N°
173
/ MAGGIO 2022 (CCIV)
filosofia & religione
Corrispondenze tra culto micaelico e olivo
Sulla cultura longobarda
di Giuseppe Russo
Il culto dedicato a San Michele Arcangelo riveste
una grande importanza nella cultura longobarda.
Nella Langobardia minor dei secoli VIII-XI, è
possibile constatare la presenza di elementi di
cristianizzazione quale veicolo di propaganda dei
nuovi conquistatori. La diffusione del culto
micaelico, mostra analogie con altri strumenti
ideologici utilizzati dal popolo guerriero, mai
indagati approfonditamente. Tra questi vi sono la
simbologia dell’olivo e l’utilizzo di olio sacro
nelle celebrazioni, elementi connessi al
Cristianesimo.
I possibili legami tra culto micaelico e olivo,
intesi entrambi come strumento ideologico attraverso
il quale i Longobardi affermarono il proprio
messaggio di nuovi conquistatori nella
Langobardia minor (IX-XI secolo d.C.) nel
Mezzogiorno d’Italia, sono un aspetto ancora non
investigato. Infatti, corrispondenze tra olivo/olio
e culto medievale di San Michele non sono emerse, né
dalla letteratura storico-ambientale [Dalena 2010]
che gli studi sull'utilizzo delle caverne dedicato a
San Michele [Ebanista 2007]. Sempre in ambito
campano, appare suggestiva l’ipotesi di un legame
tra il culto micaelico e la coltivazione dell'olivo
in relazione al periodo di raccolta dei frutti: ad
esempio nel salernitano, il giorno di San Michele,
cioè il 29 settembre, indicava l'inizio della
raccolta delle olive. Tuttavia è da ritenersi ancora
scarsa la documentazione su questo aspetto
[Cortonesi 2005].
Il culto di San Michele ebbe origine in Oriente
Chonae in Frigia
(l’antica Colassae) nel III secolo d.C.
e qui ebbe un’ampia diffusione
[Fava 2013]. la prima testimonianza di un
santuario dedicato a San Michele in Italia risale al
periodo tra 425 e 450 d.C. a Roma, sopra la
struttura di una villa romana lungo la via Salaria
[Bianchini e Vitti 2003]. Successivamente, la
fondazione del santuario garganico di Monte
Sant'Angelo, nei territori che poi faranno parte
della Langobardia minor, rappresentò invece
uno dei massimi punti della sua diffusione anche in
Occidente, a partire dal Mezzogiorno. Infatti,
l'iniziale diffusione al Sud del culto (in Campania
a partire dal dal VI secolo d.C.) precedette
l'arrivo dei Longobardi. Con l' annessione della
diocesi di Siponto a quella di Benevento e il
passaggio della grotta garganica sotto la
giurisdizione beneventana, il culto per l'Arcangelo
riceve un notevole impulso. Inoltre, In età
medievale si assiste ad una crescente intitolazione
di luoghi rupestri ma anche di diverse chiese sub
divo a S. Michele. In Campania, su 92 cavità (di
cui 84 naturali e 8 artificiali) impiegate a partire
dal medioevo ad uso liturgico-devozionale, è emersa
una preponderante intitolazione di luoghi
all’Arcangelo [Fava 2013]. Infatti, i Longobardi
avevano un solido legame tra il loro dominio e il
culto dell'Angelo [Roma 2010]; una prova è la
concezione guerriera che i nuovi dominatori avevano
dell’Arcangelo, il cui culto, a sua volta, aveva
sostituito quello di Eracle, che era in stretta
analogia iconografica. Per i Longobardi San Michele
aveva anche un’analogia col dio guerriero del tuono
Odino/Wotan, tanto che nella prima Apparitio
del 490 d.C., che portò alla fondazione del
Santuario garganico di Monte Sant’Angelo, S. Michele
compare tra tuoni e fulmini [Gasparri 1983].
Relazioni indirette: fito-toponomastica e
architetture difensive
Il culto dell'Arcangelo ha un'origine pagana, come
lo erano i Longobardi, e 247 siti in Italia sono
caratterizzati da un toponimo legato a questo nome.
