N. 36 - Dicembre 2010
(LXVII)
Cristiani in Iraq
Una persecuzione denunciata troppo tardi
di Lawrence M.F. Sudbury
Il
mondo
si
indigna,
il
Vaticano
denuncia,
i
governi
occidentali
esprimono
il
loro
cordoglio,
la
loro
solidarietà
alle
vittime
e la
loro
viva
condanna
per
il
vile
gesto.
Il
solito
iter,
insomma,
di
quando
un
attentato
terroristico
colpisce
una
comunità
cristiana
in
Medio
Oriente
o in
qualunque
altra
parte
del
globo.
Almeno,
però,
i
recenti
attacchi
ai
Cristiani
di
Bagdad
hanno
avuto
il
merito
(ammesso
che
tale
termine
si
possa
mai
utilizzare
riguardo
ad
una
tragedia
immane)
di
focalizzare,
seppur
brevemente
e
nella
generale
disattenzione
che
caratterizza
questo
genere
di
notizie,
l'attenzione
dell'opinione
pubblica
sulla
situazione
terrificante
dei
seguaci
di
Cristo,
di
qualsiasi
Denominazione,
in
Iraq.
La
cronaca
degli
ultimi
accadimenti,
riportati
dai
notiziari
delle
reti
televisive
di
tutti
i
Paesi,
è,
in
fondo,
addirittura
banale
nel
suo
orrore:
lo
"Stato
Islamico
dell'Iraq",
uno
delle
centinaia
di
gruppuscoli
legati
ad
al-Qaeda
nell'area
mesopotamica,
dichiara
la
jihad
contro
i
Cristiani
iracheni,
accusandoli
di
proselitismo
e
asservimento
all'occupazione
occidentale.
Segue
il
solito
proclama
feroce
e
delirante
("...
per
i
blasfemi
infedeli
si
apriranno
le
porte
della
distruzione
e
scorreranno
fiumi
di
sangue...")
e,
nel
giro
di
meno
di
due
settimane,
un
attacco
kamikaze
durante
la
celebrazione
domenicale
nella
principale
chiesa
Siro-Cattolica
di
Bagdad
fa
cinquanta
morti
e le
esplosioni
di
undici
ordigni
nella
periferia
cristiana
della
capitale
irachena,
colpendo
indiscriminatamente
negozi
e
abitazioni
di
proprietà
di
membri
della
minoranza
caldea
e
siriaca,
uccidono
almeno
altri
cinque
fedeli,
ferendone
altri
trentatre
(tra
i
quali
un
bambino
di
quattro
mesi).
Insomma,
quasi
ordinaria
amministrazione
in
una
nazione
in
cui
attentati,
uccisioni
indiscriminate,
faide
religiose
e
attacchi
proditori
sono
all'ordine
del
giorno.
Ma
qui
non
abbiamo
a
che
fare
con
questioni
politiche
in
senso
stretto,
con
quella
che
può
essere
addirittura
confusa,
da
chi
forse
non
ha
una
visione
così
chiara
della
distinzione
tra
Islam
religioso,
Islam
politico
e
movimenti
di
liberazione,
come
una
lotta
contro
l'occupazione
del
suolo
nazionale,
non
abbiamo
a
che
fare
con
una
delle
solite
questioni
interne
tra
Sciti
e
Sunniti,
né
con
problemi
etnici:
questi
attacchi
sono,
si
pensa,
l'inizio
di
una
sorta
di
contro-crociata
e né
più
né
meno
che
una
persecuzione
religiosa
di
stampo
medievale.
E il
mondo
s'indigna
...
Quello
stesso
mondo
che
fino
a
ieri,
probabilmente,
non
sapeva,
se
non
forse
vagamente,
neppure
dell'esistenza
dei
Cristiani
iracheni,
perché
se
solo
avesse
avuto
minimamente
coscienza
della
loro
esistenza,
delle
loro
condizioni
di
vita,
può
darsi
che
manifestazioni
di
protesta
e
solidarietà
avrebbero
avuto
luogo
un
po'
prima
e,
certamente,
questi
attentati
non
sarebbero
giunti
inaspettati.
