LA CROCIATA DI FEDERICO II
Un’alternativa
alla “Guerra Santa”
di Lucio Orecchioni
Fra tutti gli eventi accaduti nei
circa mille anni dell’Età di Mezzo,
le Crociate sono quelli sicuramente
più conosciuti, mitizzati e
rielaborati fino ai giorni nostri
anche negli agoni politici. Una
lettura molto superficiale di questo
fenomeno porta spesso a immaginare
uno scontro di civiltà tra cristiani
e musulmani, con il rischio –
purtroppo concreto – di incoraggiare
movimenti suprematisti e attentati
terroristici da entrambe le parti.
In effetti, è difficile non pensare
al Medioevo senza associarlo
all’immagine di un cavaliere
cruce signatus che, da solo o al
seguito di altri compagni, decide di
raggiungere Gerusalemme per
liberarla dai malvagi Saraceni:
persino nel Cinquecento, quando
ormai l’epopea della cavalleria è
solo un ricordo, autori quali
Ariosto e Tasso riprendono tali
tematiche molto care agli ambienti
cortigiani.
Anche nell’attuale cultura pop
occidentale permane questa immagine
prettamente romantica dell’eroe
crociato senza macchia e senza
paura, a parte alcune eccezioni,
come il film Kingdom of Heaven
(uscito in Italia come Le
Crociate) di Rydley Scott:
l’opera cinematografica mostra, pur
con le dovute ricostruzioni e
semplificazioni, le contraddizioni e
la mancanza di scrupoli che
contraddistinguevano alcuni
condottieri cristiani; non a caso,
esso esce nelle sale qualche anno
dopo il terribile attentato alle
Torri Gemelle a New York dell’11
settembre, evento che portò l’allora
Presidente George W. Bush Jr. a
dichiarare guerra all’Afghanistan e
all’Iraq, utilizzando un linguaggio
che legittimava l’idea di una
“guerra giusta”: i risultati di
questa tragica guerra li conosciamo
più che bene, e non sarà in questa
sede che li tratteremo.
Facendo un salto indietro di molti
secoli, le Crociate furono indette
ufficialmente nel 1095, durante il
Concilio di Clermont-Ferrand da papa
Urbano II, il quale intimò a buona
parte della nobiltà cristiana di
prendere le armi contro i Turchi
Selgiuchidi e recuperare la città
santa per eccellenza, Gerusalemme.
Furono molti a rispondere alla
chiamata: non solo i figli cadetti
di feudatari che, per motivi di
successione, non avevano ereditato
alcun pezzo di terra e spesso
indulgevano in attività poco lecite
per accaparrarsi un po’ di
ricchezze; ma anche popolani,
eremiti e monaci infervorati,
decisero di intraprendere questo
pellegrinaggio verso la Palestina;
l’eremita Pietro d’Amiens si mise a
capo della cosiddetta “crociata dei
poveri”, un movimento costituito
perlopiù da uomini di basso ceto,
male organizzati e per nulla
preparati al grande viaggio verso
l’Oriente; dopo un lungo peregrinare
costellato di massacri e violenze
nei confronti delle comunità
ebraiche tedesche, essi giunsero in
Terra Santa, per poi essere
trucidati dai Selgiuchidi.
La Prima Crociata era guidata dal
condottiero francese Goffredo di
Buglione, insieme ad altri cavalieri
del calibro di Boemondo d’Altavilla
e Raimondo IV di Tolosa; costoro,
partiti nell’agosto del 1096
seguendo itinerari diversi, si
congiunsero a Costantinopoli l’anno
successivo. Dopo una lunga serie di
battaglie e assedi di piazzeforti
quali Edessa e Antiochia, i crociati
arrivarono nel giugno 1099 davanti
alle mura di Gerusalemme. Questa fu
sottoposta a un lungo ed estenuante
assedio per entrambe le parti,
conclusosi tra il 13 e il 15 luglio:
prese d’assalto le estremità
meridionali e settentrionali della
città, i crociati vinsero la
resistenza dei difensori,
abbandonandosi a un cruento
massacro; secondo cronisti sia
musulmani che cristiani, anche le
donne e i bambini furono vittime
delle spade crociate.
