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N. 36 - Dicembre 2010 (LXVII)

Cristiani in Iraq
Una persecuzione denunciata troppo tardi

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Il mondo si indigna, il Vaticano denuncia, i governi occidentali esprimono il loro cordoglio, la loro solidarietà alle vittime e la loro viva condanna per il vile gesto.


Il solito iter, insomma, di quando un attentato terroristico colpisce una comunità cristiana in Medio Oriente o in qualunque altra parte del globo.


Almeno, però, i recenti attacchi ai Cristiani di Bagdad hanno avuto il merito (ammesso che tale termine si possa mai utilizzare riguardo ad una tragedia immane) di focalizzare, seppur brevemente e nella generale disattenzione che caratterizza questo genere di notizie, l'attenzione dell'opinione pubblica sulla situazione terrificante dei seguaci di Cristo, di qualsiasi Denominazione, in Iraq.

La cronaca degli ultimi accadimenti, riportati dai notiziari delle reti televisive di tutti i Paesi, è, in fondo, addirittura banale nel suo orrore: lo "Stato Islamico dell'Iraq", uno delle centinaia di gruppuscoli legati ad al-Qaeda nell'area mesopotamica, dichiara la jihad contro i Cristiani iracheni, accusandoli di proselitismo e asservimento all'occupazione occidentale. Segue il solito proclama feroce e delirante ("... per i blasfemi infedeli si apriranno le porte della distruzione e scorreranno fiumi di sangue...") e, nel giro di meno di due settimane, un attacco kamikaze durante la celebrazione domenicale nella principale chiesa Siro-Cattolica di Bagdad fa cinquanta morti e le esplosioni di undici ordigni nella periferia cristiana della capitale irachena, colpendo indiscriminatamente negozi e abitazioni di proprietà di membri della minoranza caldea e siriaca, uccidono almeno altri cinque fedeli, ferendone altri trentatre (tra i quali un bambino di quattro mesi). Insomma, quasi ordinaria amministrazione in una nazione in cui attentati, uccisioni indiscriminate, faide religiose e attacchi proditori sono all'ordine del giorno.

Ma qui non abbiamo a che fare con questioni politiche in senso stretto, con quella che può essere addirittura confusa, da chi forse non ha una visione così chiara della distinzione tra Islam religioso, Islam politico e movimenti di liberazione, come una lotta contro l'occupazione del suolo nazionale, non abbiamo a che fare con una delle solite questioni interne tra Sciti e Sunniti, né con problemi etnici: questi attacchi sono, si pensa, l'inizio di una sorta di contro-crociata e né più né meno che una persecuzione religiosa di stampo medievale.

E il mondo s'indigna ... Quello stesso mondo che fino a ieri, probabilmente, non sapeva, se non forse vagamente, neppure dell'esistenza dei Cristiani iracheni, perché se solo avesse avuto minimamente coscienza della loro esistenza, delle loro condizioni di vita, può darsi che manifestazioni di protesta e solidarietà avrebbero avuto luogo un po' prima e, certamente, questi attentati non sarebbero giunti inaspettati.

Per capire il senso di questa affermazione dobbiamo, prima di tutto, comprendere un po' meglio chi sono questi Cristiani mesopotamici e conoscerne un po' meglio la storia.
Il grande storico Philip Jenkins ha, forse meglio di ogni altro, dato il senso dell'importanza storica della comunità cristiana irachena quando ha affermato: "Le nostre mappe mentali comuni della storia cristiana omettono mille anni di quella storia e diversi milioni di miglia quadrate di territorio: così come nessuno storico ragionevole del Cristianesimo moderno ometterebbe l'Europa da tale storia, omettere l'Asia dallo studio del Cristianesimo medievale è altrettanto inconcepibile".


