togliere al suo valore spirituale, è
indiscutibile che nel corso del tempo il pellegrinaggio
sia stato usato quale strumento di potere e mezzo di
promozione politica.
è il caso
del culto iacobeo, che tanta parte ha avuto nello
sviluppo del cristianesimo occidentale, e degli
strumenti correlati alla sua diffusione.
Prima del secolo XI non si
trattava però di un uso funzionale alla guerra, come
potrebbe suggerire l’iconografia da cavaliere con cui è
noto l’apostolo, perché, come rileva Vanoli, non
sussisteva un legame originario tra il culto di Santiago
e la reconquista.
L’immagine del santo
guerriero si affaccerà inizialmente nella Historia
Silense al momento di descrivere la presa di Coimbra
del 1064, sarà poi ripresa nella seconda metà del XII
secolo dal Liber Sancti Jacobi e infine si
affermerà proiettandosi retrospettivamente fino alla
battaglia Clavjio (secolo IX), com’è testimoniato dalla
Cronica general di Alfonso X nella seconda metà
del XIII secolo.
Per capire lo sviluppo
originario del culto di Santiago bisognerà ammettere la
tardività della specializzazione militare e piuttosto
valutare la progressiva elaborazione dottrinale in
funzione della definizione di una legittimità monarchica
asturiana, complicata dai motivi dell’influenza
cluniacense nella diffusione del culto dell’apostolo.
Quando nel V secolo si sviluppò la venerazione degli
apostoli, cominciarono a diffondersi compilazioni a
scopo liturgico che raccoglievano notizie relative ai
discepoli di Cristo. Tra quei testi figura una Passio
Sancti Jacobi latina che ricorda la predicazione in
Giudea e Samaria ma non cita la Spagna.
è a
partire dal VII secolo che la tradizione della
predicazione iberica dell’apostolo si fa strada grazie
alla diffusione del Breviarum Apostolorum, un
testo consistente nella traduzione adattata dei
Cataloghi Apostolici greci del secolo precedente che
indicavano i luoghi evangelizzati dopo il mandato
pentecostale.
La notizia però è appena
un inciso: perché il rapporto tra Giacomo e la Spagna si
faccia più esplicito occorre aspettare i secoli VII e
VIII.
Aldelmo abate di
Malmesbury, nel suo poema destinato all’altare di
Santiago (Poema de Aris Beatae Mariae et Duodecim
Apostolis dicatis), ne segnala l’opera di catechesi
in Spagna, mentre il De ortu et obitu patrum,
attribuito a Isidoro da Siviglia, non solo ne ricorda la
predicazione iberica ma fa esplicito riferimento alla
sepoltura dell’apostolo. Alla fine del secolo VIII
l’inno O Dei verbum patris, tràdito dal
posteriore Breviario Gotico Toledano, invoca Giacomo
come protettore e patrono.
Per quanto riguarda invece la sepoltura di Giacomo, le
prime testimonianze sono di ambito francese. Il
Martyrologium di Usuard del IX secolo, dedicato a
Carlo il Calvo, contiene il primo riferimento alla
tomba, mentre il coevo Martyrologium di Florus di
Lione precisa la collocazione della tomba in vicinanza
dell’Oceano.
L’idea della traslatio
della reliquia da Gerusalemme alla Spagna si diffonde in
un secondo momento anche in ambito iberico. Le fonti
spagnole, a partire dalla Historia Compostellana
della prima metà del XII secolo, sono quelle che
elaborano progressivamente il motivo dell’inventio
e non a caso si collocano proprio nel momento in cui
l’affermazione del culto iacobeo ricorre allo strumento
di un imponente sviluppo architettonico che, mentre
risponde alle crescenti esigenze del culto, ne conferma
l'autorevolezza.
Pochi anni dopo l’inizio
della costruzione (1075) della quarta e ultima chiesa di
Santiago la cosiddetta Concordia di Antealtares - un
patto tra il vescovo di Santiago e il monastero
compostelano di Antealtares - contiene una narrazione
che riporta gli avvenimenti legati al ritrovamento del
sepolcro di Santiago in Galizia.
Il tema dell’inventio,
sviluppato in diverse fonti coeve come il Cronicon
Iriense, ha lo scopo di presentare la sede
compostelana come legittima erede del vescovato di Iria.
Il Liber Sancti Jacobi, uno degli esempi più
interessanti di letteratura odeporica devozionale, fu
figlio di questo clima in cui nello stesso periodo si
concentrarono eventi e fenomeni senza precedenti, che
sarebbero stati determinanti per il successivo sviluppo
della prassi politica e del pensiero religioso.
