N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
Dalla Grande Alleanza alla Guerra Fredda
parte iii - CROLLO SOVIETICO E LEADERSHIP AMERICANA
di Claudio Li Gotti
Il
1989
rappresentò
l’annus
horribilis
per
l’Unione
Sovietica
e
per
il
mondo
comunista
intero.
L’ondata
rivoluzionaria
che
colpì
i
paesi
del
blocco
orientale
nell’autunno
di
quell’anno,
esattamente
vent’anni
fa,
nel
giro
di
pochi
mesi
avrebbe
provocato
il
crollo
dei
regimi
comunisti
in
Polonia,
Cecoslovacchia,
Ungheria,
Bulgaria
e
Romania
(dove,
addirittura,
sarebbe
stato
giustiziato
il
suo
capo
di
Stato,
il
dittatore
Ceausescu),
nonché
la
caduta
del
muro
di
Berlino
e la
riunificazione
delle
due
Germanie.
Due
anni
più
tardi
sarebbe
avvenuto
il
definitivo
collasso
dell’Unione
Sovietica:
dopo
aver
riconosciuto
l’indipendenza
ai
tre
paesi
baltici
(Lituania,
Lettonia
ed
Estonia)
e
dopo
il
fallito
tentativo
di
colpo
di
stato
ai
danni
del
leader
Gorbaciov,
il
26
dicembre
1991
all’ex
potenza
sovietica
non
rimase
altra
scelta
che
sciogliersi
definitivamente.
Il
crollo
del
più
grande
regime
comunista
al
mondo
mise
la
parola
fine
alla
guerra
fredda
e
segnava
l’inizio
di
una
nuova
era,
caratterizzata
dal
ruolo
egemonico
degli
Stati
Uniti
negli
affari
politici
ed
economici
internazionali.
I
prodromi
della
crisi
del
sistema
comunista
andrebbero
ricercati
nel
lento
declino
economico
dei
paesi
rientranti
nel
blocco
sovietico
(URSS
compresa),
iniziato
già
nei
decenni
precedenti
e
pertanto,
in
questa
sede,
dobbiamo
fare
un
notevole
passo
indietro
nel
tempo.
Se è
vero
che,
nell’ambito
della
guerra
fredda,
USA
ed
URSS
vestivano
lo
stesso
ruolo
di
leader
dei
rispettivi
blocchi
contrapposti
e,
sul
piano
militare,
si
trovavano
in
una
condizione
di
sostanziale
parità,
in
campo
economico
la
superiorità
della
potenza
statunitense
fu
da
subito
schiacciante
ed
assunse
un
ruolo
predominante
nell’ordine
economico
mondiale.
Del
resto,
già
gli
accordi
scaturiti
dalla
conferenza
di
Bretton
Woods
del
luglio
1944,
voluta
fortemente
dal
presidente
americano
Roosevelt
allo
scopo
di
ristabilire
un
certo
ordine
nel
sistema
economico
internazionale,
sanciva
una
forte
prevalenza
degli
Stati
Uniti
attraverso
il
passaggio
al
Gold
Exchange
Standard,
cioè
ad
un
sistema
monetario
dove
la
convertibilità
dei
biglietti
non
sarebbe
avvenuta
più
in
oro
ma
bensì
contro
dollari;
pertanto,
il
dollaro
statunitense
veniva
posto
al
centro
del
sistema
degli
scambi
come
unica
moneta
con
la
quale
effettuare
i
pagamenti
internazionali.
Al
fine
di
incoraggiare
la
cooperazione
monetaria
ed
aiutare
i
paesi
più
colpiti
dagli
eventi
bellici
nella
loro
ricostruzione,
vennero
create
due
importanti
istituzioni:
il
Fondo
Monetario
Internazionale
e la
Banca
Mondiale,
entrambe
con
sede
a
Washington
e
sotto
il
dominio
degli
USA.
A
completare
l’opera
di
costruzione
del
nuovo
ordine
internazionale,
nel
1947
venne
istituito
il
GATT
(più
tardi
confluito
nella
WTO,
l’organizzazione
mondiale
del
commercio),
un
accordo
generale
sulle
tariffe
commerciali
al
fine
di
liberalizzare
gli
scambi
multilaterali
e
ridurre
progressivamente
le
barriere
doganali.
Nello
stesso
anno
si
verificava
un
episodio
che,
a
detta
di
molti
studiosi,
avrebbe
rappresentato
una
sorta
di
riconoscimento
formale
della
guerra
fredda
e
che
nasceva
dall’inattesa
dichiarazione
del
governo
britannico
di
non
poter
più
sostenere
i
costi
dell’assistenza
economica
alla
Grecia
ed
alla
Turchia.
Dinanzi
al
Congresso
americano,
riunito
in
sessione
congiunta,
il
12
marzo
1947
il
Presidente
Truman
annunciava
l'iniziativa
di
un
programma
di
aiuti
per
un
totale
di
400
milioni
di
dollari
in
favore
dei
due
paesi,
giustificando
questo
provvedimento
con
un
accorato
discorso
che
sarebbe
passato
alla
storia
con
il
nome
di
Dottrina
Truman.
