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filosofia & religione


N. 41 - Maggio 2011 (LXXII)

il culto della Santa Muerte

l’eterno dualismo messicano
di Maria T. Vassileva

 

“A mi Nina Blanca”

Llegaste a mi vida y la llenaste de fe,

al principio tuve miedo,

pero luego comprendì que tù haces mucho bien.

Gracias te doy mi Nina Blanca,

por todas las bendiciones que le has otorgado

a esta devote tuya que quiere estar a tu lado,

porche tù eres esa luz que faltaba en mi camino.

Santissima Muerte, gracias por estar conmigo,

 por cuidarme y protegerme.

 Mi fe està contigo.

(preghiera dedicata alla Santa Morte nel santuario)

 

Immaginate di trovarvi in un luogo sacro, in un santuario dove tutto ciò che vi circonda suggerisce una forte presenza ultraterrena, amata, venerata e temuta, alla quale si offrono doni, si fanno richieste di varia natura, per buon lavoro, di avere salute, di guadagnare soldi e prosperità e le si dedicano preghiere e offerte in cambio di protezione.

 

Qui la Santa in questione non ha niente a che vedere con quelle cristiane e non ci troviamo in una chiesa ma nel santuario di Sant’Ana Chupitiro, in un piccolo villaggio nelle vicinanze di Patzcuarò, Messico: qui la devozione è rivolta alla “Santa Muerte”.

 

Chiamata anche la Niña Blanca, la Protectora, la Madrecita, La señora fautrice di miracoli. II meno che si possa dire è che si ha la sensazione di essere trascinati all’interno di un mondo dove la morte è omnipervadente, esibita, come se vi trovaste in una dimensione che vuole esprime la sua singolare vitalità e proprio in occasione della morte, nel momento del passaggio tra conosciuto e sconosciuto, in ambito sociale dove la viva ha bisogno del cospetto della morte per essere tale.

 

Il Santuario di Sant’Ana è stato costruito a circondare un giardino, che nel momento della nostra visita, era adornato di fiori, di quei fiori gialli che per la festa dei morti vengono dedicati ai propri cari, i “cempasùchil”; nel mezzo di questo giardino troviamo una statua, una figura scheletrica posta su un trono, vestita di bianco, dove le offerte si accatastano man mano che giungono i devoti, è la Santissima Señora Muerte che osserva, come una regina, i suoi devoti e noi visitatori dall’alto del rango che le stato conferito.

 

Ci troviamo in Messico, nello stato del Michoacàn, questa zona agricola, situata tra grandi montagne e laghi e che è stata segnata dalla infaticabile opera di evangelizzazione dei missionari francescani, agostiniani e di altri ordini religiosi cosa che, alleata col temperamento ‘forte’ dei suoi abitanti, avvezzi all’inclemenza del clima, alla fatica e a causa della relativa lontananza dalle grandi città, aveva dato vita a una delle regioni più fortemente cattoliche del Messico e forse dell’America Latina.

 

Il Bajío - cioè l’insieme formato dagli Stati di Jalisco, Aguas Calientes, Guanajuato, Querétaroy e Michoacán - è la zona che più martiri ha dato alla Chiesa Cattolica nell’America del secolo XX e rimane ancor oggi un vivaio di vocazioni religiose.

 

L’evidente dualità tra morte e vita, religione ufficiale e non, è caratteristica centrale dell’intero popolo messicano: sociologi e scrittori hanno scritto migliaia di pagine per spiegare l’intrigante e unico rapporto che i messicani hanno con la morte, una presenza esorcizzata in molti modi, spesso con un’ironia spinta oltre i confini dell’assurdo, se giudicati da un punto di vista europea, ma rimane la questione del perché la morte assume un ruolo così centrale nella cultura messicana.

 

Porre l’attenzione sull’immagine speculare della morte ci riporta inevitabilmente alla questione del doppio: lo sdoppiamento dell’io e la rappresentazione della morte non come confine dell’esistenza ma come invasione nell’esperienza del mondo dei vivi.

