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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

"SRADICARE IL SEME MALVAGIO"
Una valutazione del contributo della Chiesa nella crociata albigese

di Gabriele Passabì

 

Un vecchio proverbio toscano recita: “frenesia, gelosia, eresia, mai sono sanate per alcuna via”. La saggezza degli antichi, spesso trasmessa attraverso la tradizione orale, ci suggerisce molto del passato: in particolare ci rivela le mentalità.

 

In questo caso, si può comprendere con chiarezza che l’eresia era considerata uno dei mali peggiori: il cuore di un uomo corrotto dalle menzogne dell’eresia era senza speranza, destinato alla dannazione eterna. Perciò l’unica soluzione possibile era quella di combattere quella terribile menzogna con veemenza in modo tale da sradicarne una volta per tutte il seme malvagio. Ironicamente, il trattamento era considerato efficace allo stesso modo anche per la gelosia e la follia.

 

Tra il 1209 e il 1229 la Francia meridionale fu sconvolta dalla guerra. Le città erano assediate e messe a ferro e fuoco, i cittadini venivano uccisi brutalmente poiché erano considerati eretici: nemici di Dio e della Chiesa.

 

Questa guerra, voluta fortemente dai più eminenti baroni e prelati di Francia e diretta contro le città della costa mediterranea, sembra quasi confermare le parole del proverbio che, di conseguenza, si dimostra essere molto più storicamente vero di quanto non faccia apparire.

 

Le crociate contro gli albigesi, infatti, furono tra i più zelanti tentativi della Chiesa di affermare con la forza l’assoluta supremazia della fede, cercando di distruggere fisicamente le roccaforti dell’eresia catara che minacciavano la sua autorità. Inoltre, questa, per le sue implicazioni ideologiche e culturali, ha rappresentato un momento di svolta per i metodi di predicazione e per un uso nuovo proprio del concetto di crociata.

 

L’obiettivo di questo saggio infatti è proprio quello di indagare quale fosse il ruolo giocato dalla compagine ecclesiastica nello sviluppo e nel perseguimento della crociata contro i catari della Francia meridionale. Il clero, infatti, ebbe un’influenza straordinaria per la teorizzazione, realizzazione e diffusione della guerra santa.

 

Da una parte il suo contributo si può definire in termini militari, infatti molti arcivescovi francesi andarono a riempire i ranghi delle elite secolari con le loro milizie private. Dall’altra il papato e gli ecclesiastici si dimostrarono essere cruciali nella predicazione della crociata stessa, sfruttando opportunamente i proclami tipici della crociata tradizionale: l’indulgenza e la promessa di salvezza dell’anima dalla dannazione.

 

Eppure la predicazione della crociata non attrasse soltanto gli esponenti più in vista dell’elite secolare di Francia per la sua ricompensa mistica; essa infatti fornì anche la legittimazione per un atto di guerra e di vera e propria conquista territoriale ai danni delle regioni meridionali della Francia.

 

Inoltre, il contributo della chiesa deve essere valutato anche per l’aver determinato un significativo cambiamento ideologico che risultò di grande influenza in tutta la successiva comprensione della crociata stessa (Purcell, 1975, p. 18).

 

L’idea di crociata infatti era divenuta parte integrante della mentalità medievale: si trattava di una struttura mentale per la decodificazione della realtà in un mondo profondamente influenzato dalla religione cristiana.

 

Tuttavia, come afferma Riley-Smith, la crociata tradizionale era qualcosa di diverso: si trattava di un pellegrinaggio armato per la liberazione di Gerusalemme, una expeditio sacra proclamata per liberare fisicamente la Terra Santa dall’illegittimo e vergognoso dominio infedele (Riley-Smith, 1993, p. 22).

 

Gerusalemme infatti era considerata una santa reliquia sulla Terra nella quale Dio stesso aveva posato lo sguardo nella sua scelta di redimere l’umanità dal peccato. Eppure, durante il primo decennio del XIII secolo questa idea non richiamava alla mente soltanto la guerra per il recupero della Città Santa.

 

La crociata era diventata una categoria culturale che aveva modellato la mentalità dei contemporanei a tal punto che poteva essere usata con lo stesso successo (e lo stesso grado di adesione di credibilità) verso nuovi nemici della fede: gli eretici.

