N. 82 - Ottobre 2014
(CXIII)
"SRADICARE IL SEME MALVAGIO"
Una valutazione del contributo della Chiesa nella crociata albigese
di Gabriele Passabì
Un
vecchio
proverbio
toscano
recita:
“frenesia,
gelosia,
eresia,
mai
sono
sanate
per
alcuna
via”.
La
saggezza
degli
antichi,
spesso
trasmessa
attraverso
la
tradizione
orale,
ci
suggerisce
molto
del
passato:
in
particolare
ci
rivela
le
mentalità.
In
questo
caso,
si
può
comprendere
con
chiarezza
che
l’eresia
era
considerata
uno
dei
mali
peggiori:
il
cuore
di
un
uomo
corrotto
dalle
menzogne
dell’eresia
era
senza
speranza,
destinato
alla
dannazione
eterna.
Perciò
l’unica
soluzione
possibile
era
quella
di
combattere
quella
terribile
menzogna
con
veemenza
in
modo
tale
da
sradicarne
una
volta
per
tutte
il
seme
malvagio.
Ironicamente,
il
trattamento
era
considerato
efficace
allo
stesso
modo
anche
per
la
gelosia
e la
follia.
Tra
il
1209
e il
1229
la
Francia
meridionale
fu
sconvolta
dalla
guerra.
Le
città
erano
assediate
e
messe
a
ferro
e
fuoco,
i
cittadini
venivano
uccisi
brutalmente
poiché
erano
considerati
eretici:
nemici
di
Dio
e
della
Chiesa.
Questa
guerra,
voluta
fortemente
dai
più
eminenti
baroni
e
prelati
di
Francia
e
diretta
contro
le
città
della
costa
mediterranea,
sembra
quasi
confermare
le
parole
del
proverbio
che,
di
conseguenza,
si
dimostra
essere
molto
più
storicamente
vero
di
quanto
non
faccia
apparire.
Le
crociate
contro
gli
albigesi,
infatti,
furono
tra
i
più
zelanti
tentativi
della
Chiesa
di
affermare
con
la
forza
l’assoluta
supremazia
della
fede,
cercando
di
distruggere
fisicamente
le
roccaforti
dell’eresia
catara
che
minacciavano
la
sua
autorità.
Inoltre,
questa,
per
le
sue
implicazioni
ideologiche
e
culturali,
ha
rappresentato
un
momento
di
svolta
per
i
metodi
di
predicazione
e
per
un
uso
nuovo
proprio
del
concetto
di
crociata.
L’obiettivo
di
questo
saggio
infatti
è
proprio
quello
di
indagare
quale
fosse
il
ruolo
giocato
dalla
compagine
ecclesiastica
nello
sviluppo
e
nel
perseguimento
della
crociata
contro
i
catari
della
Francia
meridionale.
Il
clero,
infatti,
ebbe
un’influenza
straordinaria
per
la
teorizzazione,
realizzazione
e
diffusione
della
guerra
santa.
Da
una
parte
il
suo
contributo
si
può
definire
in
termini
militari,
infatti
molti
arcivescovi
francesi
andarono
a
riempire
i
ranghi
delle
elite
secolari
con
le
loro
milizie
private.
Dall’altra
il
papato
e
gli
ecclesiastici
si
dimostrarono
essere
cruciali
nella
predicazione
della
crociata
stessa,
sfruttando
opportunamente
i
proclami
tipici
della
crociata
tradizionale:
l’indulgenza
e la
promessa
di
salvezza
dell’anima
dalla
dannazione.
Eppure
la
predicazione
della
crociata
non
attrasse
soltanto
gli
esponenti
più
in
vista
dell’elite
secolare
di
Francia
per
la
sua
ricompensa
mistica;
essa
infatti
fornì
anche
la
legittimazione
per
un
atto
di
guerra
e di
vera
e
propria
conquista
territoriale
ai
danni
delle
regioni
meridionali
della
Francia.
