[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

173 / MAGGIO 2022 (CCIV)


filosofia & religione

Corrispondenze tra culto micaelico e olivo
Sulla cultura longobarda

di Giuseppe Russo

 

Il culto dedicato a San Michele Arcangelo riveste una grande importanza nella cultura longobarda. Nella Langobardia minor dei secoli VIII-XI, è possibile constatare la presenza di elementi di cristianizzazione quale veicolo di propaganda dei nuovi conquistatori. La diffusione del culto micaelico, mostra analogie con altri strumenti ideologici utilizzati dal popolo guerriero, mai indagati approfonditamente. Tra questi vi sono la simbologia dell’olivo e l’utilizzo di olio sacro nelle celebrazioni, elementi connessi al Cristianesimo.

 

I possibili legami tra culto micaelico e olivo, intesi entrambi come strumento ideologico attraverso il quale i Longobardi affermarono il proprio messaggio di nuovi conquistatori nella Langobardia minor (IX-XI secolo d.C.) nel Mezzogiorno d’Italia, sono un aspetto ancora non investigato. Infatti, corrispondenze tra olivo/olio e culto medievale di San Michele non sono emerse, né dalla letteratura storico-ambientale [Dalena 2010] che gli studi sull'utilizzo delle caverne dedicato a San Michele [Ebanista 2007]. Sempre in ambito campano, appare suggestiva l’ipotesi di un legame tra il culto micaelico e la coltivazione dell'olivo in relazione al periodo di raccolta dei frutti: ad esempio nel salernitano, il giorno di San Michele, cioè il 29 settembre, indicava l'inizio della raccolta delle olive. Tuttavia è da ritenersi ancora scarsa la documentazione su questo aspetto [Cortonesi 2005].

 

Il culto di San Michele ebbe origine in Oriente Chonae in Frigia (l’antica Colassae) nel III secolo d.C. e qui ebbe un’ampia diffusione [Fava 2013]. la prima testimonianza di un santuario dedicato a San Michele in Italia risale al periodo tra 425 e 450 d.C. a Roma, sopra la struttura di una villa romana lungo la via Salaria [Bianchini e Vitti 2003]. Successivamente, la fondazione del santuario garganico di Monte Sant'Angelo, nei territori che poi faranno parte della Langobardia minor, rappresentò invece uno dei massimi punti della sua diffusione anche in Occidente, a partire dal Mezzogiorno. Infatti, l'iniziale diffusione al Sud del culto (in Campania a partire dal dal VI secolo d.C.) precedette l'arrivo dei Longobardi. Con l' annessione della diocesi di Siponto a quella di Benevento e il passaggio della grotta garganica sotto la giurisdizione beneventana, il culto per l'Arcangelo riceve un notevole impulso. Inoltre, In età medievale si assiste ad una crescente intitolazione di luoghi rupestri ma anche di diverse chiese sub divo a S. Michele. In Campania, su 92 cavità (di cui 84 naturali e 8 artificiali) impiegate a partire dal medioevo ad uso liturgico-devozionale, è emersa una preponderante intitolazione di luoghi all’Arcangelo [Fava 2013]. Infatti, i Longobardi avevano un solido legame tra il loro dominio e il culto dell'Angelo [Roma 2010]; una prova è la concezione guerriera che i nuovi dominatori avevano dell’Arcangelo, il cui culto, a sua volta, aveva sostituito quello di Eracle, che era in stretta analogia iconografica. Per i Longobardi San Michele aveva anche un’analogia col dio guerriero del tuono Odino/Wotan, tanto che nella prima Apparitio del 490 d.C., che portò alla fondazione del Santuario garganico di Monte Sant’Angelo, S. Michele compare tra tuoni e fulmini [Gasparri 1983].

 

Relazioni indirette: fito-toponomastica e architetture difensive

 

Il culto dell'Arcangelo ha un'origine pagana, come lo erano i Longobardi, e 247 siti in Italia sono caratterizzati da un toponimo legato a questo nome. Ciò rappresenta un unicum, se si considera che In Francia i siti sono solo 65 [Roma 2010]. Un’elevata frequenza di toponimi, legati invece all’olivo e all’olio ( etimo olea), presenta ugualmente un’elevata densità, in particolare nelle sub-aree Irpinia e costa salernitana della Campania [Russo et al. 2017], rivelando l’esistenza di una "rete semantica" su un'area ridotta [Aversano 2001]. Inoltre, una rete stradale collegava i centri urbani dislocati nell'area dei Monti Picentini, passando per l’importante Grotta di San Michele, presso Olevano sul Tusciano (Salerno): cilium montis de crypta Sancti Angeli que dicitur Montis aurei [Di Muro  2005]. Altri castra inclusi nello stesso sistema difensivo longobardo, posto nelle aree della rete collegata al termine olea, erano rappresentati dalla Tempa del Castello (Acerno) e dal castrum Rotundae nei pressi di Montella. Tale sistema presiedeva e conduceva agli itinera verso Beneventum e oltre, verso il Santuario micaelico di Monte Sant’Angelo nel Gargano [Dalena 2003].

 

La Civita di Ogliara [Baranowski 2002] rappresenta il punto nevralgico di questo sistema difensivo e sorge in un luogo che era caratterizzato da un notevole flusso di persone, composto maggiormente da pellegrini, vero strumento per ottenere il controllo di un territorio attraverso la Fede. Infatti, sono molti i toponimi che richiamano il culto di San Michele (San Michele di Serino, attorno a Civita di Ogliara; San Michele di Alife con muri simili alla Civita, etc.). La Civita di Ogliara rappresenta un importante indizio della corrispondenza tra il popolo guerriero dei Longobardi e l’olivo, attraverso un raffinato intento ideologico, che riporta a casi analoghi quali il Codice Botanico dell’Ara Pacis [Caneva 2010]. Infatti, la cosiddetta Porta Salerno è caratterizzata dal riuso di spolia, ovvero una metope di toro e di fiore (Fig. 1), proveniente da un vicino mausoleo di Abellinum (l’attuale Atripalda). La metope è stato recente oggetto di indagine [Russo in stampa] e sono come principali risultati sono emersi l’intento ideologico dietro al riuso della figura del toro, figura rappresentante la potenza guerriera ma anche un richiamo all’apparitio michaelis del 490 e l’identificazione del fiore, fino a quel momento non classificato. Secondo l’autore trattasi di un fiore di olivo  e proprio il riuso consapevole per fini di propaganda da parte dei nuovi conquistatori fa assumere una relazione indiretta tra il culto micaelico (il toro, ma anche l’itinerario verso il santuario di Monte Sant’Angelo passante per la Civita di Ogliara) con l’olivo, a sua volta uno dei simboli del Cristianesimo [Urech 1995].

 

Un altro interessante ruolo è svolto dalla diffusione del monachesimo bizantino nel Mezzogiorno a partire dal X secolo d.C., il quale rappresenta un ponte coi luoghi originari del culto micaelico, ma soprattutto la principale causa che determinò la nascita dell’olivocoltura, che ancora si riflette nei paesaggi rurali del Mezzogiorno [Dalena 2010]. La particolare conformazione geomorfologica dei territori interni tra Campania e Puglia, ha favorito lo sviluppo dell’olivocoltura e della produzione di olio che si ipotizza aver catalizzato contemporaneamente la diffusione e la trasformazione del culto micaelico.

 

Infine, la perpetrazione da parte dei dominatori normanni che successero ai Longobardi dopo la caduta di Benevento (1078), è la dimostrazione del consolidamento territoriale del culto dedicato all’Arcangelo Michele nei territori che furono della Langobardia minor.

 

Relazioni dirette: culto micaelico e utilizzo dell’olio

 

L’olio era un prodotto molto ricercato e trasportato in tutto l’ecumene cristiano [Brugnoli e Varanini 2005]. Molto probabilmente, è l’utilizzo di olio più che l’olivo ad avere un forte significato simbolico nella cultura longobarda. Nell’844, ad esempio, il futuro imperatore Ludovico II fu fatto re dei Longobardi a Roma da papa Sergio II, che lo unse con l’olio santo e gli cinse il capo con una preziosa corona [Gasparri 2005].