Per
capire
il
senso
di
questa
affermazione
dobbiamo,
prima
di
tutto,
comprendere
un
po'
meglio
chi
sono
questi
Cristiani
mesopotamici
e
conoscerne
un
po'
meglio
la
storia.
Il
grande
storico
Philip
Jenkins
ha,
forse
meglio
di
ogni
altro,
dato
il
senso
dell'importanza
storica
della
comunità
cristiana
irachena
quando
ha
affermato:
"Le
nostre
mappe
mentali
comuni
della
storia
cristiana
omettono
mille
anni
di
quella
storia
e
diversi
milioni
di
miglia
quadrate
di
territorio:
così
come
nessuno
storico
ragionevole
del
Cristianesimo
moderno
ometterebbe
l'Europa
da
tale
storia,
omettere
l'Asia
dallo
studio
del
Cristianesimo
medievale
è
altrettanto
inconcepibile".
Eppure
è
quanto
accade
alla
maggior
parte
dei
Cristiani
occidentali,
che
sembrano
non
tener
conto
dell'importanza
che
l'antica
Mesopotamia
riveste
per
la
loro
religione
addirittura
anteriormente
rispetto
alla
sua
fondazione,
dal
momento
che,
millenni
prima
della
nascita
di
Gesù,
il
popolo
che
un
tempo
abitava
la
"terra
tra
i
fiumi"
ha
dato
origine
alla
radice
giudaica
alla
base
di
essa
("Abramo
fu
chiamato
da
Ur
del
Paese
dei
Caldei"),
gli
Assiri
avevano
il
loro
centro
nella
città
mesopotamica
settentrionale
di
Ninive
quando
portarono
guerra
a
Israele
costringendo
il
re
di
Giuda
a
sottomettersi
al
loro
dominio
e i
Caldei,
in
quel
momento
chiamati
Babilonesi
dalla
loro
capitale
nel
centro-sud
della
stessa
area,
assumevano
un
ruolo
determinante
nello
sviluppo
dell'Ebraismo,
con
la
distruzione
di
Gerusalemme
per
mano
delle
loro
truppe
nel
587
a.C.
e
l'esilio
giudaico
proprio
nell'odierno
Iraq.
Poi,
dopo
le
vicende
evangeliche,
la
tradizione
vuole
che
San
Tommaso
apostolo
abbia
portato
il
Cristianesimo
alla
Mesopotamia
già
nel
33
d.C.,
immediatamente
dopo
essere
giunto
in
quell'area
con
Mar
Addai
e
Mar
Mari
(Mar
in
aramaico
significa
Signore),
fondatori
della
Chiesa
Assira
d'Oriente,
provenendo
dalla
città
siriana
di
Edessa
(oggi
Urfa
in
Turchia
meridionale),
il
che
significherebbe
che
proprio
l'Iraq
sarebbe
stato
la
seconda
area
esterna
alla
Palestina
mai
evangelizzata.
Sempre
secondo
la
tradizione,
il
Cristianesimo
si
diffuse
sia
presso
le
genti
assire
che
presso
quelle
caldee
piuttosto
rapidamente,
nonostante
pare
che,
fin
da
subito,
il
suo
destino
fosse
quello
di
essere
perseguitato.
Una
leggenda
narra
che,
a
nord
della
Mesopotamia,
il
re
assiro
Sennacherib
rimanesse
così
sconvolto
nel
sapere
che
Mar
Matti
aveva
battezzato
suo
figlio
Behnam,
sua
figlia
Sarah
e
quaranta
degli
amici
del
principe
dopo
che
il
santo
aveva
guarito
la
principessa
dalla
lebbra,
che
fece
decapitare
tutti
i
neo-conversi
appena
fuori
da
Mosul
e
impazzì
per
il
dolore,
iniziando
a
vagare
urlando
per
i
campi.