 

Il XII secolo era stato un secolo di grande fervore mistico e spirituale che si era manifestato come una tensione al rinnovamento ed alla trasformazione sia interna che esterna della Chiesa.

 

Queste nuove pressioni, infatti, erano evidenti specialmente sotto forma di attacchi all’assenza di morale della compagine ecclesiastica e di denuncia di un’etica ormai corrotta. Infatti, ciò che subiva le condanne più feroci era l’immagine stessa della Chiesa che si mostrava in netto contrasto con l’esempio di povertà e umiltà offerto dai vangeli.

 

La sintesi di questa necessità di rigenerazione religiosa si può facilmente dedurre nella diffusione della pratica della Imitatio Christi. Si trattava di una forma di spiritualità diffusa in Europa che consisteva nel prendere letteralmente ad esempio la vita di Cristo e nel seguire radicalmente i suoi insegnamenti.

 

Questo nuovo credo mistico si dimostrò essere particolarmente persuasivo tra i ranghi più umili della Chiesa e nelle comunità. Infatti, proprio in questo periodo fiorirono nuovi ordini religiosi, come i cistercensi che basarono la loro regola sul seguire incondizionatamente il sentiero di Cristo: da una parte adottarono uno stile di vita frugale, dall’altra si dedicarono alla predicazione e alla difesa militante della fede che interpretavano, seguendo le parole di San Paolo, come la “buona battaglia” per combattere i nemici della fede (Paolo, Tim. 2,4: 6-7).

 

Questa tendenza verso l’imitazione di Cristo influenzò anche le comunità spirituali che erano esterne alla gerarchia ecclesiastica; tra loro alcune presero tratti di violenza esplicita contro la corruzione e la decadenza della Chiesa, come nel caso dei Patari che si scagliavano contro la simonia dei ricchi arcivescovi di Milano (Quaranta, 2000, pp. 59-69).

 

Tuttavia, alcune di queste comunità iniziarono a sviluppare credi opposti ai dogmi della Chiesa. Tra queste, quelle che più pericolosamente minacciavano la dottrina della fede erano i Catari o Albigesi. Questi infatti, seguendo la vecchia dottrina manichea, credevano in due divinità: un dio malvagio che aveva creato la materia e un dio buono che invece aveva creato lo spirito.

 

Essi erano convinti che Satana avesse ormai corrotto irrimediabilmente il mondo e i corpi umani e per questo motivo rifiutavano ogni forma di rappresentazione fisica della fede che apparteneva esclusivamente alla dimensione spirituale.

 

I catari, in virtù di questi concetti così radicali, ebbero un prorompente impatto sulla società: essi infatti rifiutavano la messa, il matrimonio, il battesimo e, soprattutto, mettevano in dubbio l’autorità della classe religiosa e il suo diritto esclusivo di celebrare l’Eucarestia (Costen, 1997, p. 58).

 

Inoltre, essi, prendendo alla lettera la proibizione evangelica del non giurare (Matteo, 5:34), si rifiutavano di fare giuramenti; in questo modo, da una parte evitavano il pericolo di una condanna giuridica per il loro credo, dall’altra però infrangevano le convenzioni legali accettate dalla società e garantite dalla Chiesa: questo era abbastanza per assicurare loro la condanna per eresia (Costen, 1997, p. 60).

 

La situazione divenne inaccettabile quando questa eresia, che aveva definitivamente assunto una posizione di chiaro conflitto con la dottrina cristiana, cominciò a diffondersi rapidamente in Linguadoca, soprattutto nella regione di Albi.

 

Inizialmente il conte di Tolosa, i signori di Provenza e alcuni prelati come i vescovi di Tolosa e Carcassone e l’arcivescovo di Narbona, avevano permesso ai catari di predicare nei villaggi; in questo modo non solo si erano diffusi ma aveva ricevuto importanti donazioni e lasciti.

 

Innocenzo III, che aveva impostato tutta la sua opera teocratica affermando l’autorità suprema della Chiesa nella dimensione spirituale come in quella temporale (Moore, 2003, p. 171), non poteva tollerare la situazione che si stava delineando in Francia meridionale e che minacciava direttamente la supremazia e l’immagine della Chiesa.