Con
essa
il
Presidente
sottolineava
l'intenzione
degli
Stati
Uniti
di
intervenire
a
sostegno
di
tutte
quelle
popolazioni
libere
che
resistevano
ai
tentativi
di
conquista
da
parte
di
minoranze
armate
o di
pressioni
esterne.
Il
Piano
Marshall,
operativo
dall’aprile
del
1948,
fu
una
conferma
dell’avvenuta
presa
di
coscienza
da
parte
degli
americani
di
una
leadership
geopolitica
ed
economica
nello
scenario
mondiale
che
andava
delineandosi..
Sotto
la
guida
di
Truman,
l’allora
Segretario
di
Stato
americano
George
C.
Marshall
aveva
illustrato
lo
stato
di
estremo
disagio
in
cui
versavano
le
economie
dei
paesi
europei
e
convinse
il
Congresso
degli
USA
ad
adottare
l’ambizioso
piano
di
aiuti
economici,
l’European
Recovery
Program
(ERP,
poi
ribattezzato
Piano
Marshall),
il
cui
scopo
era
quello
di
avviare
la
ricostruzione
dei
disastrati
paesi
europei.
Nell’arco
di
quattro
anni
furono
erogati
circa
tredici
miliardi
di
dollari
a
favore
soprattutto
dei
principali
alleati
occidentali
(Francia
e
Gran
Bretagna),
mentre
alla
Germania,
il
paese
uscito
più
distrutto
dalla
guerra,
andò
una
parte
meno
cospicua
di
aiuti.
Anche
l’Italia
beneficiò
degli
stanziamenti
americani
nel
suo
processo
di
ricostruzione
politica
ed
economica
post-fascista.
I
fondi
erogati
dall’ERP
permisero
al
nostro
paese
di
raggiungere
il
pareggio
del
bilancio
statale
e la
stabilità
monetaria
oltre
che
determinare
un
risveglio
dell’attività
produttiva;
questi
furono
i
punti
chiave
che
avrebbero
portato,
negli
anni
’50,
al
cosiddetto
“miracolo
economico”
italiano,
cioè
allo
straordinario
sviluppo
della
nostra
economia
i
cui
ritmi
di
crescita
sarebbero
stati
tra
i
più
alti
del
mondo
(secondi
solo
alla
Germania
Federale).
Gli
aiuti
scaturiti
dal
piano
Marshall
furono
dettati
più
da
ragioni
strategiche
che
economiche;
gli
americani
miravano
infatti
a
portare
dalla
loro
parte
tutti
i
paesi
dell’Europa
occidentale,
allo
scopo
di
arrestare
l’avanzata
comunista.
Di
qui
la
decisione
di
assisterli
economicamente
e di
garantire
loro
la
protezione
militare
contro
un
eventuale
attacco
dei
sovietici.
Per
questi
ultimi,
il
piano
rappresentò
una
vera
trappola
perché
costrinse
Stalin
a
proibire
ai
paesi
sotto
l’influenza
sovietica
di
accettare
gli
aiuti
americani
e,
in
pratica,
a
costruire
quella
“cortina
di
ferro”
che
avrebbe
diviso
l’Europa
in
due.
E’
giusto
comunque
ribadire
che
gli
aiuti
americani
contribuirono
realmente
a
risollevare
le
economie
dei
paesi
dell’occidente
europeo
e,
indirettamente,
favorirono
l’adozione
di
scelte
di
cooperazione
tra
questi
paesi
(in
primo
luogo
Belgio,
Francia,
Germania,
Italia,
Lussemburgo
e
Olanda)
che
avrebbero
portato
a
quella
integrazione
economica,
monetaria
ed
anche
politica
tutt’ora
in
corso.
La
sfida
dell’Unione
Sovietica
in
campo
economico
fu,
invece,
basata
più
sul
conflitto
ideologico
-
politico
che
sull’effettiva
competizione.
La
presunta
infallibilità
storica
della
teoria
marxista,
nel
ritenere
che
il
capitalismo
era
destinato
a
crollare
e il
comunismo
a
imporsi
e a
trionfare,
non
aveva
trovato
riscontro
nella
realtà.
Gli
standard
di
vita
negli
Stati
del
blocco
orientale
erano
in
continuo
declino,
specialmente
se
paragonati
al
benessere
visibile
nella
Germania
Ovest
(e
di
cui
i
tedeschi
dall’altra
parte
del
muro
cominciavano
a
rendersene
conto)
e
nel
resto
dei
paesi
dell’Europa
occidentale.
L’economia
dirigistica
imposta
dal
regime
sovietico
aveva
perso
da
subito
la
sfida
contro
il
capitalismo
americano,
più
ricco
e
tecnologicamente
avanzato
ed
ormai
al
centro
di
un’economia
mondiale
di
mercato
che
cominciava
ad
espandersi
anche
a
quei
paesi
del
Terzo
Mondo
in
forte
crescita.