La
regina
era
distrutta
dal
dolore
ma,
improvvisamente,
Behnam
le
apparve
in
sogno
chiedendole
di
portare
Mar
Matti
per
guarire
il
padre:
ella
così
fece
e il
santo
guarì
il
re,
il
quale,
immediatamente,
si
fece
battezzare
e
chiese
al
suo
popolo
di
accettare
il
Cristianesimo
come
religione
ufficiale
del
Paese.
Pur
con
la
tara
doverosa
da
applicare
ad
ogni
tratto
leggendario,
questo
racconto,
databile
già
al I
secolo,
ci
dice
di
una
situazione
di
penetrazione
estesa,
ad
alto
livello,
ma
anche
non
così
pacifica
del
Cristianesimo
nelle
zone
mesopotamiche,
e,
soprattutto,
indica
una
cristianizzazione
ufficiale
dell'area
che
precede
di
quasi
300
anni
quella
dell'occidente
(datando
quest'ultima
all'Editto
di
Milano
del
313),
una
cristianizzazione
di
cui
le
numerose
celle
anacoretiche
nelle
grotte
dei
Mosul
e le
chiese
del
I
secolo
sparse
per
tutto
il
Paese
sono
prove
evidenti.
I
periodo
tra
III
e V
secolo
è
caratterizzato,
dal
punto
di
vista
della
storia
della
Chiesa,
dalle
grandi
dispute
cristologiche
e
l'area
mesopotamica
subisce
pesantemente
il
contraccolpo
delle
lotte
politico-teologiche
che
ne
conseguono.
In
particolare,
è la
questione
nestoriana
del
IV
secolo
a
colpire
fortemente
la
regione:
nel
contrasto
tra
scuola
alessandrina
guidata
da
San
Cirillo,
che
sottolinea
la
natura
divina
di
Cristo
e
vede
la
Madonna
come
"Theotokos"
(genitrice
di
Dio),
e
scuola
antiochena
guidata
dal
Patriarca
di
Costantinopoli
Nestorio,
che
sottolinea
la
natura
umana
di
Cristo
e
vede
la
Madonna
come
"Christotokos"
(genitrice
del
Cristo),
dopo
che
il
Concilio
di
Efeso,
nel
431,
respinge
la
seconda
ipotesi
come
eretica,
la
Chiesa
mesopotamica,
in
funzione
politica
anti-bizantina
(l'imperatore
era
a
favore
di
Cirillo),
abbraccia
in
Nestorianesimo,
separandosi,
di
fatto
e
nella
maggior
parte
dei
suoi
aderenti,
dal
Cattolicesimo
e
isolandosi
per
buona
parte
della
sua
storia
seguente,
ma,
allo
stesso
tempo,
dando
inizio
a un
imponente
processo
missionario
verso
Cina,
India
e
aree
orientali.
A
completare
la
separazione
tra
Cristiani
occidentali
e
Cristiani
iracheni
ci
pensa
la
grande
ondata
musulmana
del
VII
secolo,
con
le
tribù
arabe
che
invadono
tutta
l'area
del
Golfo
e
inducono,
nel
tempo,
a
conversioni
di
massa
all'Islam.
In
realtà,
la
convivenza
tra
i
credenti
nelle
tre
Fedi
monoteistiche,
in
virtù
del
riconoscimento
coranico
delle
radici
ebraico-cristiane
dell'Islam
e
della
protezione
musulmana
ai
"popoli
del
Libro",
non
è,
fatto
salvo
lo
stato
di
dhimmitudine
imposto
a
Israeliti
e
Cristiani,
particolarmente
difficile.