Ciò rappresenta un unicum, se si considera
che In Francia i siti sono solo 65 [Roma 2010].
Un’elevata frequenza di toponimi, legati invece
all’olivo e all’olio ( etimo olea), presenta
ugualmente un’elevata densità, in particolare nelle
sub-aree Irpinia e costa salernitana della Campania
[Russo et al. 2017], rivelando l’esistenza di
una "rete semantica" su un'area ridotta [Aversano
2001]. Inoltre, una rete stradale collegava i centri
urbani dislocati nell'area dei Monti Picentini,
passando per l’importante Grotta di San Michele,
presso Olevano sul Tusciano (Salerno): cilium
montis de crypta Sancti Angeli que dicitur Montis
aurei [Di Muro 2005]. Altri castra
inclusi nello stesso sistema difensivo longobardo,
posto nelle aree della rete collegata al termine
olea, erano rappresentati dalla Tempa del
Castello (Acerno) e dal castrum Rotundae nei
pressi di Montella. Tale sistema presiedeva e
conduceva agli itinera verso Beneventum e
oltre, verso il Santuario micaelico di Monte
Sant’Angelo nel Gargano [Dalena 2003].
La Civita di Ogliara [Baranowski 2002] rappresenta
il punto nevralgico di questo sistema difensivo e
sorge in un luogo che era caratterizzato da un
notevole flusso di persone, composto maggiormente da
pellegrini, vero strumento per ottenere il controllo
di un territorio attraverso la Fede. Infatti, sono
molti i toponimi che richiamano il culto di San
Michele (San Michele di Serino, attorno a Civita di
Ogliara; San Michele di Alife con muri simili alla
Civita, etc.). La Civita di Ogliara rappresenta un
importante indizio della corrispondenza tra il
popolo guerriero dei Longobardi e l’olivo,
attraverso un raffinato intento ideologico, che
riporta a casi analoghi quali il Codice Botanico
dell’Ara Pacis [Caneva 2010]. Infatti, la cosiddetta
Porta Salerno è caratterizzata dal riuso di
spolia, ovvero una metope di toro e di fiore
(Fig. 1), proveniente da un vicino mausoleo di
Abellinum (l’attuale Atripalda). La metope è
stato recente oggetto di indagine [Russo in stampa]
e sono come principali risultati sono emersi
l’intento ideologico dietro al riuso della figura
del toro, figura rappresentante la potenza guerriera
ma anche un richiamo all’apparitio michaelis
del 490 e l’identificazione del fiore, fino a quel
momento non classificato. Secondo l’autore trattasi
di un fiore di olivo e proprio il riuso consapevole
per fini di propaganda da parte dei nuovi
conquistatori fa assumere una relazione indiretta
tra il culto micaelico (il toro, ma anche
l’itinerario verso il santuario di Monte Sant’Angelo
passante per la Civita di Ogliara) con l’olivo, a
sua volta uno dei simboli del Cristianesimo [Urech
1995].
Un altro interessante ruolo è svolto dalla
diffusione del monachesimo bizantino nel Mezzogiorno
a partire dal X secolo d.C., il quale rappresenta un
ponte coi luoghi originari del culto micaelico, ma
soprattutto la principale causa che determinò la
nascita dell’olivocoltura, che ancora si riflette
nei paesaggi rurali del Mezzogiorno [Dalena 2010].
La particolare conformazione geomorfologica dei
territori interni tra Campania e Puglia, ha favorito
lo sviluppo dell’olivocoltura e della produzione di
olio che si ipotizza aver catalizzato
contemporaneamente la diffusione e la trasformazione
del culto micaelico.
Infine, la perpetrazione da parte dei dominatori
normanni che successero ai Longobardi dopo la caduta
di Benevento (1078), è la dimostrazione del
consolidamento territoriale del culto dedicato
all’Arcangelo Michele nei territori che furono della
Langobardia minor.
Relazioni dirette: culto micaelico e utilizzo
dell’olio
L’olio era un prodotto molto ricercato e trasportato
in tutto l’ecumene cristiano [Brugnoli e Varanini
2005]. Molto probabilmente, è l’utilizzo di olio più
che l’olivo ad avere un forte significato simbolico
nella cultura longobarda. Nell’844, ad esempio, il
futuro imperatore Ludovico II fu fatto re dei
Longobardi a Roma da papa Sergio II, che lo unse con
l’olio santo e gli cinse il capo con una preziosa
corona [Gasparri 2005].