Conquistata la città santa per
eccellenza, i principali condottieri
della spedizione diedero vita ai
cosiddetti “Stati Crociati”, o
“D’Oltremare”: il regno di
Gerusalemme, la contea di Edessa, di
Tripoli e il principato di
Antiochia. Tale sconvolgimento
geopolitico attirò un gran numero di
mercanti veneziani, pisani e
genovesi nei principali porti della
regione, contribuendo ad aprire o a
potenziare le rotte commerciali con
l’Oriente, da cui provenivano spezie
e ricchezze. Tuttavia pochi decenni
dopo avvenne la riscossa del mondo
musulmano: inizialmente diviso tra
principati litigiosi durante la
calata cristiana del 1096-1099, era
riuscito a opporre una scarsa
resistenza agli invasori.
Ma alla fine del 1144, Imad
al-DinZengi, signore di Aleppo e di
Mosul, cinse d’assedio la città di
Edessa, conquistandola e
saccheggiandola un mese dopo; la
notizia della caduta della capitale
di uno dei regni crociati raggiunse
Roma, provocando scoramento e sdegno
nel papa Eugenio III. Nella sua
bolla “Quantum praedecessores”
emessa il 1° dicembre 1146 rinfocolò
il ricordo delle glorie della
spedizione del 1096-1099, affermando
la necessità di un nuovo intervento
militare in Terrasanta da parte di
una nuova generazione di cavalieri.
Fu così che venne indetta la seconda
Crociata, destinata però a un
effimero successo; allo stesso modo
accadde per le successive
spedizioni: nel 1187 Gerusalemme
venne riconquistata dal sultano
ayyubbide Salah AdDin, fornendo il
pretesto migliore per indire un
terzo pellegrinaggio armato. Sebbene
vi avessero preso parte personaggi
di spicco quali Riccardo Cuor di
Leone e Federico I Barbarossa,
rispettivamente re d’Inghilterra e
Sacro Romano Imperatore, anche
questa crociata si risolse in un
nulla di fatto. Allo stesso modo
accadde per la quarta e la quinta
crociata: nel 1204 il doge di
Venezia Enrico Dandolo fece persino
deviare le truppe cruce signate
verso Costantinopoli,
saccheggiandola e conquistandola.
Fu nel 1227, nell’ambito della Sesta
Crociata, che qualcosa cambiò.
Indetta da papa Gregorio IX, a essa
partecipò Federico II Hohenstaufen,
nipote del Barbarossa e, come lui,
Sacro Romano Imperatore; figlio di
Enrico VI e di Costanza d’Altavilla,
il giovane Hohenstaufen era
cresciuto in una Palermo
multietnica, dominata dalla forte
presenza della cultura musulmana e
della lingua araba anche a corte,
frutto delle politiche di tolleranza
e di convivenza pacifica attuate dai
sovrani normanni (in particolare da
Ruggero II, suo nonno materno.)
A causa di impegni dovuti
all’amministrazione del Sacro Romano
Impero e della Sicilia (di cui lo
Svevo aveva conservato il titolo
regio) la partenza verso la
Terrasanta era stata più volte
rimandata, provocando un crescente
fastidio da parte dei papi; egli
stipulò il Trattato di San Germano,
secondo cui se non fosse partito
entro il 1227 avrebbe dovuto pagare
una consistente somma in denaro e
sarebbe stato scomunicato.
Alla fine Federico riuscì a
preparare la spedizione e a partire,
ma si ammalò ancor prima di
imbarcarsi; ciò provocò la reazione
furiosa di papa Gregorio IX, che lo
scomunicò. Tuttavia il primo, non
appena le sue condizioni di salute
migliorarono, si diresse ugualmente
verso la Terrasanta. Allora
Gerusalemme era ancora saldamente in
mano agli Ayyubidi, guidati dal
sultano al-Kamil, succeduto al padre
al-Adil, fratello del Saladino.