Durante
il
periodo
relativamente
tollerante
del
califfato
abasside
(758-1258),
anzi,
studiosi
sia
assiri
nestoriani
che
giacobiti
(cioè
appartenenti
alla
Confessione
siriaca
monofisita
fondata
da
Giacomo
Baradeo,
condannata
al
Concilio
di
Calcedonia
e
largamente
diffusasi
in
tutto
il
Medio
Oriente)
contribuirono
enormemente
al
progresso
della
civiltà
islamica,
fungendo
da
"ponte"
tra
le
conoscenze
greco-siriache
e
quelle
arabe
e
dando
luogo
a
quella
che
viene
definita
"età
dell'oro"
della
letteratura
musulmana:
non
è un
caso
che
i
primi
direttori
della
"Casa
della
Sapienza",
un
ente
istituito
da
Al-Mamun
nell'830
per
tradurre
tutte
le
conoscenze
disponibili
esistenti,
tra
cui
la
filosofia
della
medicina,
la
matematica,
l'astronomia
e le
altre
scienze,
in
lingua
araba
fossero
tutti
Assiri
nestoriani
e
giacobiti.
Per
molti
versi,
dunque,
si
può
affermare
che
fino
al
periodo
crociato
susseguente
la
presa
dei
Luoghi
Santi
da
parte
dei
Selgiuchidi,
tutte
e
tre
le
religioni
avessero
vissuto
e
lavorato
insieme
senza
grandi
problemi,
ma
le
crociate
ruppero
questo
equilibrio
precario
e
l'Iraq,
naturalmente,
patria
del
generale
curdo
Salah
Al
Din
Al
Ayoubi,
ebbe
una
parte
considerevole
all'interno
delle
vicende
storiche
del
periodo:
per
i
Musulmani
del
Paese
ogni
distinzione
tra
Cristiani
orientali
monofisiti,
Cattolici
latini
o
Ortodossi
era
pretestuosa
e,
ben
presto,
ogni
adoratore
di
Cristo
venne
considerato
una
spia
occidentale,
i
vincoli
di
dhimmitudine
si
fecero
sempre
più
pesanti
ed
editti
progressivi
estromisero
i
Cristiani
da
ogni
attività
di
governo
o
comunque
pubblica,
limitarono
la
libertà
di
culto
e di
edificazione
di
luoghi
sacri
e
resero,
non
solo
di
fatto
ma
anche
formalmente,
tutti
i
non-Musulmani
cittadini
di
serie
B.
Tale
situazione,
pur
con
alti
e
bassi,
perdurò
pressoché
inalterata
fino
alla
costituzione
dell'Impero
Turco:
sotto
il
governo
di
Istanbul
la
vita
dei
Cristiani
peggiorò
progressivamente
in
numerose
aree
e,
se
anche
le
persecuzioni
non
raggiunsero
mai
nell'area
mesopotamica
l'intensità
di
quelle
verso
gli
Armeni
(e,
anzi,
molti
Armeni
trovarono
rifugio
in
Iraq,
fondandovi
una
comunità
piuttosto
numerosa),
comunque
gli
episodi
di
distruzione
di
chiese
e di
uccisione
di
presbiteri
e
fedeli
laici
furono
numerosissimi
lungo
tutti
i
secoli
dal
XVI
al
XIX.
Il
XX
secolo
si
dimostrò,
poi,
particolarmente
difficile
per
i
Cristiani
in
Iraq:
quando
nel
1914-1915
l'Impero
Turco
si
alleò
all'esercito
tedesco
contro
gli
alleati,
la
Gran
Bretagna,
in
parallelo
con
la
promessa
fatta
da
Lawrence
d'Arabia
agli
Arabi,
promise
anche
ai
Cristiani
di
concedere
loro
una
patria
se
si
fossero
schierati
contro
i
Turchi.
I
Cristiani
accettarono
e,
naturalmente,
ciò
comportò,
oltre
a
condizioni
ancora
più
difficili
per
loro
in
tutto
l'Impero,
il
massacro
di
circa
50.000
di
essi
nella
sola
Mesopotamia
e la
morte
di
altre
migliaia
per
mancanze
di
cure
durante
un'epidemia
di
colera
nel
1918.