Inoltre,
il
contributo
della
chiesa
deve
essere
valutato
anche
per
l’aver
determinato
un
significativo
cambiamento
ideologico
che
risultò
di
grande
influenza
in
tutta
la
successiva
comprensione
della
crociata
stessa
(Purcell,
1975,
p.
18).
L’idea
di
crociata
infatti
era
divenuta
parte
integrante
della
mentalità
medievale:
si
trattava
di
una
struttura
mentale
per
la
decodificazione
della
realtà
in
un
mondo
profondamente
influenzato
dalla
religione
cristiana.
Tuttavia,
come
afferma
Riley-Smith,
la
crociata
tradizionale
era
qualcosa
di
diverso:
si
trattava
di
un
pellegrinaggio
armato
per
la
liberazione
di
Gerusalemme,
una
expeditio
sacra
proclamata
per
liberare
fisicamente
la
Terra
Santa
dall’illegittimo
e
vergognoso
dominio
infedele
(Riley-Smith,
1993,
p.
22).
Gerusalemme
infatti
era
considerata
una
santa
reliquia
sulla
Terra
nella
quale
Dio
stesso
aveva
posato
lo
sguardo
nella
sua
scelta
di
redimere
l’umanità
dal
peccato.
Eppure,
durante
il
primo
decennio
del
XIII
secolo
questa
idea
non
richiamava
alla
mente
soltanto
la
guerra
per
il
recupero
della
Città
Santa.
La
crociata
era
diventata
una
categoria
culturale
che
aveva
modellato
la
mentalità
dei
contemporanei
a
tal
punto
che
poteva
essere
usata
con
lo
stesso
successo
(e
lo
stesso
grado
di
adesione
di
credibilità)
verso
nuovi
nemici
della
fede:
gli
eretici.
Il
XII
secolo
era
stato
un
secolo
di
grande
fervore
mistico
e
spirituale
che
si
era
manifestato
come
una
tensione
al
rinnovamento
ed
alla
trasformazione
sia
interna
che
esterna
della
Chiesa.
Queste
nuove
pressioni,
infatti,
erano
evidenti
specialmente
sotto
forma
di
attacchi
all’assenza
di
morale
della
compagine
ecclesiastica
e di
denuncia
di
un’etica
ormai
corrotta.
Infatti,
ciò
che
subiva
le
condanne
più
feroci
era
l’immagine
stessa
della
Chiesa
che
si
mostrava
in
netto
contrasto
con
l’esempio
di
povertà
e
umiltà
offerto
dai
vangeli.
La
sintesi
di
questa
necessità
di
rigenerazione
religiosa
si
può
facilmente
dedurre
nella
diffusione
della
pratica
della
Imitatio
Christi.
Si
trattava
di
una
forma
di
spiritualità
diffusa
in
Europa
che
consisteva
nel
prendere
letteralmente
ad
esempio
la
vita
di
Cristo
e
nel
seguire
radicalmente
i
suoi
insegnamenti.
Questo
nuovo
credo
mistico
si
dimostrò
essere
particolarmente
persuasivo
tra
i
ranghi
più
umili
della
Chiesa
e
nelle
comunità.
Infatti,
proprio
in
questo
periodo
fiorirono
nuovi
ordini
religiosi,
come
i
cistercensi
che
basarono
la
loro
regola
sul
seguire
incondizionatamente
il
sentiero
di
Cristo:
da
una
parte
adottarono
uno
stile
di
vita
frugale,
dall’altra
si
dedicarono
alla
predicazione
e
alla
difesa
militante
della
fede
che
interpretavano,
seguendo
le
parole
di
San
Paolo,
come
la
“buona
battaglia”
per
combattere
i
nemici
della
fede
(Paolo,
Tim.
2,4:
6-7).
