N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
iL
CIRCO NERO
La cronaca nera di
oggi
di Laura Novak
Lo
sdegno arriva solo dopo alcuni giorni, quando la
cronaca, la vera cronaca, lascia il posto all’attualità
sociale.
Il
limite, ormai, tra il dovere di informare e la macabra
attitudine all’invasione nel privato è sottilissimo, sta
scomparendo nel corso degli anni.
Non
voglio parlare in maniera approfondita di quei casi di
cronaca che nell’ultimo periodo hanno invaso le nostre
vite.
Ne
vorrei, in realtà, evidenziare il potere mediatico e, di
conseguenza, lo strapotere sociale.
Delle
vittime dalle righe dei giornali sappiamo ormai
qualsiasi cosa, le abitudini quotidiane anche più
semplici e private, i momenti importanti delle loro
vite, i passaggi di dolore e non. E forse è troppo.
Il
dovere della cronaca sarebbero quello essenzialmente di
informare, rendere pubblico e visibile una vicenda
personale a chiunque abbia interesse a leggerne.
Il
giornalismo etico, a mio avviso, non potrebbe sussistere
nella società di oggi, come non è mai esistito in quella
di ieri.
Se
vogliamo parlare di etica, non ci possiamo certo
occupare di cronaca nera.
In
maniera anche spregievole la notizia deve essere
violentata, sfilacciata e rilevata in ogni singolo
particolare, fino ad esaurirla di significato e di
eventi.
Solo
in quel momento si abbandona.
Ma per
ogni analisi, per creare una teoria con antitesi, tesi e
sintesi esistono luoghi, momenti e relatori opportuni.
Nei
casi di cronaca si parla di vittime che all’improvviso
diventano corpi del reato; si parla di oggetti di uso
comune che in un orribile secondo vengono tramutati in
armi per uccidere; si parla dei possibili colpevoli come
marchi di fabbrica.
Si
continua a discutere di reiterazioni possibili di
delitti atroci, di analisi psicologiche approfondite di
uomini e donne, chiusi, invece, nella loro follia.
Le
parole avanzano, diventano un mare incontrollabile e
alla fine ci inondano.
Ed è
qui che inizia il passaggio. Gli eventi cambiano forma e
dimensione, assumono importanza individuale per il
lettore, e il vouyerismo prende il sopravvento nello
spirito macchiato dall’ipocrisia dello spettatore medio.
In
questo strano meccanismo di metamorfosi si prova a
ricostruire in maniera minuziosa e visiva crimini
lasciati alla notte, che quella stessa notte avrebbe
dovuto inghiottire; si buttano sulle prime pagine delle
riviste fotografie oscene di luoghi o indumenti intrisi
di sangue… ci si insinua oltre il limite del
rispettabile.
E poi
la lingua di satana travolge chiunque...
E
dall’evento e dal dovere di cronaca, che ripeto dovrebbe
essere ampio, ma secco e sterile, si passa
all’attualità.
I
protagonisti vengono immersi nella aurea di esempi di
fette di generazioni misantrope e degenerate. L’evento
individuale diventa un evento collettivo, di una
comunità deviata.
L’evento di cronaca diventa un evento mediatico.
Il
tutto viene condito in salsa melodramma familiare e
fornito al pasto degli spettatori.
Il
limite è ormai ampiamente superato.
Si
susseguono su divani di pelle firmati uomini e donne
dalle professioni mediocramente televisive, politici,
prelati, sondaggisti e opinionisti senza un rispettabile
curriculum professionale.
Gli
argomenti diventano monotoni, le indagini autorizzate
vengono appannate dalle supposizioni di speculatori.
Tutto
diventa un grandissimo show dei media, colpi di scena
inclusi.
Ma al
grottesco non c’è mai un fondo.
E dopo
aver annientato tutto quello che di personale c’era in
un vicenda prima di tutto umana, ha il via il processo.
Un processo lungo e delicato ai luoghi, alle abitudini
della gente che li popola, alle generazioni a cui
appartengono i protagonisti.
Loro
malgrado diventano dei simboli.
Le
vittime diventano pietosi esempi del circo di
informazioni fittizie e manomesse dei mass media.
Diventano vecchie fotografie, sorrisi lontani, occhi
vuoti.
I
carnefici, invece, accolgono l’abito del simbolo del
male, della ferocia e, molto spesso, vengono votati a
capi espiatori della malattia di una società intera.
Le
accuse si moltiplicano. Chi accusa la famiglia moderna
di abbandono dei doveri genitoriali, chi la “società”
dei consumi di massa, della individualità spezzate per
una comunità compiacente ai bisogni collettivi, e chi
infine all’immancabile male della droga.
I
pregiudizi in campo diventano innumerevoli, mischiati e
amalgamati tra loro. Chi, infine, arriva alla xenofobia
isterica.
La
miscela è esplosiva, e non c’è rimedio una volta
attivata la macchina.
E
nella metamorfosi totale il trucco è completo. Niente è
come prima.
La
vita delle persone coinvolte, o in minima parte sfiorate
dal caso, cambiano.
Lo
sfruttamento delle luci della ribalta diventa una
conseguenza torbida alla storia, adottata da persone
torbide. Di certo è un atteggiamento personale, ma di
certo il più esecrabile.
Le
storie delle vittime vengono infine romanzate, rese
veicolo, a volte ridicolo, di storie di appendice senza
verità.
Riviste, quotidiani, programmi tv pomeridiani, programmi
assolutamente vuoti che abbinano, nell’arco di un’ora di
trasmissione, intrattenimento demenziale a momenti di
finto giornalismo serioso.
Il
giornalismo è altro, ed compiuto da professionisti nei
luoghi opportuni e sugli spazi inerenti alla realtà che
raccontano.
Non
possono esistere cronache di mezzo, un po’ rosa e un po’
nera, ipocrisia e impreparazione mediatica non possono
continuare ad affollare la mente del lettore o
spettatore che sia.
Il
mezzo usato , la stampa o la televisione o il cinema, o
persino la radio, non può essere strumentalizzato senza
pudore, allontanando la consapevolezza che quello stesso
mezzo ha una notevole potenza d’impatto sui singoli
individui.
Tra
starlette televisive, testimoni, esperti e non, in uno
studio televisivo si consuma il pasto finale del
delitto, di cui rimangono solo i tribunali ripieni di
telecamere e morbosi e le nuove mete scelte dal turista
del macabro, i luoghi del sangue....
E in
questo modo si muore una seconda volta… |