L’utilizzo di olio santo (crisma) nelle cerimonie di
incoronazione ricorda molto il ritrovamento di
alcuni vasi per olio nella Grotta di San Michele ad
Olevano sul Tusciano, ubicazione che è possibile
includere in una delle reti semantiche
fito-toponomastiche del salernitano [Russo et al.
2017]. I recenti scavi archeologici nel sito della
Grotta di San Michele hanno infatti portato alla
luce un contenitore di medie dimensioni interamente
decorato con bande rosse incise, che si ritiene
contesse un liquido pregiato, ovvero olio [Di
Cunzolo et al. 2011]. Inoltre, la grandezza
dei fori di alcuni contenitori rinvenuti
(acquamanili) è compatibile con la presenza di olio
consacrato al loro interno (crisma). All'interno
della grotta, sono emerse anche due macine di pietra
vulcanica, databili intorno al X secolo d.C. [Di
Cunzolo et al. 2011]. Si ritiene che le
olive, il cui olio arricchiva i pasti dei custodi
del Santuario in quegli anni, provenissero dalla
vicina Licinianum (Li Cignali) [Di Muro
2005], toponimo che richiama l’antica varietà
licinia, l’attuale Leccino [Dalena 2010].
Data la centralità semantica di Olevano sul Tusciano
e la sua importanza riguardo al culto micaelico a
partire dall’ 819 d.C., appare più di una
suggestione l’origine del suo fito-toponimo da
Oleum libani, ossia l’incenso. Pur non
trattandosi di un riferimento diretto al prodotto
oleoso, ritenuto originario del Monte Libano, il
toponimo si collega alla sacralità della funzione a
cui era destinato l’olio, probabilmente estratto dai
frantoi presenti nel Santuario. Le sette cappelle
presenti all’interno della grotta erano destinate ad
usi diversi, per quanto tutte insieme costituissero
una sorta di via sacra che i pellegrini percorrevano
per rendere ossequio al Santo. Una possibile traccia
di questa liturgia si può trovare nelle miniature
della Benedictio Fontis della cattedrale di
Benevento, dove il presule che amministra il
battesimo fa uso di una brocchetta per l’infusione
dell’olio, dopodichè il battezzato coi genitori si
recava in una delle cappelle del Santuario per
ricevere l’eucarestia [Di Cunzolo et al. 2011].
Un altro interessante aspetto che lega il crisma al
culto di San Michele è quello dei miracoli. Tra il
1078 ed il 1081 Niceforo III Botaniate annotera' i
miracoli compiuti dall'Archistratega (un appellativo
del Santo), mentre, sul finire del secolo, Michele
Psellos descrivera' alcuni miracoli operati
dall'Arcangelo, in un non ben definito monastero a
lui dedicato, che si è portati a localizzare non
lontano da Sykeôn, presso Cesarea e fondato nel VII
secolo d.C. I miracoli si potevano ottenere mediante
l'intercessione della croce, del nome di Michele,
dell'olio di una lampada che bruciava davanti
all'immagine dell'Arcangelo o per la sola visita al
santuario o alla sua foresteria. Altri miracoli,
invece, fanno fuoriuscire olio da un’icona
dell’Arcangelo. I prodigi sono di diversa natura ma
tutti legati alla vita quotidiana: guarigione dalla
febbre, dalla possessione demoniaca o liberazione
dall'invasione di bruchi, etc [Martin-Hisard 1994].
