N. 64 - Aprile 2013
(XCV)
La crociata dei fanciulli
un viaggio senza ritorno - parte iV
di Michele Claudio D. Masciopinto
Agli
storici
contemporanei
spetta
il
duro compito
di
risolvere
molteplici
quesiti
legati
all’identità
di
tali
pueri
che
decisero
di
partire
per
la
loro
personale
crociata,
i
motivi
che
li
spinsero
a
fare
ciò,
se
erano
davvero
bambini,
o
comunque
se
ce
n’erano
fra
di
loro
(e
in
quale
percentuale).
Innanzitutto
diamo
un’età
e un
volto
a
questi
fantomatici
“fanciulli.”
Dalle
cronache
in
nostro
possesso
si
deduce
che
esse
definiscono
i
partecipanti
in
modo
diverso.
Il
termine
puer
ricorre
assai
spesso;
infatti
lo
troviamo
nelle
cronache
di
Colonia,
che
parla
di
puerorum,
cioè
di
fanciulli
dai
sei
anni
in
su
fino
all’età
virile,
e di
pueri,
cioè
fanciulli
di
diversa
età
e
condizione.
Le
stesse
parole
vengono
usate
dalle
fonti
austriache,
mentre
l’Anonimo
di
Laon
riferisce
che
Stefano
mise
in
moto
il
gruppo
francese
“con
i
pastori
suoi
coetanei”;
invece
Alberico
delle
Tre
Fontane
parla
esplicitamente
di
bambini,
usando
i
termini
parvuli
e
infantes.
Non
manca
però
chi
sottolinea
l’omogeneità
del
gruppo,
come
il
compilatore
di
Salisburgo
che
non
parla
proprio
di
pueri,
ma
di
“una
gran
moltitudine
di
persone
di
entrambi
i
sessi
e
varie
età”.
La
prima
conclusione
che
si
può
trarre
dall’analisi
delle
fonti
è
che
i
fanciulli
non
erano
i
soli
coinvolti
nelle
spedizioni
del
1212.
I
primi
storici
che
si
sono
occupati
dell’evento
hanno
commesso
una
leggerezza,
dagli
esiti
della
quale
tutt’oggi
stentiamo
a
liberarci:
l’aver
comunque
cercato
di
difendere
la
tesi
di
una
leadership
della
parte
infantile
del
movimento.
È
ciò
che
lo
studioso
francese
Paul
Alphandéry
considerava
come
espressione
del
“culto
medievale
del
fanciullo”:
fanciulli
caratterizzati
contemporaneamente
dall’estrema
giovinezza
e
dalla
povertà.
Lo
studioso
francese
inquadrava
queste
due
spedizioni
come
parte
di
un
fenomeno
esteso
in
tutta
l’Europa
centrale
e
occidentale.
Un
tentativo
di
spiegazione,
secondo
l’Alphandéry,
lo
si
può
trovare
nella
cronaca
di
San
Medardo
di
Soissons,
che
scritta
mezzo
secolo
dopo
i
fatti,
afferma
che:…
prima
che
si
verificasse
quel
portento,
pesci,
rane,
farfalle
e
uccelli
in
modo
simile
secondo
il
genere
e al
momento
opportuno
si
mettevano
in
moto…
In
questa
notazione,
lo
studioso
francese
scorge
la
volontà
di
inquadrare
le
“partenze
miracolose”
come
prodigi
della
natura;
gli
animali
sono
animati
da
passioni
e
sentimenti
umani
e le
loro
emozioni
annunzierebbero
le
partenze
degli
uomini.
Ciò
si
inquadra
nel
fenomeno
della
praefiguratio:
un
fatto
ne
preannunzierebbe
per
analogia
un
altro.
Perciò
il
comportamento
degli
animali
sta
qui
a
annunziare
e
spiegare
il
comportamento
umano.
Si
tratta
di
un’ipotesi
che
risente
di
suggestioni
antiche,
richiami
antropologici
e
temi
che
risentono
della
tradizione
folkloriche
dell’area
germanica,
come
quello
degli
incantatori
di
bambini,
che
ha
il
suo
esempio
più
celebre
nella
favola
del
pifferaio
di
Hamelin.
Riguardo
a
ciò,
l’Alphandéry
registra
come
curiosa
coincidenza
la
testimonianza
di
un
cronista
di
Liegi
del
1210,
che
parla
del
flagello
di
un
invasione
di
topi.
