N. 65 - Maggio 2013
(XCVI)
la crociata dei fanciulli
un viaggio senza ritorno - parte V
di Michele Claudio D. Masciopinto
Nel
Medioevo,
però,
la
vita
viene
divisa
in
quattro
o
sei
fasi.
Addirittura,
nel
Glossarium
del
Du
Cange,
troviamo
questa
definizione
di
puer:
“Uomo
di
condizione
servile
di
qualsivoglia
età,
suddito”.
In
base
a
ciò,
gli
studiosi
Philippe
Ariès
e
George
Duby
hanno
indagato
e
approfondito
questa
differenza.
Secondo
l’Ariès,
le
età
della
vita
nel
Medioevo
corrispondevano,
oltre
che
a
tappe
biologiche,
anche
a
funzioni
sociali:
il
termine
puer,
quindi,
avrebbe
designato
uno
stato
sociale
di
coloro
che
erano
in
stato
di
dipendenza
o
servitù.
Riguardo
ciò,
il
Duby
ritiene
che
quest’espressione
fosse
applicata
in
campagna
ai
lavoratori
e ai
salariati,
in
particolare
ai
figli
più
giovani
che
erano
esclusi
dall’eredità
paterna
e
dovevano
guadagnarsi
da
vivere.
Infatti,
già
nei
secoli
VI e
VII,
per
indicare
una
personal
libera
di
umile
condizione
al
servizio
di
un
potente,
si
usavano
i
termini
vassus
e
puer,
di
origine
servile.
Ancora
oggi
si è
conservato
un
uso
simile:
pensiamo
all’accezione
dell’italiano
“ragazzo”
(per
esempio:”ragazzo
di
bottega”),
del
francese
“garçon”,
dell’inglese
“boy”.
Perciò,
grazie
a
una
più
attenta
analisi
delle
fonti,
il
concetto
di
“crociata
dei
bambini”
è
stato
ridimensionato
e
addirittura
messo
in
discussione;
un
esempio
di
estremi
ipercritici
è
fornito
dalle
tesi
dello
studioso
Peter
Raedts,
che
sembra
voler
cancellare
la
componente
infantile
della
crociata,
e
spostare
il
termine
puer
totalmente
nel
suo
significato
sociologico.
In
tutto
ciò
c’è
sicuramente
del
vero,
ma
Readts
si è
spinto
troppo
in
avanti;
del
resto,
le
sue
stesse
conclusioni
non
portano
a
una
spiegazione
del
fenomeno
sotto
un
profilo
solo
economico-sociale.
Ha
ragione,
infatti,
chi
sostiene
che
“i
contemporanei
notarono
nei
pastori
una
giovinezza
che
non
si
può
ignorare”.
Il
cronista
di
Laon
definisce
i
crociati
“innocenti”:
probabilmente
qui
c’è
un’
importante
allusione
al
concetto
di
purezza
spirituale
e di
innocenza.
Un
tema
com’è
noto
evangelico,
ma
ripreso
e
approfondito
nel
corso
del
XIII
secolo.
Riferisce
Giacomo
da
Vitry:
“San
Bernardo
aveva
l’abitudine,
quando[…]
incontrava
i
pueri
che
curavano
le
greggi
nei
campi,
di
esortare
i
suoi
monaci:
‘Salutiamo
questi
pueri,
affinché
essi
rispondano
benedicendoci,
e
potremo
viaggiare
con
sicurezza
affidandoci
alle
preghiere
di
questi
innocenti”.
Il
riferimento
al
fanciullo-pastore
è
intensissimo:
la
lettera
del
Vangelo
e i
ricordi
vaghi
della
poesia
classica
configurano
entrambe
l’immagine
della
semplicità
e
della
purezza.
I
pueri
sono
dei
parvuli
non
solo
sul
piano
dell’età,
ma
sono
anche
degli
eletti,
dei
“piccoli”
cui
è
dato
in
elezione
il
regno
dei
cieli.