Questa
tendenza
verso
l’imitazione
di
Cristo
influenzò
anche
le
comunità
spirituali
che
erano
esterne
alla
gerarchia
ecclesiastica;
tra
loro
alcune
presero
tratti
di
violenza
esplicita
contro
la
corruzione
e la
decadenza
della
Chiesa,
come
nel
caso
dei
Patari
che
si
scagliavano
contro
la
simonia
dei
ricchi
arcivescovi
di
Milano
(Quaranta,
2000,
pp.
59-69).
Tuttavia,
alcune
di
queste
comunità
iniziarono
a
sviluppare
credi
opposti
ai
dogmi
della
Chiesa.
Tra
queste,
quelle
che
più
pericolosamente
minacciavano
la
dottrina
della
fede
erano
i
Catari
o
Albigesi.
Questi
infatti,
seguendo
la
vecchia
dottrina
manichea,
credevano
in
due
divinità:
un
dio
malvagio
che
aveva
creato
la
materia
e un
dio
buono
che
invece
aveva
creato
lo
spirito.
Essi
erano
convinti
che
Satana
avesse
ormai
corrotto
irrimediabilmente
il
mondo
e i
corpi
umani
e
per
questo
motivo
rifiutavano
ogni
forma
di
rappresentazione
fisica
della
fede
che
apparteneva
esclusivamente
alla
dimensione
spirituale.
I
catari,
in
virtù
di
questi
concetti
così
radicali,
ebbero
un
prorompente
impatto
sulla
società:
essi
infatti
rifiutavano
la
messa,
il
matrimonio,
il
battesimo
e,
soprattutto,
mettevano
in
dubbio
l’autorità
della
classe
religiosa
e il
suo
diritto
esclusivo
di
celebrare
l’Eucarestia
(Costen,
1997,
p.
58).
Inoltre,
essi,
prendendo
alla
lettera
la
proibizione
evangelica
del
non
giurare
(Matteo,
5:34),
si
rifiutavano
di
fare
giuramenti;
in
questo
modo,
da
una
parte
evitavano
il
pericolo
di
una
condanna
giuridica
per
il
loro
credo,
dall’altra
però
infrangevano
le
convenzioni
legali
accettate
dalla
società
e
garantite
dalla
Chiesa:
questo
era
abbastanza
per
assicurare
loro
la
condanna
per
eresia
(Costen,
1997,
p.
60).
La
situazione
divenne
inaccettabile
quando
questa
eresia,
che
aveva
definitivamente
assunto
una
posizione
di
chiaro
conflitto
con
la
dottrina
cristiana,
cominciò
a
diffondersi
rapidamente
in
Linguadoca,
soprattutto
nella
regione
di
Albi.
Inizialmente
il
conte
di
Tolosa,
i
signori
di
Provenza
e
alcuni
prelati
come
i
vescovi
di
Tolosa
e
Carcassone
e
l’arcivescovo
di
Narbona,
avevano
permesso
ai
catari
di
predicare
nei
villaggi;
in
questo
modo
non
solo
si
erano
diffusi
ma
aveva
ricevuto
importanti
donazioni
e
lasciti.
Innocenzo
III,
che
aveva
impostato
tutta
la
sua
opera
teocratica
affermando
l’autorità
suprema
della
Chiesa
nella
dimensione
spirituale
come
in
quella
temporale
(Moore,
2003,
p.
171),
non
poteva
tollerare
la
situazione
che
si
stava
delineando
in
Francia
meridionale
e
che
minacciava
direttamente
la
supremazia
e
l’immagine
della
Chiesa.
Nonostante
la
bolla
di
Lucio
III
Ad
Abdolendum
stabilisse
che
l’eliminazione
dell’eresia
fosse
una
responsabilità
primaria
dei
vescovi
(Moore,
2003,
p.
149),
Innocenzo
concepì
la
soppressione
dell’eresia
catara
come
una
stringente
responsabilità
personale
in
quanto
primo
difensore
della
fede,
per
questo
impiegò
tutte
le
sue
energie
e il
suo
zelo
nella
sua
eradicazione
dalla
Francia
meridionale.