In
pratica,
circa
metà
della
Chiesa
Assira
venne
cancellata
e,
al
termine
della
guerra,
la
metà
rimanente
venne
semplicemente
dimenticata
nella
divisione
coloniale
del
Medio
Oriente
tra
francesi
e
inglesi.
In
più,
nel
periodo
tra
1918
e
1920,
quando
il
movimento
di
liberazione
iracheno
cominciò
ad
agire
contro
gli
occupanti
britannici,
i
Cristiani
vennero
considerati
fiancheggiatori
di
questi
ultimi
e
vennero
sempre
più
isolati
dal
resto
della
popolazione,
con
la
conseguenza
che,
quando
nel
1921
Sir
Percy
Cox,
del
Colonial
Office
britannico,
disegnò
arbitrariamente
la
mappa
dell'odierno
Iraq,
le
pressioni
sia
scite
che
sunnite
fecero
sì
che
quella
parte
del
Kurdistan
settentrionale
che
originariamente
doveva
formare
un
Paese
cristiano
indipendente,
venne
semplicemente
annessa
alla
nuova
entità
statale.
L'identificazione
dei
Cristiani
con
gli
occidentali
fece
sì
che
nel
nuovo
Stato
indipendente
sotto
il
protettorato
britannico
essi
fosse
sempre
più
ghettizzati,
venissero
esclusi
da
qualunque
funzione
dirigenziale
nell'apparato
pubblico
e
non
potessero
accedere
ai
gradi
più
alti
dell'esercito.
Come
conseguenza,
negli
anni
tra
il
1930
e il
1940
migliaia
di
Caldei
decisero
di
emigrare
negli
Stati
Uniti
e in
Europa
e
coloro
che
rimasero
in
patria
tentarono
di
emanciparsi
attraverso
l'istruzione,
tradizionalmente
uno
dei
loro
punti
di
forza,
fondando,
tra
l'altro,
alcune
delle
scuole
più
prestigiose
del
Paese
e
gestendo
l'università
gesuita
di
Bagdad
e
quella
di
Al-Hekkma.
In
qualche
modo,
essi
riuscirono,
per
qualche
tempo,
a
ritagliarsi
un
ruolo
professionale
privato
all'interno
della
società
irachena,
ma
anche
questo
ruolo
era
destinato
ad
assottigliarsi.
La
monarchia
irachena,
che
aveva
intrapreso
una
politica
filo-inglese,
fu
rovesciata
una
prima
volta
nel
1941
da
un
colpo
di
Stato
sostenuto
dalla
Germania
nazista
e
perciò
represso
dai
britannici:
i
combattimenti
fecero
un
migliaio
di
morti
e,
senza
nessuna
ragione
apparente,
l'evento
portò
ad
una
persecuzione
anti-ebraica,
il "Farhud"
(dal
1 al
3
giugno
del
1941)
che
coinvolse
insensatamente
anche
i
Cristiani,
contro
i
quali
si
perpetrarono
innumerevoli
delitti
e
"regolamenti
di
conti"
da
parte
dei
Musulmani
di
entrambe
le
fazioni
(filo-britannici
e
filo-nazisti).
Cessata
la
tutela
britannica
alla
fine
della
seconda
guerra
mondiale,
il
14
luglio
1958
un
secondo
colpo
di
stato,
attuato
dal
Comitato
degli
Ufficiali
Liberi
guidati
dal
generale
ʿAbd
al-Karīm
Qāsim
(Kassem),
istituì
la
repubblica
giustiziando
la
famiglia
reale
e i
suoi
notabili
e
perseguendo
una
linea
nazionalista
e
neutralista.