Al-Kamil, dopo le iniziali divisioni
interne seguite alla morte dello
zio, era riuscito a sconfiggere gli
odiati “franchi” (così le fonti
musulmane indicavano genericamente
gli invasori europei) a Damietta,
sul delta del Nilo, durante la
precedente crociata. Per cui
quest’ultima crociata avrebbe dovuto
vendicare l’ennesimo smacco subito
dai cristiani, nuovamente divisi e
sempre meno propensi a mettere da
parte le proprie divergenze per una
causa comune.
Una volta sbarcato a fine estate,
Federico non era certo un ospite
eccessivamente gradito: anche se era
Re di Gerusalemme, su di lui pesava
l’anatema della scomunica papale,
tanto che i Templari stessi si
rifiutarono di schierare le proprie
truppe a meno di un miglio dalle
sue.
D’altro canto, lo Stupor Mundi
intrattenne rapporti con colui che
avrebbe dovuto affrontare in
battaglia in nome di Dio: mediante
l’emiro Fakhr al-Din, che aveva
precedentemente visitato la corte
siciliana di Federico, questi e
al-Kamil iniziarono a scambiarsi
doni, discutere in via epistolare di
problemi di matematica e di
filosofia, fino a considerare la
possibilità di risolvere il
conflitto mediante la diplomazia.
In realtà tale via era già stata
tentata durante la Quinta Crociata
da San Francesco d’Assisi il quale,
giunto in Egitto presso al-Kamil,
gli aveva posto alcuni quesiti
d’argomento religioso, fino a
proporgli di convertirsi al
cristianesimo. Pur non essendo
riuscito nell’ultimo intento,
l’esito pacifico dell’incontro era
un chiaro segnale del carattere
molto più pragmatico del sovrano
ayyubide e della sua apertura verso
i suoi secolari avversari religiosi.
Anche Federico, cresciuto a stretto
contatto con la cultura islamica,
mostrava un notevole grado di
apertura verso quel mondo: egli si
vestiva e si comportava come un
saraceno nell’accampamento, bevendo
in più occasioni con i vari
ambasciatori e dignitari che il
sultano gli mandava, suscitando la
riprovazione e lo sconcerto del
patriarca di Gerusalemme.
Questa distensione dei rapporti
portò a un epilogo straordinario
della vicenda; per la prima volta da
più di un secolo, una spedizione
crociata si risolse attraverso un
trattato, senza che fosse versato
del sangue: il 18 febbraio 1229 si
stabilì che le città di Gerusalemme,
Betlemme, Nazareth (e altre località
palestinesi) passassero sotto il
controllo cristiano, in modo da
permettere il pellegrinaggio dei
fedeli, oltre che una pace decennale
tra le due parti.
Tuttavia tale evento suscitò
reazioni avverse sia tra i cristiani
che tra i musulmani. Cronisti e
uomini di fede criticarono
aspramente l’accordo, chi sostenendo
che si fosse concesso troppo, chi
invece che lo Svevo non avesse
riconsegnato tutti i luoghi santi e
avesse stretto un patto scellerato
con gli infedeli…
Lo stesso pontefice Gregorio IX, che
tanto aveva insistito che
l’Hohestaufen partisse per
Gerusalemme, era furibondo; egli non
solo non ritirò la scomunica, ma
complottava per organizzare
un’invasione del regno di Sicilia
mentre Federico era ancora assente.