Infatti,
in
una
lettera
all’arcivescovo
di
Auch,
egli
scriveva
che
gli
eretici
erano
dei
“ministri
dell’errore
diabolico”
che
cercavano
di
distruggere
l’unità
della
Chiesa,
per
questo
era
necessario
sopprimerli
anche
a
costo
di
passarli
a
fil
di
spada
(Innocent
III,
On
Heresy:
Letter
to
the
Archbishob
of
Auch,
1198).
Ciononostante,
papa
Innocenzo
non
voleva
usare
immediatamente
la
forza
per
eliminare
l’eresia
albigese.
Infatti
intendeva
certo
sradicarla
ma
al
tempo
stesso
era
intenzionato
a
contenere
questi
movimenti
di
rinnovamento
spirituale
nei
confini
dell’ortodossia.
La
connessione
tra
eresia
e
clero
corrotto
costituiva
non
a
caso
un
tema
ricorrente
nelle
sue
lettere
e
nei
suoi
sermoni;
egli
era
convinto
della
necessità
di
mostrare
l’immagine
di
un
papato
puro
e
super
partes
in
modo
tale
da
dimostrare
lo
stesso
grado
di
rigidità
e
inflessibilità
sia
verso
gli
eretici
che
verso
la
corruzione
interna
alla
Chiesa
(Moore,
2003,
p.
166).
Tuttavia
la
situazione
in
Provenza
era
irrecuperabile.
Raimondo
VI
di
Tolosa
non
solo
supportava
gli
eretici
permettendo
loro
di
predicare
nelle
città,
ma
requisiva
le
terre
del
clero
locale.
Perciò
Innocenzo
minacciò
tutti
coloro
che
appoggiavano
l’eresia
di
bandire
una
crociata
contro
di
loro
in
quanto
nemici
di
Cristo
e
persecutori
della
fede
(Moore,
2003,
p.
169).
La
minaccia
divenne
realtà
nel
1208
quando
il
papa
chiamò
alle
armi
i
principi
di
Francia
affinché
levassero
le
loro
spade
in
difesa
di
Cristo
e
della
Chiesa
contro
la
“grave
ingiuria”
dell’eresia
(Perer
of
Les
Vaux-de-Cernay,
Historia
Albigensis,
64,
trad.
W.A.
and
M.
D.
Sibly,
1998,
p.
37).
L’elemento
di
straordinaria
novità
introdotto
da
Innocenzo
III
fu
l’applicazione
del
concetto
di
crociata,
ormai
una
categoria
mentale
del
mondo
medievale,
ad
una
guerra
che
venne
combattuta
in
un
contesto
diverso
da
quello
tradizionale.
I
nemici
da
combattere
non
erano
più
gli
infedeli
che
occupavano
ignominiosamente
la
Terra
Santa,
ma
cristiani
che,
per
il
loro
credo
eterodosso,
mettevano
in
pericolo
l’unità
della
Chiesa
dall’interno.
Infatti,
il
papa
assicurò
tutte
le
tradizionali
ricompense
spirituali
in
modo
tale
da
attrarre
l’assistenza
armata
dei
baroni
di
Francia.
Queste
ricompense
mistiche
erano
la
remissione
dei
peccati
e la
salvezza
dell’anima:
concetti
che
erano
pregni
di
significato
e,
quindi,
particolarmente
influenti
in
una
società
così
profondamente
plasmata
dalla
religione
cristiana.
In
questo
modo
Innocenzo
creò
un
collegamento
ideologico
tre
la
expeditio
sacra
gerosolimitana
e il
conflitto
interno
contro
i
catari,
stabilendo
così
una
sorta
di
equivalenza
di
status
(e
di
significato)
tra
le
due
crociate
che
non
solo
condividevano
gli
aspetti
spirituali
ma
anche,
e
forse
soprattutto,
quelli
secolari.
Infatti,
i
crociati
potevano
reclamare
per
se,
anche
se
per
conto
della
Chiesa,
i
territori
strappati
agli
eretici.
Per
questo
motivo
si
unirono
alla
crociata
albigese
l’elite
nobiliare
del
nord
francese
avida
di
poter
estendere
i
suoi
domini
verso
il
sud
poiché
legittimata
alla
conquista
da
una
chiamata
formale
alla
crociata.
Come
testimoniato
dai
cronisti
del
tempo,
questo
shift
ideologico
era
percepito
dai
contemporanei
come
qualcosa
di
nuovo
poiché
la
promessa
fatta
da
Innocenzo
a
coloro
che
avessero
partecipato
alla
crociata
era
la
stessa
fatta
ai
crociati
a
Gerusalemme
(William
of
Puylaurens,
Chronica,
10).
Di
conseguenza,
l’appello
alla
crociata
tradizionale
per
legittimare
la
guerra
contro
gli
eretici
è
stato
uno
dei
contributi
più
importanti
per
il
successo
della
crociata
albigese.
Infatti,
il
richiamo
delle
ricompense
terrene
e
celesti,
tipico
dell’ideologia
crociata,
permise
ad
Innocenzo
di
raccogliere
un’armata
che
fu
in
grado
di
andare
in
battaglia
con
lo
scopo
particolare
di
proteggere
de
facto
l’autorità
della
Chiesa
in
Europa.
Il
contributo
del
clero
alla
crociata
contro
gli
albigesi
non
dovrebbe
essere
considerato
solo
in
termini
ideologici
ma
anche
in
più
concreti
termini
militari.
Quando
papa
Innocenzo
bandì
la
sua
guerra
santa
contro
gli
eretici,
non
solo
l’elite
laica
francese
prese
la
croce
ma
anche
molti
ecclesiastici
delle
regioni
intorno
la
Linguadoca.
Il
concetto
del
combattimento
spirituale
caratterizzava
la
vita
cristiana
fin
dalle
origini
della
Chiesa,
tuttavia
nei
secoli
XI e
XII
aveva
raggiunto
una
prominenza
che
mai
aveva
avuto
prima.
Nonostante
la
guerra
fosse
divenuta
un
marchio
sempre
più
importante
dei
confini
tra
potere
spirituale
e
temporale,
anche
il
più
attivo
promotore
della
pace
nella
comunità
ecclesiastica
poteva
avere
non
pochi
dubbi
sul
predicare
la
fine
di
tutte
le
guerre
(Smith,
2011,
p.
48).
Infatti,
come
affermava
Bernardo
di
Chiaravalle,
il
servizio
di
Dio
doveva
essere
considerato
principalmente
come
una
strenua
difesa
della
fede,
ogni
uomo
doveva
essere
un
miles
Christi
e
doveva
combattere
i
nemici
di
Dio
con
la
lingua
così
come
con
la
spada
se
necessario.
Tuttavia,
l’eresia
catara
non
poteva
essere
tollerata
ulteriormente
proprio
per
la
sua
carica
eversiva
e,
quindi,
necessitava
di
un
intervento
radicale
sia
del
clero
che
dei
laici.
Di
conseguenza,
come
confermano
le
fonti
contemporanee,
la
crociata
fu
avviata
dall’appello
papale
come
un
atto
di
vendetta
alla
“grave
ingiuria”
fatta
a
Cristo
e
alla
Chiesa
(Throops,
2011,
p.
124).
Per
questo
motivo
molti
prelati
contribuirono
alla
crociata
proprio
per
vendicare
la
fede
offesa.
Alcuni,
come
l’arcivescovo
di
Sens
e i
vescovi
di
Autun,
Clermont
e
Nevers
parteciparono
direttamente
alla
crociata
con
le
loro
milizie
personali
(Pietro
di
Les
Vaux-de-Cernay,
Historia
Albigensis,
82,
p.