 

La figura del doppio porta con sé un sistema simbolico forte caratterizzante ogni singolo uomo, poiché ognuno dentro di sé porta la ‘sua’ morte, almeno è ciò che capita a quelle società dove si ha a che fare con la sofferenza e la paura ogni giorno, dove la permanenza della morte nella vita è una percezione spaventosa e rassicurante al tempo stesso di una presenza misteriosa che dentro di sé ognuno sente di avere.

 

Dunque il doppio nell’essere umano rappresenta nello stesso tempo l’antidoto per ‘andare oltre’ e scavalcare l’ineluttabilità della morte e per continuare ad esistere, nella consapevolezza che le perdite subite in vita saranno recuperate nell’al di là. Per ogni persona esiste dunque una metà complementare, e quindi il doppio vita/morte sono indissolubili.

 

Partendo da queste ipotesi possiamo affermare che il culto della Santa Morte rappresenta la manifestazione di quel oscuro accompagnatore che è sempre presente nella vita quotidiana, proprio come la Chiesa Cattolica ci insegna che la Vergine Maria e i Santi sono sempre vicini per vegliare sulle nostre vite.

 

Un secondo elemento va sottolineato, a mio avviso, l’origine di questo culto. La crescita e il successo recente del fenomeno, al centro del quale si celebra la morte come divinità/santità, indica che nell’immaginario popolare si ha un ritorno ad una forma simbolica preispanica.

 

Da quanto conosciamo delle culture precedenti, Il culto alla morte esiste da tempi lontani ed era presente soprattutto presso i “mexica” o aztechi, i quali credevano che i cicli vitali della natura, come il giorno e la notte, erano equivalenti al ciclo vita e alla morte.

 

Tale culto presso gli aztechi era rappresentato da figure umane per metà disincarnate e i signori del mondo dei morti erano il dio e la dea Mictlantecuhtli e Mictecacihuatl. In sintesi la sacralizzazione della morte, del Messico contemporaneo, sarebbe una sovrapposizione del culto legato al dio azteco; il signore mexica dei morti Mitlantecuhtli, vestito e rappresentato come un santo “disincarnato” che indossa una tunica scura sotto la quale si intravede il suo scheletro rivelando la sua natura a metà tra i due mondi.

 

La sua immagine si presenta secondo il simbolismo azteco, ma segue chiaramente un’estetica ornamentale tipica della “mexicanidad”. La figura maschile del dio azteco che incuteva timore ora ha assunto le sembianze di una figura femminile che non spaventa più ma che incanta: (…) Una bellissima donna , dai capelli folti e dagli occhi chiari (una hermosissima mujer con ojos claros)” ci racconta il fondatore del santuario di Chupitiro.

 

La ricerca della mexicanidad è un fenomeno socio-culturale recente ed ha i suoi risvolti sia nel sociale che in ambito religioso, e si pone l’obiettivo di ripensare la civiltà anteriore per reindirizzare la cultura attuale. Il culto della Santa Muerte, anche se è in apparenza un culto giovane, pare che sia un fenomeno degli ultimi 20 anni, secondo recenti ricerche, palesa chiare origini preispaniche, non incontra il favore della Chiesa Cattolica che lo considera un affronto alla Chiesa poiché di derivazione pagana.

 

A Sant’Ana vi è un continuo flusso di persone, di intere famiglie che pregano davanti alla Santissima Muerte, si ha l’impressione che questa pratica stia assumendo uno spessore che molti non possono più negare.

 

Il culto è diventata parte integrante dell’esistenza dei messicani. Perché se i defunti continuano ad intervenire nella memoria e negli atti dei sopravvissuti, vale dunque anche il contrario: i vivi non smettono di agire sui defunti, sui loro resti, sulle loro effigie: La Pelona è la signora che ci accompagna in ogni momento dell’esistenza, è la madrecita di tutti noi, la veneriamo e la santifichiamo affinché anche lei possa essere clemente con noi e con i nostri cari che non sono più tra noi. La Santa Muerte si manifesta, ti sta vicino , ti aiuta e ti ascolta, ma è anche vero che lei ha bisogno di te delle tue attenzioni e della tua venerazione, non bisogna mai deluderla perchè comunque vada lei ti è accanto”, ci disse una devota alla santa e pensare che ci siamo trovati in un luogo in cui la morte viene continuamente invocata, sfidata, corteggiata, dove devoti si chinano davanti a questa icone poste a confine di due mondi per poi accendersi una sigaretta in suo onore davanti ad un altare, donandole pensieri preghiere e richieste e dove la morte si nutre con lo spirito dei vivi.