Il ruolo del paesaggio
L’utilizzo dell’olio per le lucerne può essere messo
in relazione con gli ambienti ipogei o rupestri che
accomunano sia il culto micaelico che la lavorazione
delle olive. E’ stato già fatto riferimento al
cospicuo numero di ambienti rupestri destinati al
culto di San Michele, specialmente in Campania, ma
anche in altre realtà come il mitreo di Sutri
(Chiesa di Santa Maria del Parto, XIII-XIV secolo
d.C.). Nonostante il culto del mitreo non sia
dedicato direttamente all’Arcangelo e non abbia
connotazione longobarda, vi sono alcuni elementi di
interesse: l’ambiente rupestre e le rappresentazioni
pittoriche dell’Arcangelo Michele e dei flussi di
pellegrini che si recano al Santuario micaelico del
Gargano [Sestieri 1934]. Inoltre, il passaggio dal
culto pagano del dio guerriero al cristianesimo, ha
portato parallelamente all’identificazione
dell’Arcangelo (anch’esso a connotazione guerriera)
con Mitra. In questo caso, il toro rappresenta un
elemento ricorrente ricorre sia nell’Apparitio
di San Michele, sia nel rito mitraico. Infatti,
il battesimo romano di Mitra si esprimeva nel
rituale della tauroctonia, consistente nel disporre
il fedele in una cavità sotterranea, chiusa in alto
da una grata, sulla quale è condotto e sgozzato un
toro [Ulansey 1991].
Dunque l’ambiente, in particolare quello rupestre,
assume rilevanza nel culto micaelico. Allo stesso
modo, i frantoi (trappeti medievali,
discendenti dei torcularia romani), luoghi
ipogei deputati alla produzione dell’olio, uniscono
idealmente il culto micaelico, il paesaggio
olivicolo e l’ambiente rupestre, che caratterizzano
i luoghi della Langobardia minor. Il
paesaggio che possono aver visto i pellegrini che
attraversavano i territori di Campania e Puglia
sulle rotte che li avrebbero successivamente portati
in Terra Santa, passando per i due Santuari
micaelici, era caratterizzato da una diffusa
olivocoltura [Dalena 2010]. Infatti, dagli ultimi
decenni dell’XI secolo d.C., fino alla metà del XIII
secolo d.C., nel Sud Italia si avrà un aumento della
produzione olearia e parallelamente anche quello
delle prime citazioni notarili riguardo ai frantoi,
escludendo il caso della Calabria che aveva una
produzione olearia ancora frammentaria e non era
compresa nei territori longobardi. Appare dunque
evidente che le condizioni geomorfologiche dei
territori campani e pugliesi, abbiano spinto verso
l’olivocoltura tra lame, gravine e altri
insediamenti rupestri [Dalena 2009], anche perché le
condizioni microclimatiche delle cavità ipogee
favorivano le caratteristiche chimiche ed
organolettiche dell’olio prodotto e l’ambiente
sotterraneo garantiva una maggiore stabilità
all’asse verticale del frantoio. Inoltre, le vasche
presenti nel frantoio erano indicate col termine
“altare” e questo elemento suggerisce ancora una
volta una corrispondenza tra liturgia e produzione
olearia.
A sostegno di quanto emerso dal presente studio, in
Fig. 2 si riporta una cronologia comparativa del
culto micaelico, delle trasformazioni relative alla
produzione olivicola e di altri eventi storici, con
particolare riferimento ai secoli che si ritengono
significativi negli sviluppi qui indagati nella
Langobardia minor.
I “nuovi” dominatori Longobardi poterono avvalersi
di strumenti culturali più elaborati rispetto a
quanto ritenuto sinora, da utilizzarsi in quel
periodo di forte instabilità politica che si
verificò nella Campania medievale tra il IX e XI
secolo d.C. L’olivo e il suo prodotto assumono una
forte connotazione cristiana e il sistema
territoriale longobardo campano porta i segni della
loro importanza, che si riflette nell’attuale rete
semantica generata dalla fito-toponomastica. La
trasformazione da popolo pagano a popolo cristiano
dominatore, rafforza il significato ideologico
dietro il riutilizzo della metope raffigurante i
simboli cristiani del toro (Arcangelo Michele) ma
soprattutto il fiore di olivo (paesaggio) presso la
Civita di Ogliara, crocevia di un percorso di
pellegrinaggi ma anche toponimo essenziale per
comprendere la cultura longobarda nella Campania
medievale. La connotazione geomorfologica che favorì
l’incremento della produzione olearia in quei secoli
nella zona appeninica tra Campania e Puglia,
rappresentò quindi un elemento imprescindibile
dall’evoluzione cultuale micaelica.
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