Perciò,
il
sacrificio
dei
fanciulli
si
imponeva
come
liberazione
dagli
uomini
di
poca
fede.
Queste
“partenze”
di
bambini
consistevano,
in
primo
riferimento,
a
alcuni
tipi
di
processioni
in
cui
l’elemento
infantile
gioca
un
ruolo
rilevante;
sono
le
cosiddette
“crociate
monumentali”,
sviluppatesi
circa
un
secolo
prima
di
quelle
dei
fanciulli.
Costituite
nelle
regioni
normanne,
lunghe
file
di
penitenti-costruttori
trascinavano
carri
di
pietre
e
arnesi
per
dare
il
loro
contributo
alla
costruzione
o al
restauro
dei
luoghi
di
culto.
Alcune
di
queste
processioni
sarebbero
state
composte
da
soli
bambini.
L’Alphandery,
analizzando
una
testimonianza
di
Matthew
Paris,
evidenzia
una
certa
analogia
con
le
crociate
del
1212:
nella
schiera
di
bambini
c’era
un
carro
sul
quale
stava
un
giovane
“taumaturgo”,
circondato
da
devozione.
Queste
crociate
monumentali
hanno
una
loro
importanza
dal
punto
di
vista
sociale:
infatti,
non
vi
erano
differenze
di
casta
o di
età;
lo
spirito
prevalente
era
di
penitenza
ed
espiazione.
A
questo
proposito,
lo
studioso
francese
cita
una
lettera
dell’abate
Aimone
di
Saint-Pierre-sur-Dive
in
cui,
nel
1145,
si
evidenzia
il
ruolo
dei
bambini
penitenti
che
si
flagellavano
invocando
la
pietà
della
Vergine
per
i
malati.
Una
flagellazione,
dunque,
finalizzata
a un
evento
taumaturgico,
la
guarigione
dei
malati:
anche
qui
si
possono
scorgere
analogie
con
quanto
accadeva
con
Stefano
e
Nicola,
in
quanto
anch’essi
operavano
miracoli,
tra
cui
le
guarigioni.
Tutto
ciò
ci
riporta
alla
tesi
fondamentale
dell’Alphandéry:
una
“elezione
dell’infanzia”,
che
ha
le
sue
radici
nel
culto
dei
Santi
innocenti,
cioè
i
bambini
che
sarebbero
stati
fatti
uccidere
da
Erode.
Nonostante
il
dubbio
sulla
storicità
di
questo
episodio,
è
certo
che
dal
V
secolo
in
poi
la
Chiesa
onorò
questi
bambini
massacrati
e li
inserì,
in
seguito,
nei
calendari
liturgici.
Quindi,
le
spedizioni
del
1212
non
sarebbero
state
altro
che
l’espressione
di
un
culto
medievale
del
fanciullo,
con
connessione
alla
venerazione
dei
Santi
innocenti.
I
bambini,
eletti
dal
Signore
per
la
loro
purezza,
si
sacrificano
per
la
salvezza
dell’umanità
intera.
In
verità,
anche
tra
coloro
che
hanno
insistito
sull’elemento
mistico
delle
spedizioni
del
1212,
c’è
chi
ha
sottolineato
che
la
componente
infantile
non
era
esclusiva.
Giovanni
Miccoli
ha
osservato
che
dalle
fonti
dell’epoca
non
si
può
ricavare
che
i
crociati
fossero
più
o
meno
tutti
fanciulli.
Il
Miccoli,
pur
respingendo
alcune
tesi
dell’Alphandéry,
ne
accettava
il
tema
dell’elevazione
del
fanciullo,
ma
restringeva
la
prospettiva
dai
singoli
partecipanti
alle
due
guide
delle
spedizioni.
Secondo
lo
storico,
Stefano
e
Nicola
incarnavano
speranze
e
attese
di
una
vita
migliore.
Speranze
di
un’esistenza
migliore,
di
una
nuova
“Terra
promessa”
per
cui
la
crociata
veniva
a
configurarsi
come
un
nuovi
esodo.
Infatti,
i
segni
di
rapporto
tra
le
spedizioni
del
1212
e
quelli
dell’Esodo
non
sono
pochi:
uno
è
certo
la
promessa
che
il
mare
si
sarebbe
aperto
di
fronte
ai
giovani
pellegrini.