Ma lo Svevo riuscì a tornare in
Italia prima che tale piano avesse
atto e, pur tentando di
riappacificarsi con il papa, i
rapporti continuarono a essere
altalenanti; negli anni seguenti
infatti l’imperatore dovette
combattere contro i Comuni riuniti
nella seconda Lega Lombarda, fatto
che lo allontanò ulteriormente dalle
grazie della Chiesa. Egli visse gli
ultimi anni della sua vita
scomunicato e ritenuto dal papa e
dagli ecclesiastici a lui fedeli
(tra cui Salimbene de Adam) il nuovo
Anticristo; una volta morto, tale
odio si rivolse verso i suoi
discendenti, che furono combattuti
con lo stesso fervore religioso
della crociata.
Nel frattempo, nei possedimenti
dell’Outremer, la risoluzione
pacifica attuata da Federico ebbe
una durata effimera: alla morte di
al-Kamil nel 1238, le ostilità tra
cristiani e musulmani si riaccesero
subito, vanificando qualsiasi futuro
tentativo di riconciliazione tra le
due fedi. Il 23 agosto 1244
Gerusalemme fu nuovamente teatro di
una carneficina di cristiani da
parte di truppe corasme, agli ordini
di al- Salih Ayyub, figlio del
precedente sultano.
A nulla valsero le ultime tre
spedizioni crociate, risoltesi tutte
in maniera fallimentare; nel corso
dei decenni i territori degli Stati
d’Oltremare si restrinsero sempre di
più, fino a quando nel 1291 cadde
anche Acri, l’ultima enclave
cristiana rimasta.
Questo odio nei confronti di
Federico aveva in realtà radici
profonde. Non derivava soltanto dal
suo rapporto insolito con gli
ambienti e la cultura islamica, ma
anche dal suo atteggiamento nei
confronti del papa, ritenuto
sprezzante e prevaricatore. Così
come suo nonno Federico Barbarossa,
egli in quanto imperatore tentò di
far valere la propria sovranità sui
Comuni italiani, in particolare
quelli del Nord. Ma a sua volta
anche la Chiesa, a partire da
Innocenzo III (che era stato tutore
del giovane Svevo), voleva
esercitare quel potere temporale sui
domini e le città della Penisola,
che un tempo erano de facto
governate dal titolare del Sacro
Romano Impero; questo braccio di
ferro tra Chiesa e Impero si inasprì
sempre di più, dal momento che sia
Federico II che i papi che si
succedettero non avevano intenzione
di cedere terreno in alcun modo,
inalberandosi sulle proprie
posizioni.
Sicuramente la figura di Federico II
è assai complessa, difficile da
descrivere in maniera univoca. Nel
corso del tempo numerosi studiosi
hanno provato a porre l’attenzione
su un determinato aspetto di questo
sovrano, una volta autoritario, una
volta amante delle scienze naturali
e dell’esoterismo, una volta laico
e, in un certo senso, più “moderno”
rispetto ai suoi contemporanei.
I suoi rapporti ambivalenti con il
mondo islamico, nonché il suo
desiderio di comunicare con i suoi
filosofi e studiosi, ci mostra un
sovrano medievale molto aperto e
tollerante nei confronti delle altre
culture. È anche vero che lo stesso
Federico, pochi anni prima, aveva
sedato nel sangue una serie di
rivolte di ribelli islamici in
Sicilia, deportando i sopravvissuti
in altre aree del regno in modo che
non potessero nuocere.
Si potrebbe dire che l’Hohenstaufen
ebbe un atteggiamento molto
pragmatico nei confronti della
religione musulmana, ereditato
sicuramente dal passato normanno
della Sicilia: molti suoi
contemporanei criticarono aspramente
questa tolleranza nei confronti di
un nemico secolare, la cui lotta
aveva spesso raggiunto toni
escatologici ed episodi di una
violenza indicibile.
Il merito di Federico II, insieme a
Francesco d’Assisi, è stato quello
di dimostrare che c’era sempre
un’alternativa alla guerra, che si
poteva trovare il dialogo tra due
mondi apparentemente inconciliabili.
Questa lezione dovrebbe essere
valida anche adesso, a distanza di
secoli.
Riferimenti bibliografici: