N. 63 - Marzo 2013
(XCIV)
La crociata dei fanciulli
un viaggio senza ritorno - parte iiI
di Michele Claudio D. Masciopinto
Di
per
certo,
si
sa
che
la
crociata
dei
fanciulli
entrò
presto
nell’immaginario
collettivo
e
non
tardò
ad
assumere
caratteri
leggendari.
Sicché
non
è
facile
comprendere
quanto
sia
realmente
accaduto
da
quanto,
invece,
è
frutto
di
immaginazione,
o di
interpretazioni
a
posteriori.
Per
far
fronte
a
questo
gli
storici
dividono
le
fonti
in
tre
categorie:
quelle
della
stessa
epoca,
scritte
entro
il
1220
da
persone
che
avevano
assistito
ad
alcune
fasi
di
essi;
quelle
invece
composte
tra
il
1250
da
cronisti
che
avevano
conoscenza
personale
dei
fatti
ma
ne
parlarono
solamente
più
tardi;
e
infine
quelle
scritte
dopo
il
1250
e
basate
su
informazioni
di
seconda
o
terza
mano.
Del
primo
gruppo
fanno
parte
le
cronache
tedesche,
francesi
e
italiane:
sono
di
vitale
importanza
poiché
fanno
capire
che
vi
furono
due
crociate,
sviluppate
in
Francia
e
Germania,
con
a
capo
due
veri
e
propri
leader,
di
cui
abbiamo
anche
i
nomi:
Stefano
per
il
movimento
francese,
Nicola
per
quello
tedesco.
Della
crociata
francese
abbiamo
nell’Anonimo
di
Laon
la
miglior
fonte,
poiché
è il
solo,
insieme
al
discusso
racconto
di
Alberico
delle
Tre
Fontane,
a
descriverci
in
dettaglio
il
movimento
francese
e
l’unico
a
fornirci
il
nome
del
suo
leader.
Secondo
l’Anonimo
di
Laon
nel
giugno
del
1212,
“un
certo
fanciullo
di
nome
Stefano,
pastore”,
proveniente
dal
villaggio
di
Cloyes,
affermava
che
il
Signore
gli
era
apparso
in
forma
di
povero
pellegrino,
e da
lui
aveva
ricevuto
pane
e
delle
lettere
da
consegnare
al
re
di
Francia.
Cosa
ci
fosse
scritto
in
quelle
lettere
non
ci è
dato
sapere;
l’autore
prosegue
raccontando
che
a
Stefano
si
unirono
altri
fanciulli
provenienti
da
tutta
la
Gallia,
della
usa
stessa
età,
circa
trentamila
che:
…lo
seguivano
in
numero
infinito
e,
profondamente
ingannati
da
un
diabolico
incantesimo,
abbandonavano
padri,
madri,
nutrici
e
tutti
quanti
gli
amici,
cantavano
nello
stesso
modo
in
cui
canticchiava
la
loro
guida;
e
[…]
non
potevano
fermarli
né
il
chiavistello
né
richiamarli
il
tentativo
di
persuasione
dei
genitori,
perché
non
seguissero
il
loro
suddetto
maestro
verso
il
mare
Mediterraneo;
come
se
dovessero
attraversarlo…
nessuna
città
avrebbe
potuto
accoglierli
a
causa
della
loro
moltitudine.
I
fanciulli
si
raccolsero
in
preghiera
vicino
a
Saint-Dennis;
e la
gente
correva
a
vederli.
Stefano,
intanto
fece
in
qualche
modo
avere
le
lettere
a
Filippo
II
Augusto,
re
di
Francia,
il
quale,
le
avrebbe
girate
ai
maestri
della
facoltà
teologica
dell’Università
di
Parigi.
Il
responso
fu
naturalmente
negativo;
e
ciò
non
deve
stupire:
se
le
cronache
sono
quasi
tutte
ostili
al
movimento
dei
fanciulli,
è
proprio
perché
esse
nascono
nell’ambiente
ecclesiastico
istituzionale,
che
non
vedeva
di
buon
occhio
questi
movimenti
spontanei
la
cui
origine
era
vista
come
dubbia.
Così
Filippo
Augusto
pensò
bene
di
liberarsi
dell’incomodo
rimandando
i
fanciulli
a
casa
propria.
Da
questo
punto
in
poi
il
quadro
diventa
alquanto
oscuro
e
complicato.
Secondo
l’Anonimo
di
Laon
con
l’ordine
del
re
quella
puerilis
devotio
avrebbe
avuto
miseramente
termine;
ma
stando
ad
altre
testimonianze,
ci
sarebbe
stato
un
seguito.
Si
può
ben
immaginare
la
delusione
di
Stefano
e
dei
suoi
seguaci
di
fronte
alla
decisione
regale.