Comunque,
non
è
necessario
identificare
i
partecipanti
alle
spedizioni
del1212
in
un
particolare
strato
sociale
o in
una
definitiva
fascia
biologica.
Probabile
che
i
due
fattori
tendono
ad
assommarsi,
anche
se,
nella
maggior
parte
dei
casi,
dovevano
trattarsi
di
persone
che
non
avevano
i
mezzi
per
sposarsi,
e
quindi
non
venivano
considerati
adulti;
non
sposati,
essi
apparivano
come
ragazzi
e
ragazze
innocenti,
dipendenti
socialmente
ancora
dai
genitori.
In
conclusione,
se
il
termine
“crociata
dei
bambini”
è
storicamente
improprio,
per
quanto
ormai
registrato,
non
è
corretto
nemmeno
criticare
o
minimizzare
questa
carica
di
“giovinezza”
con
tutte
le
sue
implicazioni
culturali
e
spirituali.
Adesso,
lasciando
da
parte
le
questioni
puramente
anagrafiche,
bisogna
analizzare
gli
animi
degli
appartenenti
a
queste
spedizioni.
Innanzitutto,
c’è
da
notare
che
nell’immaginario
collettivo
delle
differenti
crociate,
almeno
in
quelle
anteriori
all’esperienza
francescana,
il
concetto
di
povertà
si
accompagnava
alla
coscienza
o
alla
pretesa
di
un’elevazione
divina,
ma
non
alla
rinuncia
o al
disprezzo
per
i
beni
materiali;
i
temi
desunti
dal
magnificat
e
della
pagina
scritturale
dell’Apocalisse
comportavano
semmai
la
coscienza
del
fatto
che
i
poveri,
gli
umili
e
gli
“ultimi”
avrebbero
posseduto
la
terra.
Giovanni
Miccoli
osserva
come
il
pellegrinaggio
non
era
necessariamente
sentito
come
scelta
vicina
al
livello
sociale
dei
poveri,
ma
era
segno
di
conversione,
evidenziata
dal
carattere
salvifico
di
Gerusalemme
e
dei
Luoghi
Santi.
Se
il
pellegrino
è
caratterizzato
come
pauper
Christi,
si
vuole
esprimere
soltanto
un
atteggiamento
spirituale,
che
non
implica
necessariamente
la
rinuncia
ai
beni
materiali.
Anzi,
è
nella
pratica
che
il
genere
di
vita
adottato
dal
pellegrino
in
pellegrinaggio
si
conformava
a un
modello
di
povertà
temporanea,
finché
durava
l’esperienza
del
pellegrinaggio.
La
spiritualità
altomedievale,
del
resto,
non
ravvisava
nella
povertà
una
condizione
meritoria
o di
elezione:
essa
poteva
essere,
anzi,
segno
di
un
castigo
celeste.
La
riforma
dell’XI
secolo
non
modificò
questo
modo
di
pensare,
e la
crociata
non
mancò
paradossalmente
di
accentuarlo.
Se
Urbano
II
aveva
preannunciato
a
chi
intendeva
combattere
nel
nome
di
Cristo
miseria,
povertà
persecuzioni,
privazioni
e
malattie,
non
mancò
certo
di
aggiungere
il
premio
finale:
alla
salvezza
si
sarebbe
aggiunta
anche
la
ricchezza.
Riportare
ciò
non
significa
minimizzare
l’elemento
religioso
e
spirituale,
semplicemente
non
era
l’unico,
e
questo
contribuisce
a
spiegare
l’involuzione
del
movimento
crociato
e la
successiva
reazione
popolare.
Infatti,
intorno
alla
meta
del
XII
secolo
e
all’inizio
del
XIII
secolo
si
registra
un
cambiamento
di
mentalità
da
parte
della
componente
“povera”
del
movimento
riguardo
al
fenomeno
della
crociata.