 

La loro Santa è la “bella morte”, che nei sogni è una donna affascinante e, come monito, nella vita reale è uno scheletro che indossa una lunga veste nera e tiene una falce in mano: all’ingresso del santuario sono scritte queste parole: “Sabes de este dìa, tan importante, es cuando le permitì a mi hijo hacer mi casa de oracion, te invito a cuidarla y respetarla. Atte La mujer mas puntual”.

 

La donna più puntuale, ma anche la donna che ti sta sempre accanto, nei momenti soprattutto più bui, la compagna che quando la invochi e le dai quel che ti chiede non se ne andrà mai, ti sarà per sempre fedele.

 

Molti hanno attribuito la crescita di questo fenomeno alle difficoltà che la società messicana sta attraversando, dai pericoli quotidiani con la criminalità e il narcotraffico alla crescente povertà del paese, poiché ogni società produce le sue risposte dalle contraddizioni radicali fra le misure secolari e sacrali dell’esistenza umana, fra uomo e la natura, fra la società e l’individuo, evidentemente questo culto è la risposta alle molte pressioni che la società messicana è costretta a subire.

 

A maggior ragione poiché il Messico appartiene alle cosiddette culture “continuanti”, cioè eredi delle civiltà “primarie” di antica origine, anche se oggi è nella fase di differenziazione dalla civiltà precedente, si è alla ricerca di una propria identità, di un’essenza nazionale (si notano in ogni angolo del paese dei simbolismi nazionali proprio per indicarci la forte volontà di ricreare un’identità fortemente “ mexicana”) e di indipendenza dall’Occidente.

 

Lo sdoppiamento culturale è la fonte di questa condizione: il messicano non è né europeo e né americano (del Nord), perciò sente una discrepanza interna, una certa mancanza.

 

L’autenticità del Messico rimane ancora non scoperta ed è ridotta ora al principio indigeno, ora al principio europeo. È riposta nella parte meticcia della società messicana, in base ai popoli di origine nàhua; quale fonte di cultura creativa e vivente.

 

La storia del Messico è la storia della gente che cerca il proprio principio, di una propria qualità. Ne risulta la creazione della cultura meticcia in cui si rivela il forte legame tra passato e presente. La parola ‘meticcio’ suggerisce la natura di sdoppiamento dell’identità sociale, e le componenti sono due: quella indigena (la cultura autoctona) e quella europea (la matrice spagnola) e senza tralasciare il fenomeno sincretico.

 

I dogmi cristiani hanno ottenuto un’interpretazione piuttosto originale nella coscienza degli indios: Dio e i Santi hanno sostituito le divinità del vecchio pantheon e l’antica concezione del mondo, senza però cambiarne la struttura. Ma capita che qualche forza spirituale continui la sua azione sotterranea e riemerga dalla memoria antica e abbia il sopravvento nel momento della comparsa nel momento della crisi, come può essere accaduto nel caso del culto della Santa Morte.

 

I messicani aspirano a ‘ripensare’ il mondo e simultaneamente hanno paura di far saltare i capisaldi dell’esistenza radicata, perciò ammirano il mondo e lo contemplano in ogni sua manifestazione, buona o cattiva che sia.

 

Senza alcun dubbio una linea fondante azteca, ovvero “l’incanto dalla morte” non è mai scomparsa e questo sembra attutire il senso della paura inteso così come lo concepiamo noi, ma conservano solo lo spirito della meraviglia e della devozione, in quanto l’indifferenza, il non sentire la morte è quella parte contraria dell’indifferenza verso la vita.

 

Celebrare il culto della morte significa contemplare l’origine della vita. Mentre per il cristiano, la morte è solo il passaggio dalla vita precaria terrena ad una vita eterna, per il meticcio/messicano la morte è la via alla rinascita del principio delle forze vitali.

 

“Qui noi celebriamo la morte, perché aspiriamo alla vita. Vogliamo rinascere”. Questo è il messaggio che si percepisce qui al Santuario di Sant’Ana Chupitiro.



 

 

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