La lenta formazione dell’idea di un’unità politica
cristiana sul territorio iberico si consoliderà tra XI e
XII secolo, quando il vuoto di potere conseguente alla
fine del califfato (1031) permetterà ai cristiani di
aumentare il controllo sul territorio.
Al contempo gli interessi
locali della sede galiziana, che esigevano un
accrescimento della sacralità del territorio, finivano
per sposarsi perfettamente con gli interessi politici di
Cluny, sempre più legata alla casa di Borgogna. Gli
insediamenti cluniacensi del cammino assicuravano ai
sovrani iberici importanti legami politici con la
Francia e salvaguardavano una sacralità regia di cui
l’ordine diventava garante.
Da quando la conquista
araba aveva diviso la penisola iberica in nord cristiano
e sud musulmano, solo nel 1492 il completamento
dell’opera di riconquista avrebbe allontanato i
musulmani da quel territorio.
Quando il culto
dell’apostolo di Galizia conobbe la massima fioritura,
nell’occidente europeo stava iniziando il recupero dei
territori sottratti alla cristianità. Gli strumenti
della reconquista, lungi dell’essere
semplicemente militari, si poterono così sostanziare di
una componente propagandistica che prese una forma del
tutto specifica nel culto iacobeo. Promuovere Compostela
voleva dire alimentare uno dei più forti bastioni della
cristianità in un territorio appena sfuggito al
controllo del califfato.
Le ragioni della politica
e quelle della religione finiscono per intrecciarsi in
modo talmente stretto che diventa praticamente
impossibile separarle distinguendo – peraltro
anacronisticamente – la propaganda dalla fede. Nel suo
classico sull’epica medievale Bédier manifesta la
certezza che fosse l’abbazia di Cluny ad organizzare i
pellegrinaggi a Compostela. Del resto il ruolo Cluny
nella promozione del messaggio di riappropriazione
cristiana, è confermato dal fatto che in Spagna il
monastero sviluppò la propria opera sostenendo le tre
crociate francesi e borgognone.
Quanto al rapporto tra le
strutture materiali del pellegrinaggio e la
distribuzione territoriale degli insediamenti
cluniacensi, sappiamo che lungo le quattro strade
francesi per Santiago, come nel tratto transpirenaico
del cammino, vi erano priorati costruiti in
corrispondenza delle principali tappe di percorrenza.
Una buona sintesi della situazione è tutt’ora quella
elaborata da Mâle secondo cui gli abati cluniacensi
hanno voluto fare uscire la Spagna dall’isolamento in
cui era rimasta rispetto alla cristianità occidentale,
stringendo legami con la Francia e organizzando un
flusso di viaggiatori che metteva in rapporto i due
versanti dei Pirenei.
La tomba apostolare, come abbiamo detto, viene citata a
partire dal IX secolo nei martirologi francesi. A quella
data viene attribuita l’inventio della reliquia
iacobea ma le fonti che ne parlano sono più tarde e non
anteriori al XII secolo. Solo in questa fase avanzata il
culto si sarebbe potuto intrecciare con la mitopoiesi
militare sviluppata in chiave cavalleresca dall’epica
medievale. Gli interessi attivi prima di questo
passaggio non avevano ancora oltrepassato i Pierenei.
Secondo la tradizione vulgata dalla già citata Concordia
di Antealtares, Teodomiro, vescovo di Iria Flavia morto
nell’847, scopriva sulle sponde dell’Atlantico un’acha
marmorica contenente i resti dall’apostolo
evangelizzatore della Spagna. La sepoltura era stata
dimenticata ma l’eremita Pelagio, aveva appreso da una
visione che Dio si stava disponendo a manifestarne il
luogo permettendo il ritrovamento della reliquia. Ecco
dunque che bagliori notturni rischiararono il campo dove
era sepolto il corpo cosicché il vescovo di Iria,
richiamato dal prodigio, poté scoprire il sepolcro
dell’apostolo. Allora il re delle Asturie Alfonso II
(791-842), alla richiesta del vescovo Teodomiro, fece
innalzare la primitiva basilica concedendo i primi
privilegi di cui beneficiarono i dodici monaci della
comunità di San Giacomo.
Il primario sviluppo del culto di Santiago era legato a
due centri di irradiazione: la sede episcopale di Iria
Flavia e la comunità monastica di Santiago, fondata per
la protezione dei pellegrini e la cura del culto.
L’intera zona venne cinta da mura e nel giro di poco
tempo cominciò a fiorire un grande movimento di devoti.