 

Nonostante la bolla di Lucio III Ad Abdolendum stabilisse che l’eliminazione dell’eresia fosse una responsabilità primaria dei vescovi (Moore, 2003, p. 149), Innocenzo concepì la soppressione dell’eresia catara come una stringente responsabilità personale in quanto primo difensore della fede, per questo impiegò tutte le sue energie e il suo zelo nella sua eradicazione dalla Francia meridionale.

 

Infatti, in una lettera all’arcivescovo di Auch, egli scriveva che gli eretici erano dei “ministri dell’errore diabolico” che cercavano di distruggere l’unità della Chiesa, per questo era necessario sopprimerli anche a costo di passarli a fil di spada (Innocent III, On Heresy: Letter to the Archbishob of Auch, 1198).

 

Ciononostante, papa Innocenzo non voleva usare immediatamente la forza per eliminare l’eresia albigese. Infatti intendeva certo sradicarla ma al tempo stesso era intenzionato a contenere questi movimenti di rinnovamento spirituale nei confini dell’ortodossia.

 

La connessione tra eresia e clero corrotto costituiva non a caso un tema ricorrente nelle sue lettere e nei suoi sermoni; egli era convinto della necessità di mostrare l’immagine di un papato puro e super partes in modo tale da dimostrare lo stesso grado di rigidità e inflessibilità sia verso gli eretici che verso la corruzione interna alla Chiesa (Moore, 2003, p. 166).

 

Tuttavia la situazione in Provenza era irrecuperabile. Raimondo VI di Tolosa non solo supportava gli eretici permettendo loro di predicare nelle città, ma requisiva le terre del clero locale. Perciò Innocenzo minacciò tutti coloro che appoggiavano l’eresia di bandire una crociata contro di loro in quanto nemici di Cristo e persecutori della fede (Moore, 2003, p. 169).

 

La minaccia divenne realtà nel 1208 quando il papa chiamò alle armi i principi di Francia affinché levassero le loro spade in difesa di Cristo e della Chiesa contro la “grave ingiuria” dell’eresia (Perer of Les Vaux-de-Cernay, Historia Albigensis, 64, trad. W.A. and M. D. Sibly, 1998, p. 37).

 

L’elemento di straordinaria novità introdotto da Innocenzo III fu l’applicazione del concetto di crociata, ormai una categoria mentale del mondo medievale, ad una guerra che venne combattuta in un contesto diverso da quello tradizionale.

 

I nemici da combattere non erano più gli infedeli che occupavano ignominiosamente la Terra Santa, ma cristiani che, per il loro credo eterodosso, mettevano in pericolo l’unità della Chiesa dall’interno. Infatti, il papa assicurò tutte le tradizionali ricompense spirituali in modo tale da attrarre l’assistenza armata dei baroni di Francia.

 

Queste ricompense mistiche erano la remissione dei peccati e la salvezza dell’anima: concetti che erano pregni di significato e, quindi, particolarmente influenti in una società così profondamente plasmata dalla religione cristiana.

 

In questo modo Innocenzo creò un collegamento ideologico tre la expeditio sacra gerosolimitana e il conflitto interno contro i catari, stabilendo così una sorta di equivalenza di status (e di significato) tra le due crociate che non solo condividevano gli aspetti spirituali ma anche, e forse soprattutto, quelli secolari.

 

Infatti, i crociati potevano reclamare per se, anche se per conto della Chiesa, i territori strappati agli eretici. Per questo motivo si unirono alla crociata albigese l’elite nobiliare del nord francese avida di poter estendere i suoi domini verso il sud poiché legittimata alla conquista da una chiamata formale alla crociata.

 

Come testimoniato dai cronisti del tempo, questo shift ideologico era percepito dai contemporanei come qualcosa di nuovo poiché la promessa fatta da Innocenzo a coloro che avessero partecipato alla crociata era la stessa fatta ai crociati a Gerusalemme (William of Puylaurens, Chronica, 10).

 

Di conseguenza, l’appello alla crociata tradizionale per legittimare la guerra contro gli eretici è stato uno dei contributi più importanti per il successo della crociata albigese. Infatti, il richiamo delle ricompense terrene e celesti, tipico dell’ideologia crociata, permise ad Innocenzo di raccogliere un’armata che fu in grado di andare in battaglia con lo scopo particolare di proteggere de facto l’autorità della Chiesa in Europa.