37),
altri
invece
contribuirono
indirettamente
ma
non
meno
significativamente.
Per
esempio,
l’arcidiacono
di
Parigi
fornì
un’importane
aiuto
economico
per
la
manutenzione
e
riparazione
delle
macchine
nel
corso
dell’assedio
di
Termes
(Pietro
di
Les
Vaux-de-Cernay,
Historia
Albigensis,
175,
p.
93).
Inoltre,
alla
testa
della
crociata,
nel
ruolo
di
guida
spirituale
e
militare,
vi
era
l’abate
di
Citeaux
e
legato
papale
Arnaud
Amaury
che
si
riteneva
il
responsabile
del
famoso
massacro
di
Béziers.
Al
di
là
della
dubbia
veridicità
storica
della
celebre
frase
“Caedite
eos!
Novit
enim
Dominus
qui
sunt
eius”
attribuita
ad
Amaury,
queste
parole
testimoniano
chiaramente
quale
fosse
la
mentalità
della
Chiesa
e la
comprensione
di
questa
crociata.
Esse
infatti
sono
l’estremo
risultato
di
un
processo
che
ha
reso
estrinseche
le
implicazioni
aggressive
dell’ideale
spirituale
del
miles
Christi
formulato
da
Bernardo
di
Chiaravalle.
Il
comandamento
biblico
a
combattere
contro
coloro
che
si
opponevano
a
Dio
e
alla
Rivelazione
spronava
gli
uomini
alla
guerra.
Certo
però,
da
una
guerra
dialettica
armata
di
penna
e
fervore
ad
una
combattuta
con
le
armi
il
passo
è
breve.
All’interno
del
contesto
della
crociata
albigese,
questo
ideale
della
lotta
per
la
difesa
della
fede
divenne
pervasivo
tra
la
gente
non
impegnata
direttamente
nella
guerra
soprattutto
attraverso
la
liturgia
e la
predicazione.
Infatti,
un
ulteriore
contributo
fornito
dalla
compagine
ecclesiastica
per
la
crociata
contro
i
catari
fu
la
straordinaria
influenza
psicologica
ed
ideologica
sulla
società
ottenuta
per
mezzo
delle
attività
di
predicazione.
I
sermoni,
specialmente
quelli
dei
cistercensi,
posarono
le
fondamenta
per
la
legittimazione
non
solo
dell’uso
dogmatico
dell’idea
tradizionale
di
crociata
verso
un
nemico
interno
della
Chiesa,
ma
persuasero
anche
le
comunità
cristiane
della
giustizia
di
una
crociata
formale
contro
altri
cristiani.
Per
esempio,
un
sermone
anonimo
predicato
a
Montpellier
teorizza
la
possibilità
di
una
triplice
dispiegamento
dell’ostilità
contro
la
Croce:
il
ripudio
dell’incarnazione
di
Cristo,
la
negazione
della
sua
passione
e la
vergogna
della
sua
crocifissione.
Questa
elaborazione
teorica
in
realtà
rivela
un
attacco
al
credo
cataro;
infatti
in
un
passaggio
successivo
il
predicatore
aggiunge
che
chi
aderisce
a
questo
credo
malvagio
è un
nemico
della
fede
e
dimostra
la
sua
infidelitas
e la
sua
mancanza
di
compassione
(Kienzle,
2009,
p.
21).
I
sermoni,
in
relazione
al
contesto
nel
quale
venivano
predicati
e al
loro
contenuto,
avevano
una
grande
influenza
sul
loro
pubblico
che
era
costituito
indistintamente
dal
popolo
così
come
dall’elite.
Per
esempio,
anche
il
prelato
Phillips
il
Cancelliere
aderì
con
convinzione
all’appello
alla
crociata
contro
gli
albigesi.