Sicuramente
le
fonti
dei
cronisti
dell’epoca
non
sono
poi
tanto
contrapposte
in
quanto
alcuni
di
loro
abbandonarono
la
missione
preferendo
la
via
del
ritorno,
ma
altri
hanno
deciso
di
continuare
quell’
avventura
nonostante
il
parere
negativo
degli
ecclesiastici.
Tra
di
esse
vi è
la
testimonianza
di
Alberico
delle
Tre
Fonti,
senz’altro
la
più
affascinante,
oltre
che
la
più
controversa.
Secondo
lui,
una
parte
dei
pueri
si
sarebbero
spostati
da
Saint-Dennis
fino
a
Marsiglia;
a
essi
si
sarebbero
aggregati
due
uomini
malvagi;
che
sarebbero
stata
la
causa
e la
rovina
di
quei
fanciulli.
Alberico
ci
fa
addirittura
i
nomi
di
questi
ribaldi
che
avrebbero
tradito
gli
ingenui
fanciulli:
Ugo
Ferreo
e
Guglielmo
Porco.
I
due,
mercanti
e
armatori
di
Marsiglia,
avrebbero
promesso
di
imbarcare
e
trasportare
oltremare,
“per
la
causa
di
Dio”,
su
sette
navi
i
fanciulli.
Qui
il
tragico
prologo:
dopo
appena
due
giorni
di
navigazione,
due
navi
affondano
nei
pressi
dell’isola
di
San
Pietro,
a
sud-ovest
della
costa
della
Sardegna.
Anni
dopo,
narra
Alberico,
papa
Gregorio
IX
avrebbe
fatto
costruire
una
chiesa
consacrata
ai
Nuovi
Innocenti:
qui
i
corpi
dei
bambini
gettati
in
mare
sarebbero
stati
custoditi
e
mostrati
ai
pellegrini.
Per
le
altre
cinque
navi
il
destino
non
fu
meno
tragico:
una
volta
giunte
ad
Alessandria,
i
traditori
vendettero
tutti
quei
fanciulli
a
principi
e
mercanti
saraceni,
di
cui
quattrocento
al
califfo,
che
era
probabilmente
il
sultano
del
Cairo
al-Malik
al
Kamil,
nipote
di
Saladino.
Il
racconto
di
Alberico
si
conclude
dicendo
che
i
due
traditori
espiarono
la
loro
colpa
finendo
impiccati
in
Sicilia
qualche
anno
dopo
per
aver
cospirato
contro
Federico
II,
e
diciotto
anni
dopo
settecento
dei
piccoli
crociati
di
allora,
ormai
uomini
erano
ancora
vivi
e in
buona
salute.
Anche
se
indubbiamente
di
grande
fascino,
il
racconto
di
Alberico
è
fortemente
contestato
per
le
non
poche
controversie
presenti.
Alcune
cronache,
come
quella
di
Matteo
Paris,
si
limitano
a
dire
che
“per
terra
o
per
mare
andarono
in
malora
tutti
quanti”;
mentre
altre
cronache
sono
più
generiche
poiché
prendono
le
crociate
dei
fanciulli
nel
loro
complesso.
Gli
Annales
Marbacenses
sostengono
effettivamente
un
naufragio.
P.Raets
sostiene
che
sebbene
lo
scritto
di
Alberico
risalga
al
1240
circa,
vi
sono
pesanti
sospetti
che
il
brano
relativo
alla
“crociata
dei
bambini”
sia
stato
aggiunto
al
momento
di
una
revisione
del
testo,
databile
tra
il
1260
e il
1295.
Il
Pallenberg
ha
compiuto
un
lavoro
accurato
e
documentato
sul
testo
di
Alberico,
ricercando
anche
documenti
sulle
vicende
e
sulla
fine
di
Ugo
Ferreo
e
Guglielmo
Porco.
Per
quanto
riguarda
il
santuario,
lo
storico
ha
accertato
l’esistenza
della
chiesa
sull’isola
presso
Carloforte,
unico
nucleo
insediativo
dell’isola,
di
cui
rimangono
alcune
vestigia;
sembra
tra
l’’altro
che
nel
1922
venissero
ritrovati
depositi
di
ossa
umane,
ma
non
è
noto
se
fossero
di
bambini
o
adulti.
Il
quadro
tracciato
dallo
studioso
è
molto
suggestivo,
ma
non
può
dare
la
certezza
assoluta,
come
peraltro
egli
onestamente
ammette.
La
crociata
tedesca
avvenne
nello
stesso
periodo.
Su
di
essa
si è
meglio
informati,
in
quanto
le
cronache
fissano
un
abbozzo
di
itinerario,
ma
troviamo
lo
stesso
atteggiamento
ostile,
derisorio
o
sconcertato
delle
fonti.