Il
nazionalismo
del
governo
di
Kassem
ebbe
come
conseguenza
un
acutizzarsi
dell'isolamento
imposto
ai
Cristiani
"anti-arabi"
e
troppo
legati
(ormai
anche
per
vincoli
familiari
dovuti
all'emigrazione),
all'occidente:
tra
le
nuove
imposizioni,
per
quanto
non
formalizzate
legalmente
ma
poi
mantenute
dai
regimi
successivi,
spicca
il
tetto
massimo
di
iscrizione
di
Cristiani
alle
università
fissato
al
5%
per
la
maggior
parte
delle
facoltà,
in
un
chiaro
tentativo
di
annullare
l'unico
vero
vantaggio
cristiano
sul
resto
della
popolazione,
quello
culturale.
L'8
febbraio
1963,
infine,
un
terzo
colpo
di
stato
uccise
Kassem
e
portò
al
potere
il
partito
Ba'th,
di
ispirazione
socialista
e
panaraba
(e
quindi
sostenuto
dall'Egitto
di
Nasser),
segnando
l'inizio
della
carriera
politica
di
Saddam
Hussein,
che,
negli
anni
a
seguire,
si
sarebbe
imposto
come
dittatore
unico
e
incontrastato.
Paradossalmente
(ma
forse
neppure
troppo),
proprio
durante
la
dittatura
di
Saddam
Hussein
la
situazione
per
i
Cristiani
sembrò
almeno
parzialmente
stabilizzarsi:
certo,
continuò
la
regola
del
5%,
continuarono
le
difficoltà
nel
costruire
o
riparare
chiese,
continuò
la
ghettizzazione
e la
pretestuosa
politica
pan-arabista
del
Ba'th
portò
addirittura
al
divieto
di
insegnamento
del
siriaco
e
all'imposizione
di
nomi
arabi
che
sostituissero
quelli
cristiani
(con
una
"arabizzazione"
anche
formale
dei
Caldei
nei
documenti
ufficiali),
però,
nell'insieme,
Saddam
appariva
troppo
concentrato
nell'eliminazione
degli
oppositori
curdi
e
sciti
(nel
primo
caso
con
azioni
direttamente
di
pulizia
etnica)
per
aprire
nuovi
fronti
e,
infatti,
non
a
caso
scelse
come
ministro
degli
esteri
e
vice-primo
ministro
Tareq
Aziz
(il
cui
vero
nome
è
Mikhail
Yuhanna),
un
intellettuale
caldeo
moderato
la
cui
funzione
primaria,
al
di
là
della
sua
statura
politica,
doveva
essere
proprio
quella
di
rassicurare
il
mondo
occidentale
sulla
situazione
di
"libertà"
dei
Cristiani
mesopotamici
e
sulla
benevolenza
del
regime
nei
loro
confronti.
La
Prima
Guerra
del
Golfo
non
ebbe
conseguenze
particolarmente
devastanti
sulla
popolazione
cristiana,
se
non
dal
punto
di
vista
numerico:
gran
parte
dei
Cristiani
decisero
di
raggiungere
i
loro
parenti
già
precedentemente
emigrati
(non
senza
difficoltà
per
quanti
volevano
stabilirsi
negli
Stati
Uniti,
dal
momento
che
il
visto,
già
da
prima
dello
scoppio
delle
ostilità,
era
difficilissimo
da
ottenere
per
gli
iracheni),
provocando
una
accelerazione
nella
continua
emorragia
di
Caldei
e
Siriaci
che
dall'inizio
del
XX
secolo
a
oggi
ha
portato
il
loro
numero
a
scendere
dal
22%
della
popolazione
complessiva
al
misero
2%
odierno.
In
questo
quadro,
i
Cristiani
iracheni
hanno
condiviso
la
sorte
di
tutti
i
loro
concittadini
durante
l'embargo
e la
seconda
Guerra
del
Golfo,
che
hanno
provocato
oltre
un
milione
di
morti
tra
la
popolazione
civile,
con
l'aggravante
di
essere
isolati
e
non
partecipare
alla
rete
di
solidarietà
organizzata
dalle
moschee,
pur
senza
venir
in
alcun
modo
risparmiati
dai
bombardamenti
che
hanno
distrutto
numerose
chiese
in
varie
aree
del
Paese.