Eppure è quanto accade alla maggior parte dei Cristiani occidentali, che sembrano non tener conto dell'importanza che l'antica Mesopotamia riveste per la loro religione addirittura anteriormente rispetto alla sua fondazione, dal momento che, millenni prima della nascita di Gesù, il popolo che un tempo abitava la "terra tra i fiumi" ha dato origine alla radice giudaica alla base di essa ("Abramo fu chiamato da Ur del Paese dei Caldei"), gli Assiri avevano il loro centro nella città mesopotamica settentrionale di Ninive quando portarono guerra a Israele costringendo il re di Giuda a sottomettersi al loro dominio e i Caldei, in quel momento chiamati Babilonesi dalla loro capitale nel centro-sud della stessa area, assumevano un ruolo determinante nello sviluppo dell'Ebraismo, con la distruzione di Gerusalemme per mano delle loro truppe nel 587 a.C. e l'esilio giudaico proprio nell'odierno Iraq.

Poi, dopo le vicende evangeliche, la tradizione vuole che San Tommaso apostolo abbia portato il Cristianesimo alla Mesopotamia già nel 33 d.C., immediatamente dopo essere giunto in quell'area con Mar Addai e Mar Mari (Mar in aramaico significa Signore), fondatori della Chiesa Assira d'Oriente, provenendo dalla città siriana di Edessa (oggi Urfa in Turchia meridionale), il che significherebbe che proprio l'Iraq sarebbe stato la seconda area esterna alla Palestina mai evangelizzata.

Sempre secondo la tradizione, il Cristianesimo si diffuse sia presso le genti assire che presso quelle caldee piuttosto rapidamente, nonostante pare che, fin da subito, il suo destino fosse quello di essere perseguitato. Una leggenda narra che, a nord della Mesopotamia, il re assiro Sennacherib rimanesse così sconvolto nel sapere che Mar Matti aveva battezzato suo figlio Behnam, sua figlia Sarah e quaranta degli amici del principe dopo che il santo aveva guarito la principessa dalla lebbra, che fece decapitare tutti i neo-conversi appena fuori da Mosul e impazzì per il dolore, iniziando a vagare urlando per i campi.

 

La regina era distrutta dal dolore ma, improvvisamente, Behnam le apparve in sogno chiedendole di portare Mar Matti per guarire il padre: ella così fece e il santo guarì il re, il quale, immediatamente, si fece battezzare e chiese al suo popolo di accettare il Cristianesimo come religione ufficiale del Paese. Pur con la tara doverosa da applicare ad ogni tratto leggendario, questo racconto, databile già al I secolo, ci dice di una situazione di penetrazione estesa, ad alto livello, ma anche non così pacifica del Cristianesimo nelle zone mesopotamiche, e, soprattutto, indica una cristianizzazione ufficiale dell'area che precede di quasi 300 anni quella dell'occidente (datando quest'ultima all'Editto di Milano del 313), una cristianizzazione di cui le numerose celle anacoretiche nelle grotte dei Mosul e le chiese del I secolo sparse per tutto il Paese sono prove evidenti.

I periodo tra III e V secolo è caratterizzato, dal punto di vista della storia della Chiesa, dalle grandi dispute cristologiche e l'area mesopotamica subisce pesantemente il contraccolpo delle lotte politico-teologiche che ne conseguono. In particolare, è la questione nestoriana del IV secolo a colpire fortemente la regione: nel contrasto tra scuola alessandrina guidata da San Cirillo, che sottolinea la natura divina di Cristo e vede la Madonna come "Theotokos" (genitrice di Dio), e scuola antiochena guidata dal Patriarca di Costantinopoli Nestorio, che sottolinea la natura umana di Cristo e vede la Madonna come "Christotokos" (genitrice del Cristo), dopo che il Concilio di Efeso, nel 431, respinge la seconda ipotesi come eretica, la Chiesa mesopotamica, in funzione politica anti-bizantina (l'imperatore era a favore di Cirillo), abbraccia in Nestorianesimo, separandosi, di fatto e nella maggior parte dei suoi aderenti, dal Cattolicesimo e isolandosi per buona parte della sua storia seguente, ma, allo stesso tempo, dando inizio a un imponente processo missionario verso Cina, India e aree orientali.