Anche
in
questo
caso
le
cronache
non
sono
concordi
tranne
che
su
un
punto:
la
fine
tragica
che
la
accomuna
alla
peregrinatio
francese.
Da
due
fonti
di
Colonia,
probabilmente
abati
dell’epoca,
scopriamo
fanciulli
riuniti
da
tutte
le
città
e i
villaggi
della
Germania
essi
si
radunarono
in
determinati
luoghi
per
iniziare
un
cammino
verso
la
Terrasanta.
A
guida
di
questa
schiera
di
fanciulli
vi è
un
certo
Nicola,
fanciullo
di
Colonia,
che
portava
sopra
di
sé
un
segno
come
di
croce,
un
tau,
che
avrebbe
dovuto
essere
su
di
lui
segno
di
santità
e
capacità
miracolosa.
Fin
qui,
più
o
meno,
tutte
le
fonti
concordano;
lo
stesso
Nicola
è un
personaggio
meno
evanescente
di
Stefano,
infatti
il
suo
nome
ricorre
in
più
fonti.
Le
cronache
di
Treviri
gettano
un
sospetto
infamante
sul
padre
di
Nicola,
e
accennano
anche
a
una
sua
misera
fine.
Ma
ci
sono
altre
fonti
che
presentano
versioni
diverse
e
sono
più
precise
sull’itinerario
compiuto
dai
piccoli
pellegrini:
…
una
grandissima
schiera
di
fanciulli
di
entrambi
i
sessi
si
radunò
non
so
per
quale
artificio[…]
Camminavano
tenendo
davanti
a se
alcune
insegne,
dicendo
di
dover
passare
il
mare…
Secondo
le
fonti
essi
attraversarono
le
Alpi
e si
diressero
verso
le
città
marittime,
Genova
e
Pisa
cercando
le
navi
per
navigare
verso
la
Terra
Santa.
Altre
fonti,
invece,
affermano
che
Nicola
avrebbe
avuto
da
un
angelo
l’incarico
di
recarsi
in
Terrasanta
e la
garanzia
di
attraversare
il
mare
a
piedi
asciutti;
il
mare
si
sarebbe
spalancato
davanti
a
lui
e ai
suoi
seguaci,
come
davanti
a
Mosè
e
agli
Israeliti
ai
tempi
dell’Antico
Testamento.
Provando
a
ricostruire,
dalle
testimonianze
delle
numerose
fonti,
il
cammino
di
questa
crociata,
si
può
dedurre
che
quello
che
ci
presentano
le
cronache
è
una
moltitudine
strana
e
composita:
fanciulli,
lattanti
addirittura,
giovinetti
e
giovinette,
uomini
e
donne.
Una
massa
eterogenea
di
persone,
in
cui
i
fanciulli
erano
la
maggioranza
o il
nucleo
trainante.
Ciò
che
li
accomuna,
riferiscono
varie
fonti
dell’
epoca
è
solo
la
componente
popolare,
umile
della
moltitudine.
Molte
di
queste
persone
abbandonarono
all’
improvviso
il
loro
lavoro,
le
famiglie,
i
villaggi
senza
guardarsi
indietro.
Attorno
a
Nicola
cominciò
a
radunarsi
una
moltitudine
di
gente,
sino
al
formarsi
di
una
processione
che,
muovendo
da
Colonia,
si
diresse
alla
volta
dell’
Alsazia
e da
li
attraversarono
le
Alpi.
Era
piena
estate,
ed è
probabile
che
molti
morirono
di
sfinimento
ancor
prima
di
raggiungere
i
passi
alpini;
eppure
la
fede
li
fa
andare
avanti.
I
pellegrini
come
Gesù,
non
si
preoccupano
né
di
cosa
vivranno,
né
di
cosa
mangeranno;
la
loro
guida
ha
assicurato
di
provvedere
anche
a
questo.
Del
resto,
il
fanciullo
ha
la
massima
fiducia
nella
provvidenza
di
Dio.
Riflettendo
sulle
vie
del
loro
cammino,
è
probabile
che,
per
attraversare
le
Alpi,
si
divisero
in
gruppi:
una
prima
colonna,
guidata
da
Nicola
in
persona,
sarebbe
passata
dalla
Svizzera
attraversando
Basilea
e
Ginevra
e
avrebbe
varcato
le
Alpi
al
Moncenisio;
un
secondo
gruppo
invece
avrebbe
attraversato
la
Svizzera
centrale
e il
San
Gottardo.
Tuttavia,
un
cronista
bavarese
testimonia
la
presenza
di
un
terzo
gruppo,
che
però
avrebbe
raggiunto
solo
i
confini
italici
per
poi
essere
fermato
al
Tarvisio
nientemeno
che
da
alcuni
cardinali
inviati
da
papa
Innocenzo
III.