I
ceti
laici
subalterni
del
XIII
secolo
erano
delusi
dalle
vicende
di
una
forma
ecclesiale
che
non
aveva
condotto
a
quel
rinnovamento
intimo
dei
costumi
e
della
spiritualità
della
Chiesa,
in
modo
particolare
delle
sue
gerarchie,
che
era
stato
da
certi
auspicato.
Si
arriva,
dunque,
al
fenomeno
dell’intolleranza
popolare,
che
era
passata
dall’opporsi
a
quei
comportamenti
visti
come
eretici,
a
opporsi
all’ordine
e ai
privilegi
dell’alto
clero.
Questo
fenomeno,
che
va
collocato
nei
decenni
tra
il
1170
e
1220,
costituisce
uno
dei
momenti
più
significativi
del
cristianesimo
nei
secoli
XII
e
XIII,
ed è
la
spiegazione
stessa
del
successo
della
predicazione
catara.
Il
perfetto
cataro,
dedito
all’austerità
e
all’astinenza,
era
l’immagine
di
quel
che
il
prelato
della
Chiesa
latina
sarebbe
dovuto
divenire
con
la
riforma,
senza
riuscirvi.
Sarà
l’azione
francescana
e
domenicana,
con
il
loro
abbracciare
la
via
della
rinuncia
e
della
povertà,
a
impedire
che
la
delusione
popolare
trovi
sfogo
solo
nell’eresia.
Non
bastava
più
la
rinuncia
al
possesso
personale,
un
distacco
spirituale
dal
mondo:
la
povertà
doveva
essere
radicalmente
vissuta,
per
non
ricadere
negli
errori
e
nelle
contraddizioni
precedenti.
Si
comprende,
quindi,
come
mai
negli
ambienti
ecclesiastici
le
spedizioni
del
1212
siano
state
viste
con
atteggiamento
ostile:
si
temevano
sorte
da
influenze
eretiche.
Queste
crociate,
invece,
presero
vita
dalle
campagne,
e da
una
massa
molto
povera.
Qualche
cronista
non
manca
di
riferire
che
esse
riscuotevano
consenso
nel
popolo
proprio
perché
alimentate
da
un
elemento
molto
importante
nella
religiosità
e
nelle
crociate
popolari:
la
fede.
Fanciulli
innocenti,
poveri
diseredati,
umili
aspiranti
a
una
vita
migliore,
terrena
e
ultraterrena,
si
riuniscono
in
un’unica
fase
spontanea,
in
cui
la
figura
carismatica
sarebbe
emersa
solo
in
un
secondo
momento,
prendevano
la
croce
e,
disarmati,
andavano
a
liberare
il
Sepolcro
di
Cristo
sulle
orme
di
sovrani,
baroni
e
cavalieri.
I
contemporanei
non
capirono
o
non
vollero
capire
cosa
ci
fosse
dietro
tutto
questo.
Cosi
fioriscono
le
spiegazioni
fantasiose,
la
crociata
dei
fanciulli
diventa
prima
mito
che
storia.
Ruggero
Bacone,
nel
1266,
nel
suo
Opus
maius,
si
servì
della
crociata
dei
fanciulli
per
spiegare
il
concetto
di
fascinatio,
una
sorta
di
potere
di
attrazione
che
alcune
persone
possono
esercitare
sugli
altri:
il
riferimento
alla
crociata
è
verso
un
uomo
diabolico
che
attirava
i
fanciulli
per
venderli
ai
saraceni.
La
spiegazione
più
semplice,
sta
semplicemente
nella
forza
della
fede.
Da
questo
punto
di
vista
la
Crociata
dei
bambini
rappresenta
davvero
un
“miracolo”
di
ingenuità
e
purezza.
Il
rapporto
tra
crociata
e
povertà
non
era
e
non
sarebbe
stato
mai
più
cosi
“evangelico”.
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