 

L’utilizzo di olio santo (crisma) nelle cerimonie di incoronazione ricorda molto il ritrovamento di alcuni vasi per olio nella Grotta di San Michele ad Olevano sul Tusciano, ubicazione che è possibile includere in una delle reti semantiche fito-toponomastiche del salernitano [Russo et al. 2017]. I recenti scavi archeologici nel sito della Grotta di San Michele hanno infatti portato alla luce un contenitore di medie dimensioni interamente decorato con bande rosse incise, che si ritiene contesse un liquido pregiato, ovvero olio [Di Cunzolo et al. 2011]. Inoltre, la grandezza dei fori di alcuni contenitori rinvenuti (acquamanili) è compatibile con la presenza di olio consacrato al loro interno (crisma). All'interno della grotta, sono emerse anche due macine di pietra vulcanica, databili intorno al X secolo d.C. [Di Cunzolo et al. 2011]. Si ritiene che le olive, il cui olio arricchiva i pasti dei custodi del Santuario in quegli anni, provenissero dalla vicina Licinianum (Li Cignali) [Di Muro 2005], toponimo che richiama l’antica varietà licinia, l’attuale Leccino [Dalena 2010].

 

Data la centralità semantica di Olevano sul Tusciano e la sua importanza riguardo al culto micaelico a partire dall’ 819 d.C., appare più di una suggestione l’origine del suo fito-toponimo da Oleum libani, ossia l’incenso. Pur non trattandosi di un riferimento diretto al prodotto oleoso, ritenuto originario del Monte Libano, il toponimo si collega alla sacralità della funzione a cui era destinato l’olio, probabilmente estratto dai frantoi presenti nel Santuario. Le sette cappelle presenti all’interno della grotta erano destinate ad usi diversi, per quanto tutte insieme costituissero una sorta di via sacra che i pellegrini percorrevano per rendere ossequio al Santo. Una possibile traccia di questa liturgia si può trovare nelle miniature della Benedictio Fontis della cattedrale di Benevento, dove il presule che amministra il battesimo fa uso di una brocchetta per l’infusione dell’olio, dopodichè il battezzato coi genitori si recava in una delle cappelle del Santuario per ricevere l’eucarestia [Di Cunzolo et al. 2011].

 

Un altro interessante aspetto che lega il crisma al culto di San Michele è quello dei miracoli. Tra il 1078 ed il 1081 Niceforo III Botaniate annotera' i miracoli compiuti dall'Archistratega (un appellativo del Santo), mentre, sul finire del secolo, Michele Psellos descrivera' alcuni miracoli operati dall'Arcangelo, in un non ben definito monastero a lui dedicato, che si è portati a localizzare non lontano da Sykeôn, presso Cesarea e fondato nel VII secolo d.C. I miracoli si potevano ottenere mediante l'intercessione della croce, del nome di Michele, dell'olio di una lampada che bruciava davanti all'immagine dell'Arcangelo o per la sola visita al santuario o alla sua foresteria. Altri miracoli, invece, fanno fuoriuscire olio da un’icona dell’Arcangelo. I prodigi sono di diversa natura ma tutti legati alla vita quotidiana: guarigione dalla febbre, dalla possessione demoniaca o liberazione dall'invasione di bruchi, etc [Martin-Hisard 1994].

 

Il ruolo del paesaggio

 

L’utilizzo dell’olio per le lucerne può essere messo in relazione con gli ambienti ipogei o rupestri che accomunano sia il culto micaelico che la lavorazione delle olive. E’ stato già fatto riferimento al cospicuo numero di ambienti rupestri destinati al culto di San Michele, specialmente in Campania, ma anche in altre realtà come il mitreo di Sutri (Chiesa di Santa Maria del Parto, XIII-XIV secolo d.C.). Nonostante il culto del mitreo non sia dedicato direttamente all’Arcangelo e non abbia connotazione longobarda, vi sono alcuni elementi di interesse: l’ambiente rupestre e le rappresentazioni pittoriche dell’Arcangelo Michele e dei flussi di pellegrini che si recano al Santuario micaelico del Gargano [Sestieri 1934]. Inoltre, il passaggio dal culto pagano del dio guerriero al cristianesimo, ha portato parallelamente all’identificazione dell’Arcangelo (anch’esso a connotazione guerriera) con Mitra. In questo caso, il toro rappresenta un elemento ricorrente ricorre sia nell’Apparitio di San Michele, sia nel rito mitraico. Infatti, il battesimo romano di Mitra si esprimeva nel rituale della tauroctonia, consistente nel disporre il fedele in una cavità sotterranea, chiusa in alto da una grata, sulla quale è condotto e sgozzato un toro [Ulansey 1991].

 

Dunque l’ambiente, in particolare quello rupestre, assume rilevanza nel culto micaelico. Allo stesso modo, i frantoi (trappeti medievali, discendenti dei torcularia romani), luoghi ipogei deputati alla produzione dell’olio, uniscono idealmente il culto micaelico, il paesaggio olivicolo e l’ambiente rupestre, che caratterizzano i luoghi della Langobardia minor. Il paesaggio che possono aver visto i pellegrini che attraversavano i territori di Campania e Puglia sulle rotte che li avrebbero successivamente portati in Terra Santa, passando per i due Santuari micaelici, era caratterizzato da una diffusa olivocoltura [Dalena 2010]. Infatti, dagli ultimi decenni dell’XI secolo d.C., fino alla metà del XIII secolo d.C., nel Sud Italia si avrà un aumento della produzione olearia e parallelamente anche quello delle prime citazioni notarili riguardo ai frantoi, escludendo il caso della Calabria che aveva una produzione olearia ancora frammentaria e non era compresa nei territori longobardi. Appare dunque evidente che le condizioni geomorfologiche dei territori campani e pugliesi, abbiano spinto verso l’olivocoltura tra lame, gravine e altri insediamenti rupestri [Dalena 2009], anche perché le condizioni microclimatiche delle cavità ipogee favorivano le caratteristiche chimiche ed organolettiche dell’olio prodotto e l’ambiente sotterraneo garantiva una maggiore stabilità all’asse verticale del frantoio. Inoltre, le vasche presenti nel frantoio erano indicate col termine “altare” e questo elemento suggerisce ancora una volta una corrispondenza tra liturgia e produzione olearia.

A sostegno di quanto emerso dal presente studio, in Fig. 2 si riporta una cronologia comparativa del culto micaelico, delle trasformazioni relative alla produzione olivicola e di altri eventi storici, con particolare riferimento ai secoli che si ritengono significativi negli sviluppi qui indagati nella Langobardia minor.

 

I “nuovi” dominatori Longobardi poterono avvalersi di strumenti culturali più elaborati rispetto a quanto ritenuto sinora, da utilizzarsi in quel periodo di forte instabilità politica che si verificò nella Campania medievale tra il IX e XI secolo d.C. L’olivo e il suo prodotto assumono una forte connotazione cristiana e il sistema territoriale longobardo campano porta i segni della loro importanza, che si riflette nell’attuale rete semantica generata dalla fito-toponomastica. La trasformazione da popolo pagano a popolo cristiano dominatore, rafforza il significato ideologico dietro il riutilizzo della metope raffigurante i simboli cristiani del toro (Arcangelo Michele) ma soprattutto il fiore di olivo (paesaggio) presso la Civita di Ogliara, crocevia di un percorso di pellegrinaggi ma anche toponimo essenziale per comprendere la cultura longobarda nella Campania medievale. La connotazione geomorfologica che favorì l’incremento della produzione olearia in quei secoli nella zona appeninica tra Campania e Puglia, rappresentò quindi un elemento imprescindibile dall’evoluzione cultuale micaelica.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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