Un
altro,
molto
più
suggestivo,
è lo
“strano
segno”
che
Nicola
porta
al
collo,
un
segno
“come
a
forma
di
croce”,
il
tau.
Si
tratta
un
segno
che
conobbe
una
grande
diffusione
nell’ambiente
francescano,
ma
esso
ha
origini
assai
più
remote.
La
sua
presenza
è
registrata
nella
tradizione
paleocristiana,
dove
esso
era
un
segno
sostitutivo
della
croce.
La
croce,
infatti,
era
originariamente
un
segno
di
infamia;
lo è
ancora,
a
esempio,
nella
tradizione
islamica,
dove
infatti
si
crede
che
Sidi
na
Issa
ibn
Mariam
(Nostro
Signore
Gesù
Figlio
di
Maria)
non
sia
mai
stato
veramente
appeso
a
quel
disonorevole
patibolo.
Si
può
quindi
immaginare
che
per
i
primi
cristiani
fu
molto
difficile
far
accettare
la
croce
come
simbolo
di
santità
e
gloria.
Dopo
l’editto
teodosiano
che
sancì
la
il
cristianesimo
come
religione
di
stato,
la
croce
divenne
un
simbolo
imperiale
e
trionfale.
Tuttavia,
c’è
da
dire
che
l’uso
della
croce
come
segno
di
devozione
e
riconoscimento
da
parte
dei
cristiani
sia
un
usanza
molto
antica,
addirittura
giudeo
cristiana;
ma è
comunque
presumibile
che
l’uso
della
croce
sia
stato
preceduto
dall’uso
di
un
altro
simbolo,
considerato
figura
del
vero
segno
di
salvezza.
Nel
mondo
mediterraneo,
infatti,
la
lettera
greca
tau
ha
preso
il
posto
della
lettera
ebraica
tav,
ultima
dell’alfabeto
ebraico,
che
non
somiglia
al
tau
greco
ma
che
ha
un
suono
simile.
Essa,
nell’alfabeto
ebraico,
ha
il
ruolo
dell’omega
greco:
indica
Dio
come
fine
di
tutte
le
cose.
Perciò,
il
tau
greco
finì
con
il
venir
identificato
in
occidente
come
il
segno
della
croce
in
tutta
la
sua
potenza
taumaturgica
e
mistica:
infatti
esso
è il
segno
che
salva
i
figli
di
Israele
nella
notte
della
discesa
dell’Angelo
della
Morte
in
Egitto,
poiché
è il
sigillo
degli
eletti.
Il
tau
è
dunque
segno
di
elezione
e di
protezione;
anche
il
saio
di
Francesco
e
dei
suoi
Frati
minori
è a
forma
di
tau,
per
significare
come
ogni
frate
sia
morto
e
crocifisso
con
Cristo.
Un
segno,
dunque,
con
forti
richiami
biblici,
collegato
all’Esodo,
simbolo
di
protezione
e
liberazione.
Al
collo
di
Nicola
ci
sarebbe
il
marchio
del
suo
carisma,
corrispondente
alle
“lettere
celesti”
di
Stefano;
un’altra
prova,
per
il
Miccoli,
di
una
“elezione
dell’infanzia”
bel
limitata
alle
figure
dei
capi.
Nicola
lo
porta
con
sé
poiché
la
marcia
dei
pueri
è un
ritorno
alla
terra
promessa,
e il
tau
è un
segno
misterioso
che
proteggerà
gli
eletti
dai
pericoli
e
dalla
morte.
Il
Miccoli,
perciò,
ha
ben
evidenziato
due
fatti
importanti:
la
composizione
eterogenea
delle
crociate
dei
fanciulli
e la
mobilitazione
operata
da
Innocenzo
III
in
occasione
degli
eventi
connessi
con
le
guerre
in
Spagna.
Questo,
dunque,
per
quel
che
attiene
al
simbolo
caratteristico
della
crociata,
anche
se
non
l’esclusivo;
resta
solo
la
necessità
di
dare
un
volto
e
una
fisionomia
più
precisa
a
questi
pellegrini.
Per
far
ciò
bisogna
analizzare
la
valenza
precisa
del
termine
puer
nel
Medioevo.
Nel
latino
dell’età
classica,
il
termine
puer
sta
a
indicare
i
fanciulli
alle
soglie
dell’adolescenza.