 

Il contributo del clero alla crociata contro gli albigesi non dovrebbe essere considerato solo in termini ideologici ma anche in più concreti termini militari. Quando papa Innocenzo bandì la sua guerra santa contro gli eretici, non solo l’elite laica francese prese la croce ma anche molti ecclesiastici delle regioni intorno la Linguadoca.

 

Il concetto del combattimento spirituale caratterizzava la vita cristiana fin dalle origini della Chiesa, tuttavia nei secoli XI e XII aveva raggiunto una prominenza che mai aveva avuto prima.

 

Nonostante la guerra fosse divenuta un marchio sempre più importante dei confini tra potere spirituale e temporale, anche il più attivo promotore della pace nella comunità ecclesiastica poteva avere non pochi dubbi sul predicare la fine di tutte le guerre (Smith, 2011, p. 48). Infatti, come affermava Bernardo di Chiaravalle, il servizio di Dio doveva essere considerato principalmente come una strenua difesa della fede, ogni uomo doveva essere un miles Christi e doveva combattere i nemici di Dio con la lingua così come con la spada se necessario.

 

Tuttavia, l’eresia catara non poteva essere tollerata ulteriormente proprio per la sua carica eversiva e, quindi, necessitava di un intervento radicale sia del clero che dei laici. Di conseguenza, come confermano le fonti contemporanee, la crociata fu avviata dall’appello papale come un atto di vendetta alla “grave ingiuria” fatta a Cristo e alla Chiesa (Throops, 2011, p. 124).

 

Per questo motivo molti prelati contribuirono alla crociata proprio per vendicare la fede offesa. Alcuni, come l’arcivescovo di Sens e i vescovi di Autun, Clermont e Nevers parteciparono direttamente alla crociata con le loro milizie personali (Pietro di Les Vaux-de-Cernay, Historia Albigensis, 82, p. 37), altri invece contribuirono indirettamente ma non meno significativamente.

 

Per esempio, l’arcidiacono di Parigi fornì un’importane aiuto economico per la manutenzione e riparazione delle macchine nel corso dell’assedio di Termes (Pietro di Les Vaux-de-Cernay, Historia Albigensis, 175, p. 93). Inoltre, alla testa della crociata, nel ruolo di guida spirituale e militare, vi era l’abate di Citeaux e legato papale Arnaud Amaury che si riteneva il responsabile del famoso massacro di Béziers.

 

Al di là della dubbia veridicità storica della celebre frase “Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius” attribuita ad Amaury, queste parole testimoniano chiaramente quale fosse la mentalità della Chiesa e la comprensione di questa crociata. Esse infatti sono l’estremo risultato di un processo che ha reso estrinseche le implicazioni aggressive dell’ideale spirituale del miles Christi formulato da Bernardo di Chiaravalle.

 

Il comandamento biblico a combattere contro coloro che si opponevano a Dio e alla Rivelazione spronava gli uomini alla guerra. Certo però, da una guerra dialettica armata di penna e fervore ad una combattuta con le armi il passo è breve.

 

All’interno del contesto della crociata albigese, questo ideale della lotta per la difesa della fede divenne pervasivo tra la gente non impegnata direttamente nella guerra soprattutto attraverso la liturgia e la predicazione. Infatti, un ulteriore contributo fornito dalla compagine ecclesiastica per la crociata contro i catari fu la straordinaria influenza psicologica ed ideologica sulla società ottenuta per mezzo delle attività di predicazione.

 

I sermoni, specialmente quelli dei cistercensi, posarono le fondamenta per la legittimazione non solo dell’uso dogmatico dell’idea tradizionale di crociata verso un nemico interno della Chiesa, ma persuasero anche le comunità cristiane della giustizia di una crociata formale contro altri cristiani.

 

Per esempio, un sermone anonimo predicato a Montpellier teorizza la possibilità di una triplice dispiegamento dell’ostilità contro la Croce: il ripudio dell’incarnazione di Cristo, la negazione della sua passione e la vergogna della sua crocifissione.

 

Questa elaborazione teorica in realtà rivela un attacco al credo cataro; infatti in un passaggio successivo il predicatore aggiunge che chi aderisce a questo credo malvagio è un nemico della fede e dimostra la sua infidelitas e la sua mancanza di compassione (Kienzle, 2009, p. 21).