I segnali di un rapido intensificarsi del culto di
Santiago si fecero sempre più fitti a partire dalla
seconda metà del IX secolo. Non alieni da questo
successo, i re del Leon vollero attribuire a questo
culto un ruolo sempre più forte: sotto il vescovo
Sisnandus, grande promotore del pellegrinaggio iacobeo,
fu edificata una seconda chiesa consacrata nell’899,
mentre i sovrani effettuavano le prime grandi donazioni
destinate all’assistenza dei pellegrini.
Quando nel X secolo Alfonso III, ultimo re delle
Asturie, faceva ricostruire la basilica ampliandola, la
sede episcopale veniva definitivamente trasferita di Ira
Flavia a Compostela.
Intanto il pellegrinaggio
cominciava ad assumere una forma sempre più organizzata.
Pare attestato un traffico di fedeli fin dalla seconda
metà del X secolo mentre, negli stessi anni,
cominciarono ad apparire i primi riferimenti a una festa
di Santiago. Dopo essere stata rasa al suolo nel 997 dai
musulmani capeggiati dal ciambellano del califfo di
Cordoba (noto come al-Mansûr), la cattedrale di Santiago
veniva riedificata sotto il re del Léon Alfonso V,
dietro sollecito del vescovo Pedro Mezonzo. Dopo pochi
anni però risultava di nuovo insufficiente ad accogliere
il grande afflusso di fedeli e veniva sostituita dalla
basilica iniziata nel 1075 per volere del vescovo Diego
Pelaez. La quarta chiesa fu anche l’ultima che si
edificò ed è di questa che si parla nella Guida del
Pellegrino di Santiago.
Dalla fine del secolo XI
il pellegrinaggio a Santiago cominciava ad essere
documentato in vari paesi cristiani. La diffusione del
culto avrebbe portato ben presto alla fondazione di
chiese, ospedali e confraternite, alla redazione di
guide, alla diffusione di leggende e tradizioni iacobee.
Il successore di Pelaez, Diego Gelmirez, nominato
vescovo di Santiago nel 1100, fu uomo potentissimo,
legato tanto ai poteri della chiesa quanto a quelli
della monarchia del Leon da cui riceveva l’investitura
di conte di Galizia. Gelmirez continuò il programma di
espansione del culto dell’apostolo intrapreso dal
predecessore ma, a differenza di questi che ne aveva
rifiutato il sostegno, si appoggiò con forza all’ordine
cluniacense. Le circostanze divennero particolarmente
favorevoli quando nel 1119 salì al seggio pontificio
Callisto II, al secolo Guido di Borgogna, fratello del
defunto Raimondo conte di Galizia, il cui cancelliere
era stato lo stesso Gelmirez. Questi legami aprirono la
strada a numerosi privilegi primo tra i quali la
concessione del titolo di chiesa metropolitana.
Gelmirez non disdegnò l’uso del pellegrinaggio come
strumento di potere per realizzare il proprio disegno di
sostituire Santiago a Toledo nel primato sulla chiesa
spagnola, adducendo l’eccezionale culto dell’apostolo a
giustificazione delle proprie richieste. Alla morte di
Callisto II (1124) Gelmirez perse lo strumento di
realizzazione delle proprie aspirazioni, ma nonostante
ciò continuò a perseguire lo scopo di promuovere
Santiago a punto nodale della cristianità spagnola e
occidentale, inserendo il pellegrinaggio nell’ambito
dell’ampio movimento di riforma promosso da Cluny.
L’istituzione del
pellegrinaggio di Santiago seguiva due logiche, l’una di
ordine spirituale l’altra politica. Ad una esigenza di
ascesi e di purificazione, realizzata nella proposta di
un concreto percorso espiatorio, corrispondeva la
necessità di consolidare il cristianesimo in un
territorio ancora conteso all’influenza islamica.
Il profilo del santo compostelano si fa sempre più
definito avviandosi a interpretare la duplice natura di
una reconquista spirituale che non meno materiale:
Giacomo, l’apostolo di Cristo, l’evangelizzatore della
Spagna, diventa prima il difensore dei cristiani, poi
l’uccisore di mori che guida gli eserciti come
un’orifiamma.
La Cronica general,
cui abbiamo accennato, racconterà di come Santiago
apparve alla vigilia della battaglia di Clavjio,
incaricato da Cristo di difendere la Spagna dai nemici
della fede.
Brandendo una spada
scintillante, in groppa a un candido destriero,
l’apostolo avrebbe guidato i cristiani in battaglia:
egli era diventato il matamoros.
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