La
fine
delle
ostilità
ha
lasciato
una
situazione
scoraggiante,
sia
in
termini
sociali
che
di
presenza
concreta
di
Cristiani
mesopotamici:
su
circa
27
milioni
di
iracheni
(ultimo
dato
ufficiale,
del
2005)
si
stima
che
i
membri
della
Santa
Chiesa
Cattolica
Apostolica
Assira
d'Oriente
siano
800.000,
quelli
della
Chiesa
Siro-Ortodossa
siano
700.000
e
quelli
della
Chiesa
Caldea
di
Babilonia
forse
1.000.000
(ma
la
mancanza
di
dati
ufficiali
può
portare
a
pensare
che
siano
già
scesi
a
800.000).
Soprattutto,
per
quanto
incredibile
possa
apparire,
dal
2003
ad
oggi
le
condizioni
dei
Cristiani
sono
nettamente
peggiorate.
Il
caos
che
regna
nel
Paese
dopo
l'intervento
militare
ha
dato
libero
sfogo
agli
odi
delle
maggioranze
musulmane
e,
soprattutto,
la
storica
identificazione
tra
Cristiani
e
occidentali
ha
messo
i
primi
nel
mirino
di
tutte
le
frange
nazionaliste
e
terroriste,
con
il
risultato
di
una
vita
costantemente
"sotto
attacco".
L'elenco
delle
angherie
subite
negli
ultimi
sette
anni
sarebbe
lungo
e,
comunque,
risulterebbe
incompleto,
stante
il
fatto
che
praticamente
ogni
comunità
ha
subito
azioni
più
o
meno
violente,
ma
tra
i
fatti
che
hanno
avuto
maggiore
risonanza
internazionale
prima
dell'attacco
alla
cattedrale
di
Bagdad
possiamo
ricordare:
-
agosto
2004
-
una
serie
di
serie
di
attentati
dinamitardi
ha
come
obiettivo
cinque
chiese
e
uccide
undici
fedeli;
-
ottobre
2006
- il
sacerdote
ortodosso
Boulos
Iskander
viene
rapito
a
Mosul
da
un
gruppo
mai
identificato
che
esige
un
riscatto
per
la
sua
liberazione.
Nonostante
il
pagamento
di
tale
riscatto,
il
religioso
viene
trovato
decapitato
e
con
le
praccia
e le
gambe
amputate
in
segno
di
estremo
spregio;
-
giugno
2007
-
Ragheed
Ganni,
un
sacerdote
cattolico
segretario
di
Mons.
Paulos
Faraj
Rahh,
poi
ucciso
nel
2008,
viene
freddato
nella
sua
chiesa
insieme
a
tre
fedeli;
-
gennaio
2008
-
attacchi
dinamitardi
vengono
compiuti
all'esterno
di
tre
chiese
siriache
e
caldee
di
Mosul,
di
due
chiese
di
Kirkuk
e di
quattro
chiese
a
Bagdad;
-
febbraio
2008
-
l'arcivescovo
cattolico
caldeo
Paulos
Faraj
Rahh
viene
rapito
e il
suo
corpo
verrà
ritrovato
in
una
fossa
poco
profonda
a
poche
centinaia
di
metri
dall'arcivescovado
due
settimane
più
tardi;
-
aprile
2008
-
padre
Youssef
Adel,
un
sacerdote
siro-ortodosso
viene
ucciso
da
ignoti;
-
febbraio
2010
-
almeno
otto
Cristiani
muoiono
in
un'ondata
di
violenza
con
due
settimane
di
attacchi
nella
città
di
Mosul.
Si
tratta,
come
detto,
di
un
elenco
assolutamente
parziale,
che
non
dà
assolutamente
conto
del
clima
di
terrore
in
cui,
persino
più
di
ogni
altro
cittadino
iracheno,
i
Cristiani
sono
costretti
a
vivere.
