N. 87 - Marzo 2015
(CXVIII)
UNA SVEDESE A ROMA
STORIA DELLA REGINA Cristina di Svezia
di Federica Antonini
“Felici
faustoque
ingressui
MDCLV”
Accedendo
in
Piazza
del
Popolo
dall’antica
Porta
Flaminia,
ci
accoglie
questa
iscrizione
che
Alessandro
VII
volle
in
occasione
dell’entrata
trionfale
in
città,
il
23
Dicembre
1655,
di
Cristina
di
Svezia,
fresca
di
abiura
del
protestantesimo
e
abdicazione
al
trono
su
cui
era
salita
all’età
di
sei
anni.
Grandiosi
festeggiamenti
furono
organizzati
dalle
più
influenti
famiglie
patrizie
in
onore
di
questa
figura
minuta,
con
tanto
di
naso
aquilino,
voci
e
gesti
mascolini,
che
viveva
dedicandosi
all’astrologia,
all’alchimia,
circondata
dalle
migliori
menti
e
artisti
dell’epoca,
sperperando
patrimoni
e
immersa
nei
debiti.
Straordinaria
personalità,
affascinante
e
risoluta,
religiosa
e
libertina,
coltissima
e
bizzarra:
con
la
sua
condotta
anticonformista
fu
donna
di
vanto
e
scandalo
vivente
insieme.
Ovunque
andasse
lasciava
tracce
di
sé,
alcune
insolite
e
forse
frutto
dell’immaginario
popolare,
come
la
palla
di
cannone
che
zampilla
acqua
nella
fontana
del
piazzale
prospiciente
Villa
Medici,
che
si
dice
sia
stata
esplosa
da
Castel
Sant’Angelo
dalla
stessa
Cristina.
Il
suo
temperamento
volubile
e
tempestoso
unito
al
comportamento
poco
ortodosso
che
le
aveva
attirato
le
antipatie
dell’ambiente
nobiliare
romano,
la
indussero
a
partire,
con
il
suo
seguito
di
circa
mille
uomini
di
cavalleria,
alla
volta
della
Francia
in
cerca
di
protezione
e
appoggi
politici.
Nel
castello
di
Fontainebleau
si
macchiò,
nel
1657,
di
un
delitto
efferato,
l’uccisione
del
suo
Grande
Scudiero
e
Cavallerizzo
Maggiore,
nonché
amante,
Marchese
Gian
Rinaldo
Monaldeschi,
accusato
di
tradimento
ma
probabilmente
vittima
di
una
congiura.
Cristina
così
sensibile
e
gentile
d’animo,
ferita
nell’orgoglio
e
nella
dignità
di
donna,
non
mostrò
la
benché
minima
pietà
nei
confronti
di
chi
si
era
fino
ad
allora
mostrato
devoto
e
cieco
servitore.
La
fine
atroce
del
marchese,
morto
dissanguato
dopo
ore
di
sofferenze,
le
attirò
l’attenzione
di
tutta
l’Europa.
Lo
stesso
pontefice,
saputo
dell’imminente
suo
ritorno
a
Roma,
le
consigliò
di
ritirarsi
in
convento,
ma
ella,
ovviamente,
non
aveva
nessuna
intenzione
di
seguire
il
cortese
invito
papale.
Fondò
a
Palazzo
Corsini
un
raffinato
cenacolo
di
artisti
e
letterati,
primo
nucleo
dell’Accademia
dell’Arcadia,
diventando
il
centro
della
vita
intellettuale
romana,
raccogliendo
un’immensa
biblioteca
ed
una
ricca
collezione
d’arte.
Morì
nel
1689
e fu
seppellita
in
S.Pietro,
onore
riservato
solo
ai
papi,
consolata,
forse,
dal
fatto
di
essere,
per
usare
le
sue
stesse
parole
“
morta
in
mezzo
agli
uomini
e
non
alle
bestie”.