Con
il
passare
dei
decenni,
le
economie
chiuse
e
pianificate
dell’Est
europeo
risultavano
sempre
più
arretrate
in
quasi
tutti
gli
indici
economici
che
rilevavano
il
livello
di
prosperità.
A
questo
si
aggiungevano
gli
ingenti
costi
sostenuti
per
permettere
all’URSS
la
parità
nel
campo
della
difesa
militare,
a
fronte
di
un
PIL
nettamente
inferiore
rispetto
alla
potenza
americana.
I
capi
del
Cremlino
erano
ben
consci
del
problema
ed
intervennero
con
l’uso
della
forza
militare
laddove
necessario,
per
salvare
la
facciata
di
un
sistema
comunista
che
doveva
mantenersi
infallibile
e
tutelare
il
monopolio
del
Partito
qualora
questo
fosse
stato
minacciato
in
ogni
paese
appartenente
al
blocco
sovietico;
si
veda
l’intervento
dell’Armata
Rossa
in
Ungheria
nel
1956,
per
ripristinare
il
regime
filo-sovietico
o
l’invasione
della
Cecoslovacchia
nel
1968,
per
stroncare
un
tentativo
di
liberalizzazione
noto
al
mondo
intero
come
“Primavera
di
Praga”.
La
crisi
del
sistema
comunista
non
fu
dunque
solo
economica
ma,
altresì,
politica
e
sociale.
Riallacciandomi
alla
fine
del
precedente
capitolo
(v.
“Verso
la
distensione”,
ottobre
2009),
una
serie
di
eventi
fra
loro
concatenati
avrebbe
spazzato
via
il
comunismo
nel
giro
di
pochi
anni
e
sancito
la
fine
della
guerra
fredda:
l’elezione
nel
1978
del
primo
Papa
di
origine
slava,
il
polacco
Karol
Wojtyla,
che
fu
accolto
festosamente
nella
sua
Cracovia
da
oltre
due
milioni
di
persone;
la
nascita
nel
1980
del
primo
sindacato
indipendente
(Solidarnosc)
in
un
paese
comunista
(Polonia)
ad
opera
di
un
giovane
operaio
di
nome
Lech
Walesa,
che
nove
anni
più
tardi
avrebbe
stravinto
le
elezioni
politiche;
l’apertura
al
capitalismo
da
parte
del
nuovo
leader
della
Cina
comunista,
Deng,
che
avrebbe
creato
una
delle
maggiori
economie
del
mondo;
i
tentativi
di
liberalizzazione
politica
in
Ungheria;
questi
furono
tutti
dei
sintomi
del
profondo
malcontento
e
della
voglia
di
cambiamento
che
ormai
erano
più
che
evidenti
all’interno
del
blocco
orientale.
Il
colpo
di
grazia
fu
dato
proprio
dal
nuovo
leader
sovietico,
quel
Gorbaciov
che
con
la
sua
Perestrojka
avrebbe
dichiarato
apertamente
delle
carenze
e
degli
errori
del
proprio
paese
e
riconosciuto
i
fallimenti
dell’ideologia
comunista.
La
fine
del
bipolarismo
non
fu
tanto
una
vittoria
degli
USA
sugli
URSS
quanto
più
invece
una
sconfitta
dell’intero
impianto
ideologico
comunista,
sia
politico
che
economico,
che
avrebbe
portato
alla
completa
dissoluzione
del
suo
principale
artefice.
Riferimenti
bibliografici
terza
parte:
AA.VV.,
Storia
dell’economia
mondiale,
Monduzzi
1996
Aga
Rossi,
E.
Gli
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e le
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fredda,
Il
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1984
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Il
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Detti,
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G.
Bipolarismo
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guerra
fredda
in
Storia
Contemporanea,
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II –
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2002
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Cinquant’anni
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paura
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F.
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Riferimenti
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Mulino
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globale,
Laterza
1999
Bellabarba,
M. –
Cerbone,
A.
“Il
trattato
ABM.
Il
rapporto
tra
le
due
superpotenze
dall'equilibrio
del
terrore
allo
scudo
spaziale
di
Bush”,
Pubblicazioni
del
Centro
italiano
Studi
per
la
pace,
settembre
2002
Cufaro
Petroni,
N.
''Dopo
la
guerra
impossibile'',
in
Sapere,
n.
5/1995
Detti,
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Gozzini,
G.
Bipolarismo
e
guerra
fredda
in
Storia
Contemporanea,
vol.
II –
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Novecento,
Mondadori
2002
Di
Nolfo,
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Storia
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relazioni
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J.
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secolo
breve.
1914-1991:
l’era
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cataclismi,
cap.
VIII
“La
Guerra
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pp.
267-302,
Rizzoli
1999
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The
sources
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Soviet
conduct
in
Foreign
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La
guerra
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paura
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Storia
Contemporanea,
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1997
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Yalta
Conference,
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Policy
:
Basic
Documents,
1941-49.
Prepared
at
the
request
of
the
Senate
Committee
on
Foreign
Relations,
by
the
Staff
of
the
Committee
and
the
Department
of
State.
Washington,
DC:
Government
Printing
Office,
1950
(avalon.law.yale.edu/wwii/yalta.asp)