medievale
A PROPOSITO DI CROCIATE
QUANDO L'OCCIDENTE
DICHIARÒ GUERRA ALL'ORIENTE
di
Francesco Biscardi
Cristianesimo contro islam, guerra
crociata contro jihàd, religioni
che si affrontano in una lotta
sanguinosa per il bene e per il male:
questo oggi è il retaggio ideologico
delle crociate nell’immaginario
collettivo. Tuttavia, la plurisecolare
storia delle crociate è assai complessa,
e va ben al di là della semplice
contrapposizione fra due credi.
Anzi, i
circa due secoli di conflitti che si suole far
rientrare nella categoria storiografica di
“crociate” (dall’appello di Urbano II a Clermont del
1095, alla caduta dell’ultimo avamposto cristiano in
Terrasanta, San Giovanni d’Acri, del 1291) sono
stati caratterizzati anche da eventi molto
divergenti fra loro e dal grande lascito storico:
basti pensare al sacco di Costantinopoli del 1204,
evento che cassò ogni possibile speranza di riunire
la Cristianità greca con quella latina, o alla
crociata indetta contro gli Albigesi, episodio che
inaugurò uno scontro in grado di portare gli orrori
della guerra contro l’infedele nel cuore dell’Europa
cattolica e di generare atrocità che il vecchio
continente non vedeva dai tempi delle invasioni
barbariche.
Sorvolando sugli eventi storico-politici, intendo
soffermarmi a riflettere sul nesso crociata-guerra
santa e su una interpretazione storiografica,
avanzata fra le innumerevoli, che ha visto le
crociate come antesignane dell’integralismo
islamico.
Innanzitutto è utile ribadire un concetto: la fede
era indubbiamente al centro delle motivazioni dei
crociati e, da una prospettiva moderna, le
degenerazioni del fervore religioso sono spesso
sinonimo di fanatismo delle minoranze. Tuttavia, non
dobbiamo incorrere nell’errore di assimilare la
nostra civiltà a quella di un millennio fa: quello
medievale era un mondo permeato di religiosità, in
cui la fede rappresentava la guida e la regola di
condotta. Per la gente comune, affrontare e
annientare gli “infedeli”, i nemici di Dio, era un
modo per esorcizzare la paura dell’aldilà e per
evitare i tormenti della dannazione eterna che
attendeva gli empi. Ecco perché tutti vi si
dedicarono: a partire dai re e dagli imperatori fino
ai gradini più bassi della stratificazione sociale;
gli stessi uomini di Chiesa arrivarono a impugnare
la spada in nome di Dio.
Possono, dunque, le crociate essere definite “guerre
sante”? Nell’universo ideologico dell’epoca, a mio
parere, si, come si deduce già dal celebre grido
deus vult (“Dio lo vuole”), ricorrente nella
retorica ecclesiastica con lo scopo di incitare i
cristiani a combattere contro l’infedele islamico,
sebbene l’intento primario non fosse tanto quello di
muovere una guerra all’islam, bensì quello di
riconquistare una città su cui i cristiani
ritenevano di avere più diritti dei musulmani:
Gerusalemme e, con essa, la Terrasanta.
Possiamo dire che il primo obiettivo era quello
della dilatatio christianitatis (espansione
della Cristianità). Lo stesso Urbano II a Clermont
del 1095 parlò di Iter Hierosolimitanum, di
viaggio, di pellegrinaggio, di passaggio verso
Gerusalemme, non di “crociata” (termine coniato nel
XVI secolo). L’eccesso di pathos religioso fu
una conseguenza dei proseliti dei predicatori, i
quali seppero far leva sulla fede che dominava
sovrana in Occidente.
Così
prese compiutamente corpo il concetto di guerra
santa, in parte derivante da quello di “guerra
giusta”, teorizzato da Sant’Agostino, il quale aveva
riflettuto su come Dio avesse voluto alcuni
conflitti per la salvezza del suo popolo (come le
“guerre dell’eterno” per castigare i Cananei, empi o
idolatri, e per realizzare la promessa fatta ad
Abramo di concedere alla sua posterità la terra di
Canaan).
È
allora giusto pensare che le crociate sono state
fondamentali nel creare quel clima di odio e di
ostilità tale da spingere l’islam all’intolleranza,
fino a essere considerate antesignane di quella
piaga della società contemporanea che è
l’integralismo islamico?