Attraverso
le
pagine
dei
cronisti
filtra
il
senso
di
profondo
stupore,
e
forse
di
timore
e
disorientamento
con
cui
i
pellegrini
vennero
accolti.
Il
loro
passaggio
è
comunque
testimoniato
con
sicurezza
da
alcune
città
dell’Italia
settentrionale:
Cremona,
Piacenza
e
Genova.
Le
reazioni
della
gente
al
loro
passaggio
furono
diverse,
a
volte
di
stupore,
altre
di
aperta
ostilità,
altre
ancora
di
pietà
e
compassione.
Fu
proprio
a
Genova
che
qualcosa
di
decisivo
dovette
accadere.
Nicola
non
riesce
a
compiere
il
miracolo:
il
misterioso
tau
non
ha
poteri
taumaturgici,
e il
mare
non
si
spalanca
davanti
ai
pellegrini
e ai
buoni
cittadini
stupiti
o
beffardi.
A
questo
punto,
la
massa
di
pellegrini
guidata
da
Nicola
dovette
conoscere
una
disillusione
pressoché
definitiva.
Se
qualcuno
scelse
la
via
del
ritorno,
se
altri
rimasero
a
Genova,
non
ci è
dato
sapere
in
che
condizioni,
vi
fu
comunque
chi
continuò
a
seguire
la
croce.
Alcuni
cronisti
segnalano
infatti
ancora
due
tappe
importanti.
Una
di
esse
fu
Roma,
dove
risiedeva
il
papa
Innocenzo
III.
Considerato
il
più
grande
papa
del
Medioevo,
era
animato
in
politica
da
ambizione
ma
anche
da
vivo
realismo;
ancora
amareggiato
per
l’esito
della
quarta
crociata,
animata
da
un
feroce
opportunismo
politico
e da
sordida
avidità
che
aveva
portato
a
deviarla
nel
saccheggio
di
Costantinopoli,
una
testimonianza
di
un
cronista,
al
riguardo
molto
significativa,
riferisce:
… Il
papa,
sentite
queste
voci,
sospirando
disse:
“Questi
fanciulli
ci
rimproverano,
perché
mentre
essi
si
precipitano
a
ricuperare
la
Terrasanta
noi
dormiamo.
Vere
o
false,
questo
affermazione
non
doveva
che
trattarsi
di
un
semplice
richiamo
morale.
Infatti,
giunti
a
Roma,
gli
Annales
Marbacenses
riferiscono
che
non
vi
fu
l’incontro
con
il
papa,
si
accorsero
di
quanto
fosse
stata
inutile
e
sciocca
la
loro
fatica
ma
tuttavia
non
furono
sciolti
dal
loro
voto
di
crociata.
Un
ultimo
gruppo
riuscì
a
raggiungere
Brindisi
dopo
non
si
sa
quali
stenti,
ma
fu
bloccato
dall’intervento
del
vescovo;
vi è
data
anche
la
notizia,
in
modo
oscuro,
della
morte
di
Nicola.
La
sconfitta
è
totale:
non
rimane
come
alternativa
che
il
ritorno;
ma
il
cammino
sarà
lungo,
irto
di
pericoli,
più
difficoltoso
dell’andata:
alcuni,
i
ragazzi
più
grandi,
troveranno
lavori
servili
nelle
varie
regioni
italiane.
Per
altri,
il
destino
sarà
molto
più
duro:
molti
i
cronisti
che
testimoniano
di
questi
ragazzi,
che
arrivarono
a un
tale
livello
di
povertà
che
nessuno
gli
accoglieva
più,
perciò
la
maggior
parte
di
loro
finì
a
giacere
morta
per
fame
e
stenti
nelle
piazze
e
nei
villaggi,
senza
nessuno
che
si
prendesse
la
briga
di
seppellirli.
Un
quadro
agghiacciante
anche
per
quei
tempi
bui,
il
cronista
Richerio
è
uno
dei
pochi
ad
avere
sentimenti
di
pietà
e
compassione
per
questi
piccoli
aspiranti
crociati.
Altri
cronisti
dell’
epoca
invece
esprimono
tutto
il
loro
sarcasmo
contro
gli
“stupidi
bambini”
che
non
solo
avevano
tentato
qualcosa
di
impossibile,
e
non
avevano
dato
ascolto
a
tutti
i
moniti,
i
giudizi
degli
uomini
di
chiesa
ignorandone
l’autorità.
La
conclusione
più
eloquente
è
quella
del
Reinerio...
il
motus
puerorum
miserabilis
(miserabile
movimento
dei
fanciulli)
si
conclude
in
un
nulla
di
fatto,
poiché
dal
momento
che
non
era
opera
di
dio,
non
ottenne
nessun
risultato.