Ciò
che
più
preoccupa
è
che
tutto
ciò
avviene
nella
più
completa
indifferenza
da
parte
del
governo
e
delle
truppe
di
occupazione
straniere.
Anzi,
vi è
chi,
tra
i
Cristiani,
lancia
pesanti
accuse,
due
delle
quali
appaiono
essere
particolarmente
ricorrenti.
In
primo
luogo,
è
impossibile
non
notare
come
l'intensificarsi
delle
violenze
avvenga
sempre
in
occasione
o in
prossimità
di
qualche
appuntamento
elettorale,
nazionale
o
locale,
e
come
le
forze
dell'ordine
risultino
in
ogni
occasione
completamente
assenti
e
disinteressate
alle
investigazioni
fino
al
punto
da
far
sospettare
connivenze:
appare,
dunque,
lecito
pensare
ad
un
tentativo
da
parte
delle
tre
forze
musulmane
che
si
sono
spartite
il
potere
dopo
la
fine
della
dittatura
(Sciti,
Sunniti
e
Curdi)
di
intimidire
i
Cristiani
perché
disertino
le
urne
e
non
rischino
di
indebolire
i
fragili
equilibri
politici
che
regnano
in
questo
momento
nel
Paese.
La
seconda
accusa
è
specificamente
mossa
contro
i
Curdi.
Esiste
una
sorta
di
linea
di
divisione
non
ufficiale
tra
territori
curdi
a
nord
e
territori
iracheni
in
senso
stretto
a
sud.
Il
fatto
è
che
la
maggioranza
dei
Cristiani
vive
proprio
a
nord
e,
secondo
molti,
sarebbe
in
atto
un
tentativo
curdo
di
scacciare
il
"corpo
estraneo"
caldeo
dalla
loro
zona,
in
vista
della
possibilità
di
costituzione
di
uno
stato
indipendente.
Di
fatto,
anche
all'esterno
gli
appelli
vaticani
per
intervenire
contro
la
persecuzione
sono
rimasti
inascoltati
da
parte
dei
governi
occidentali,
inclusi
quelli
che
mantengono
truppe
sul
territorio
iracheno.
Significativo,
in
questo
senso
è
stato
l'iter
della
proposta
di
difesa
delle
minoranze
cristiane
presentata
al
Congresso
statunitense
dal
deputato
del
Michigan
Gary
Peters:
semplicemente
la
proposta
è
rimasta
lettera
morta
e,
rinvio
dopo
rinvio,
a
quasi
due
anni
dalla
sua
presentazione
non
è
stata
ancora
discussa
in
sede
dibattimentale.
Senza
una
milizia
propria,
senza
difesa
governativa
e
senza
grandi
appoggi
internazionali
(soprattutto
per
quanto
riguarda
Siriaci
e
Nestoriani),
i
Cristiani
delle
diverse
denominazioni
tendono
sempre
più
a
rivolgersi
alle
loro
Chiese
per
essere
protetti,
ma
la
Chiese
possono
davvero
poco
in
un
contesto
in
cui
anarchia
e
legge
del
più
forte
regnano
sovrani.
Christen
Bleer,
una
volontaria
che
lavora
in
Iraq
da
oltre
sei
anni,
ha
scritto:
"la
progressiva
scomparsa
delle
minoranze,
inclusi
i
Cristiani
iracheni,
significa
la
disintegrazione
dell'Iraq:
è
una
violazione
della
sua
composizione
culturale
e
politica.
Dobbiamo
garantire
che
le
minoranze
non
siano
escluse
per
motivi
religiosi
o
etnici,
altrimenti
si
apriranno
le
porte
dell'inferno".
Peccato
che,
al
di
là
di
qualche
indignata
manifestazione
di
solidarietà,
ben
pochi,
all'interno
e
all'esterno
del
Paese,
concordino
concretamente
con
lei.
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