La
risposta, secondo me, è no. L’integralismo islamico
è un sentimento estremista che sostiene
l’applicazione rigida e totale della legge islamica
e che identifica nell’Occidente la fonte di ogni
male: un’ideologia che ha poco a che vedere con la
storia delle crociate. Come, del resto, è
assolutamente improprio attribuire all’intera Europa
cristiana la piena responsabilità dei plurisecolari
conflitti con l’Oriente a fede musulmana. Non
dimentichiamoci che erano stati gli islamici i primi
ad aver avviato, con i califfi succeduti a Maometto,
una delle più mirabolanti azioni di conquista della
storia: verso Est in direzione dell’Eufrate, verso
Nord contro l’Impero bizantino, e verso Ovest
attraverso tutta l’Africa settentrionale fino alla
Spagna visigota.
Contro
le azioni di conquista islamiche, la Cristianità
venne chiamata a correre ai ripari: le crociate,
sotto questo punto di vista possono essere
interpretate come una guerra offensiva-difensiva da
parte di un Occidente sempre più debole al suo
interno, dopo lo smembramento dell’Impero
carolingio, la frattura fra Roma e Bisanzio, resa
irreversibile dopo il Grande Scisma, il conflitto
fra potere temporale e potere spirituale (la “lotta
per le investiture”, cominciata con Gregorio VII ed
Enrico IV, era ancora in corso) e la decadenza
dell’Impero bizantino.
Anzi, è
giusto precisare una cosa: fino alle crociate, il
concetto di guerra santa non era proprio del lessico
cristiano, mentre, di contro, lo stesso concetto era
presente nel mondo musulmano: fu Maometto a
professare e, i suoi successori, a codificare nel
Corano la jihàd, la lotta armata contro gli
infedeli.
Forse
le radici dell’integralismo islamico vanno più
ricercate nel messaggio profetico maomettano che non
nelle crociate: il Dio islamico è un Dio
onnipossente, a cui l’uomo, sua creatura e suo
servo, deve sottostare se vuole accedere alla
beatitudine. La stessa radice slm, propria di
islam, indica l’incondizionato abbandono a Dio, come
muslim significa “sottomesso alla volontà di
Dio”.
Mentre
quello dei cristiani è un Dio che ripudia l’uso
della violenza, quello di Maometto è un Dio
vendicativo, terribile nella sua collera, che
accetta il sacrificio dei suoi fedeli in suo nome
(la ricompensa eterna spetta a chi muore per Allah).
Inoltre, già prima di Clermont esisteva una
situazione di guerra endemica combattuta da gruppi
spontanei cristiani (leghe mercantili, bande di
cavalieri, città marinare) contro gli interessi di
alcuni potentati islamici nel Mediterraneo e le
continue scorribande dei Saraceni, che nell’846
erano arrivati a saccheggiare persino Roma, il cuore
della Cristianità. Per questo motivo le crociate non
possono essere considerate la causa originaria del
conflitto con il mondo islamico: al massimo ne
possono essere uno degli esiti.
Tuttavia, troppi sono i lati negativi delle crociate
e tali da renderle una delle peggiori macchie nere
nella storia della Chiesa: dall’uso politico
dell’“arma crociata” da parte del papato contro i
suoi nemici interni (pensiamo all’eresia catara o
all’imperatore Federico II, contro i quali furono
bandite delle “crociate”, in quanto “nemici” di
Cristo), al bagno di sangue che seguì alla conquista
di Gerusalemme del 1099, dall’acutizzarsi
dell’antisemitismo, alla presenza degli
ecclesiastici nei campi di battaglia, o al massacro
degli Albigesi in Provenza; l’elenco potrebbe
continuare all’infinito.
Su un
punto comune convergono integralismo islamico e
crociate: sono due esempi di conflitti ideologici
dove il carattere sacro si mescola a quello profano
con un esito: morti, violenze e distruzioni.
Riferimenti bibliografici:
Phillips J., Sacri guerrieri: la straordinaria
storia delle crociate, Laterza, Bari 2013.
Richard J., La grande storia delle crociate,
Newton Compton, Roma 1999.
Flori
J., La guerra santa. La formazione dell’idea di
crociata nell’Occidente cristiano, Il Mulino,
Bologna 2009. |