 

I sermoni, in relazione al contesto nel quale venivano predicati e al loro contenuto, avevano una grande influenza sul loro pubblico che era costituito indistintamente dal popolo così come dall’elite. Per esempio, anche il prelato Phillips il Cancelliere aderì con convinzione all’appello alla crociata contro gli albigesi. Nei suoi sermoni, infatti, egli descriveva la Chiesa come una povera donna assediata dall’infedeltà e dalla crudeltà degli eretici, per cui sia i laici che il clero dovevano unirsi ed essere le braccia della Santa Sede e per combattere contro i suoi nemici (Meier, 1997, p. 642).

 

A ciò bisogna aggiungere che la liturgia era strettamente connessa alla predicazione di sermoni, era infatti una parte essenziale per la diffusione dell’ideale crociato nella comunità cristiana. Infatti, reti presenti tra i ranghi delle armate crociate officiavano ogni forma di celebrazione liturgica, dalle messe alle veglie di preghiera.

 

Lo stesso accadeva in patria tra la popolazione che partecipava con fervore alle liturgie pregando per il successo della crociata (Smith, 2011, p. 28). Infatti, come afferma Meier, la liturgia plasmava la consapevolezza di coloro che ne erano coinvolti, era una attuazione dei sentimenti religiosi, delle paure e delle preoccupazioni e, quindi, un elemento vitale per il meccanismo della crociata poiché sviluppava nella popolazione una consapevolezza quotidiana della crociata e del contributo personale che con la propria preghiera ognuno poteva e doveva apportare (Meier, 1997, p. 639).

 

In conclusione, il contributo della compagine ecclesiastica al successo della crociata albigese può essere sintetizzato in un’analisi su tre differenti livelli.

 

In prima istanza, la Chiesa ha contribuito materialmente al successo militare della crociata, assumendo un ruolo decisivo nelle attività di coordinamento militare e nelle responsabilità decisionali, o indirettamente attraverso il supporto finanziario per le necessità della guerra.

 

In secondo luogo, il clero ha avuto una profonda influenza sul popolo attraverso la predicazione e la liturgia: da una parte queste erano i megafoni di propagazione verso la comunità dell’ideale della lotta contro gli eretici, dall’altra coinvolgevano direttamente la popolazione che era convinta di contribuire attivamente al successo della crociata in modo da guadagnarsi proporzionalmente la sua parte di paradiso.

 

Infine, il papato ha apportato un contributo ideologico che include e sintetizza i punti precedenti. Infatti, Innocenzo III adottò i contenuti e le ricompense della crociata tradizionale al nuovo contesto della lotta contro nemici interni che avevano messo in discussione la sua autorità suprema.

 

In questo modo ha contribuito a far emergere un nuovo modello di crociata che, se da un lato si distanziava nel contesto e nello scopo dalla crociata gerosolimitana (per la quale Innocenzo lottò continuamente e con lo stesso zelo), allo stesso tempo ha tratto vantaggio dalle caratteristiche spirituali e culturali della crociata che erano parte integrante della mentalità del tempo.

 

Per questo motivo, si è assistito a un fondamentale cambiamento ideologico, nato da necessità contingenti, ma che si dimostrerà decisivo per tutta la successiva comprensione della crociata.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Costen, M., The Cathars and the Albigensian Crusade, Manchester 1997

Meier, C. T., Crisis, Liturgy and the Crusade in the Twelfth and Thirteenth Centuries, The Journal of Ecclesiastical History, Oct. 97, pp. 628 – 657

Moore, J. C., Pope Innocent III: 1160/61 – 1216, Leiden 2003

Kienzle, B. M., Preaching the Cross: Liturgy and Crusade Propaganda, Medieval Sermon studies, Vol. 53, 2009, pp. 11-32

Purcell, M., Papal Crusading Policy: 1244-1291, Leiden 1975

Quaranta, F., Preti Sposati nel Medioevo, Turin 2000

Riley-Smith, J., The First Crusade and the Idea of Crusading, London 1993

Throops, S. A.,Crusading as an Act of Vengeance, Ashgate 2011

Smith, K. A., War and the Making of Medieval Monastic Culture, Woodbridge 2011



 

 

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