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STORIA & SPORT


N. 99 - Marzo 2016 (CXXX)

I DOMINATORI DEL PALLONE D’ORO
PARTE
III - Hendrik Johannes CRuijff

di Francesco Agostini

 

L’elemento che caratterizzò più di tutti un campione del calibro di Johannes Cruijff fu, oltre al suo inesauribile talento, il numero di maglia. Solitamente i giocatori del suo calibro indossano la leggendaria numero dieci o, al massimo la numero nove; Cruijff, invece, per gran parte della sua carriera ebbe sulle spalle un anonimo numero quattordici. Il motivo di tale scelta però non fu affatto voluto ma, come gran parte degli eventi che cambiano la storia del calcio, fu del tutto casuale. Ai tempi dell’Ajax Cruijff indossava la maglia numero nove mentre un suo compagno di squadra, tale Muhren, la numero quattordici. Un giorno accadde che Muhren non riuscì più a trovare la maglia con il suo numero: fu allora che Cruijff decise di cedergli la sua, prendendosi il quattordici. L’Ajax vinse quella gara e per scaramanzia Cruijff acconsentì a tenere quel fortunato numero.

Questo non fu altro che un piccolo episodio nella carriera di un grande campione come lui, che lo vide vincere il Pallone d’Oro nel 1971, nel 1973 e nel 1974 e divenire il vero e proprio simbolo del cosiddetto “calcio totale”, un modo di vedere la tattica che rivoluzionò il mondo del calcio e che lo rese famoso in tutto il mondo. Nato in una famiglia di fruttivendoli nel 1947, Cruijff perse il padre alla tenera età di dodici anni. La madre, che versava in gravi difficoltà economiche, fu costretta a dire addio sia alla propria casa che al negozio di frutta e fu solo grazie al figlio che riuscì a riacquistare un lavoro. Il piccolo Johannes, infatti, fu chiamato a giocare nelle giovanili dell’Ajax e la squadra olandese le offrì un lavoro come donna delle pulizie nello stadio, ridandole, oltre a una sicurezza economica, anche la dignità di una madre. Paradossalmente Johan, dopo aver vissuto sulla sua pelle la miseria si ritrovò, da grande, a essere uno degli uomini più ricchi del calcio. Tutto ciò accadde perché fu ingaggiato da squadre facoltose come Ajax e Barcellona e perché, soprattutto, sposò la figlia di un ricchissimo commerciante di diamanti, Danny Coster, che diventerà anche suo manager.

Dal 1965 al 1973 Johannes giocò nell’Ajax, dove vinse praticamente tutto ciò che c’era da vincere: nel suo palmares, infatti, vanno ricordati sei campionati, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa UEFA. Il segreto di questa incredibile serie di vittorie fu nell’allenatore dell’Ajax dell’epoca: il rivoluzionario Rinus Michels, l’inventore del calcio totale. Questa tattica, assai dispendiosa ,ma anche redditizia, si sviluppava attorno alla semplice idea che ogni movimento di un singolo giocatore dovesse essere coperto da un altro. Un po’ come in una partita a scacchi, il fine ultimo di Michels era quello di attaccare (anche selvaggiamente) ma di non lasciare mai scoperto il fianco ai colpi dell’avversario. Solitamente lo schema usato era il 4-3-3 nel quale ogni giocatore era tenuto ad applicare in maniera severa il pressing e il fuorigioco. È fuor di dubbio che una simile tattica sia estremamente dispendiosa ma, a quel tempo, l’Ajax era una vera e propria corazzata giovane e fresca e perciò assetata di vittorie. Proprio per questo, l’idea del calcio totale non ha più trovato un riscontro favorevole in altre squadre e ha subito alcune “varianti” che ne hanno acuito però i difetti: l’esempio più lampante è, senza dubbio, il calcio sconsideratamente offensivo di Zdenek Zeman. Questo dimostra come l’esperienza di Michels fosse un caso isolato nella storia del mondo del calcio.

Nel 1973 Cruijff decise di concludere la meravigliosa esperienza olandese per approdare in una delle squadre più titolate di Spagna: quel Barcellona che, da sempre, con quella sua maglia blaugrana ha attratto a sé moltissimi giocatori. Per colpa di problemi contrattuali dovuti all’inesauribile sete di denaro del suocero, il commerciante di diamanti, Cruijff esordì nel campionato spagnolo solamente a fine ottobre e si trovò in una situazione d’emergenza. Il Barcellona era penultimo in classifica e con il morale sotto i tacchi; non proprio la stessa cosa dell’Ajax cinico e vincente degli anni precedenti. Una volta rientrato sul campo, però, l’aura vincente di Cruijff riuscì a coinvolgere l’intera squadra e a renderla protagonista di una delle rimonte più belle della storia. Il Barcellona, spinto dal caldo tifo del Camp Nou, riuscì a vincere dieci partite di fila e a battere i rivali storici del Real Madrid addirittura per 5-0. Johan Cruijff guidò i catalani alla conquista della Liga segnando ben sedici reti, un vero e proprio record per una mezzapunta come lui.

Nel periodo di maggiore splendore si inserì il mondiale del 1974, giocatosi nella Germania Ovest. Gli Olandesi, chiamati simpaticamente “Arancia Meccanica” in onore del famoso romanzo di Anthony Burgess (riadattato magistralmente da Stanley Kubrick), guidati da un Cruijff che volava sulle ali dell’entusiasmo arrivarono in finale. Quello che nel piccolo microcosmo dell’Ajax era stato così vincente (il calcio totale, ovviamente) risultò efficace anche nell’ambito della nazionale. L’Olanda, trascinata da un gioco spettacolare a tutto campo, giunse in finale dove dovette arrendersi allo strapotere dei padroni di casa, che si imposero per 2-1 in finale.

Dopo questo evento, la carriera di Cruijff, il “Profeta del goal”, iniziò lentamente a declinare. Il fisico non era già più quello di qualche anno prima logorato com’era da anni e anni di calcio totale: un metodo di gioco sì redditizio ma anche tremendamente dispendioso e adatto a un fisico molto giovane. Così, Johannes, a trentun anni decise di dare l’addio al calcio giocato. E qui si chiuse la carriera del “vero” Cruijff. Qualche anno dopo, nel 1979, il “Profeta del goal” decise di tornare sui campi da gioco e militò in diverse squadre americane, per poi fare ritorno in Spagna al Levante. Quello però non era più il giocatore straordinario che tutti avevano ammirato qualche anno prima e che tutti, nonostante fosse evidente il contrario cercavano ancora di ricordare.

La carriera di Cruijff allora virò decisamente e, una volta appesi gli scarpini al chiodo (una seconda volta), diventò allenatore del “suo” Barcellona. Tornato nel Camp Nou che tanto lo aveva ammirato da giocatore, l’olandese fu uno dei pochissimi uomini di calcio a vincere la Coppa dei Campioni sia da giocatore (come abbiamo già visto, con l’Ajax) che da allenatore. La vittoria degli spagnoli, purtroppo, arrivò contro la Sampdoria dei miracoli di mister Boskov, Vialli e Mancini.

Johannes Cruijff è stato un grande campione, emblema di un calcio rivoluzionario che ha stupito il mondo con la sua luce abbagliante. A sottolineare la sua profonda incidenza nella cultura popolare, a Cruijff fu addirittura intitolato il nome di un planetoide. Quando dunque, durante le calde notti d’estate, osserviamo il cielo speranzosi, ricordiamo che il planetoide n. 14282 porta il suo nome. Si chiama Johannes Cruijff.



 

 

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