Nei
suoi
sermoni,
infatti,
egli
descriveva
la
Chiesa
come
una
povera
donna
assediata
dall’infedeltà
e
dalla
crudeltà
degli
eretici,
per
cui
sia
i
laici
che
il
clero
dovevano
unirsi
ed
essere
le
braccia
della
Santa
Sede
e
per
combattere
contro
i
suoi
nemici
(Meier,
1997,
p.
642).
A
ciò
bisogna
aggiungere
che
la
liturgia
era
strettamente
connessa
alla
predicazione
di
sermoni,
era
infatti
una
parte
essenziale
per
la
diffusione
dell’ideale
crociato
nella
comunità
cristiana.
Infatti,
reti
presenti
tra
i
ranghi
delle
armate
crociate
officiavano
ogni
forma
di
celebrazione
liturgica,
dalle
messe
alle
veglie
di
preghiera.
Lo
stesso
accadeva
in
patria
tra
la
popolazione
che
partecipava
con
fervore
alle
liturgie
pregando
per
il
successo
della
crociata
(Smith,
2011,
p.
28).
Infatti,
come
afferma
Meier,
la
liturgia
plasmava
la
consapevolezza
di
coloro
che
ne
erano
coinvolti,
era
una
attuazione
dei
sentimenti
religiosi,
delle
paure
e
delle
preoccupazioni
e,
quindi,
un
elemento
vitale
per
il
meccanismo
della
crociata
poiché
sviluppava
nella
popolazione
una
consapevolezza
quotidiana
della
crociata
e
del
contributo
personale
che
con
la
propria
preghiera
ognuno
poteva
e
doveva
apportare
(Meier,
1997,
p.
639).
In
conclusione,
il
contributo
della
compagine
ecclesiastica
al
successo
della
crociata
albigese
può
essere
sintetizzato
in
un’analisi
su
tre
differenti
livelli.
In
prima
istanza,
la
Chiesa
ha
contribuito
materialmente
al
successo
militare
della
crociata,
assumendo
un
ruolo
decisivo
nelle
attività
di
coordinamento
militare
e
nelle
responsabilità
decisionali,
o
indirettamente
attraverso
il
supporto
finanziario
per
le
necessità
della
guerra.
In
secondo
luogo,
il
clero
ha
avuto
una
profonda
influenza
sul
popolo
attraverso
la
predicazione
e la
liturgia:
da
una
parte
queste
erano
i
megafoni
di
propagazione
verso
la
comunità
dell’ideale
della
lotta
contro
gli
eretici,
dall’altra
coinvolgevano
direttamente
la
popolazione
che
era
convinta
di
contribuire
attivamente
al
successo
della
crociata
in
modo
da
guadagnarsi
proporzionalmente
la
sua
parte
di
paradiso.
Infine,
il
papato
ha
apportato
un
contributo
ideologico
che
include
e
sintetizza
i
punti
precedenti.
Infatti,
Innocenzo
III
adottò
i
contenuti
e le
ricompense
della
crociata
tradizionale
al
nuovo
contesto
della
lotta
contro
nemici
interni
che
avevano
messo
in
discussione
la
sua
autorità
suprema.
In
questo
modo
ha
contribuito
a
far
emergere
un
nuovo
modello
di
crociata
che,
se
da
un
lato
si
distanziava
nel
contesto
e
nello
scopo
dalla
crociata
gerosolimitana
(per
la
quale
Innocenzo
lottò
continuamente
e
con
lo
stesso
zelo),
allo
stesso
tempo
ha
tratto
vantaggio
dalle
caratteristiche
spirituali
e
culturali
della
crociata
che
erano
parte
integrante
della
mentalità
del
tempo.
Per
questo
motivo,
si è
assistito
a un
fondamentale
cambiamento
ideologico,
nato
da
necessità
contingenti,
ma
che
si
dimostrerà
decisivo
per
tutta
la
successiva
comprensione
della
crociata.
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