A completare la separazione tra Cristiani occidentali e Cristiani iracheni ci pensa la grande ondata musulmana del VII secolo, con le tribù arabe che invadono tutta l'area del Golfo e inducono, nel tempo, a conversioni di massa all'Islam. In realtà, la convivenza tra i credenti nelle tre Fedi monoteistiche, in virtù del riconoscimento coranico delle radici ebraico-cristiane dell'Islam e della protezione musulmana ai "popoli del Libro", non è, fatto salvo lo stato di dhimmitudine imposto a Israeliti e Cristiani, particolarmente difficile. Durante il periodo relativamente tollerante del califfato abasside (758-1258), anzi, studiosi sia assiri nestoriani che giacobiti (cioè appartenenti alla Confessione siriaca monofisita fondata da Giacomo Baradeo, condannata al Concilio di Calcedonia e largamente diffusasi in tutto il Medio Oriente) contribuirono enormemente al progresso della civiltà islamica, fungendo da "ponte" tra le conoscenze greco-siriache e quelle arabe e dando luogo a quella che viene definita "età dell'oro" della letteratura musulmana: non è un caso che i primi direttori della "Casa della Sapienza", un ente istituito da Al-Mamun nell'830 per tradurre tutte le conoscenze disponibili esistenti, tra cui la filosofia della medicina, la matematica, l'astronomia e le altre scienze, in lingua araba fossero tutti Assiri nestoriani e giacobiti.

Per molti versi, dunque, si può affermare che fino al periodo crociato susseguente la presa dei Luoghi Santi da parte dei Selgiuchidi, tutte e tre le religioni avessero vissuto e lavorato insieme senza grandi problemi, ma le crociate ruppero questo equilibrio precario e l'Iraq, naturalmente, patria del generale curdo Salah Al Din Al Ayoubi, ebbe una parte considerevole all'interno delle vicende storiche del periodo: per i Musulmani del Paese ogni distinzione tra Cristiani orientali monofisiti, Cattolici latini o Ortodossi era pretestuosa e, ben presto, ogni adoratore di Cristo venne considerato una spia occidentale, i vincoli di dhimmitudine si fecero sempre più pesanti ed editti progressivi estromisero i Cristiani da ogni attività di governo o comunque pubblica, limitarono la libertà di culto e di edificazione di luoghi sacri e resero, non solo di fatto ma anche formalmente, tutti i non-Musulmani cittadini di serie B.


Tale situazione, pur con alti e bassi, perdurò pressoché inalterata fino alla costituzione dell'Impero Turco: sotto il governo di Istanbul la vita dei Cristiani peggiorò progressivamente in numerose aree e, se anche le persecuzioni non raggiunsero mai nell'area mesopotamica l'intensità di quelle verso gli Armeni (e, anzi, molti Armeni trovarono rifugio in Iraq, fondandovi una comunità piuttosto numerosa), comunque gli episodi di distruzione di chiese e di uccisione di presbiteri e fedeli laici furono numerosissimi lungo tutti i secoli dal XVI al XIX.

Il XX secolo si dimostrò, poi, particolarmente difficile per i Cristiani in Iraq: quando nel 1914-1915 l'Impero Turco si alleò all'esercito tedesco contro gli alleati, la Gran Bretagna, in parallelo con la promessa fatta da Lawrence d'Arabia agli Arabi, promise anche ai Cristiani di concedere loro una patria se si fossero schierati contro i Turchi. I Cristiani accettarono e, naturalmente, ciò comportò, oltre a condizioni ancora più difficili per loro in tutto l'Impero, il massacro di circa 50.000 di essi nella sola Mesopotamia e la morte di altre migliaia per mancanze di cure durante un'epidemia di colera nel 1918. In pratica, circa metà della Chiesa Assira venne cancellata e, al termine della guerra, la metà rimanente venne semplicemente dimenticata nella divisione coloniale del Medio Oriente tra francesi e inglesi.

In più, nel periodo tra 1918 e 1920, quando il movimento di liberazione iracheno cominciò ad agire contro gli occupanti britannici, i Cristiani vennero considerati fiancheggiatori di questi ultimi e vennero sempre più isolati dal resto della popolazione, con la conseguenza che, quando nel 1921 Sir Percy Cox, del Colonial Office britannico, disegnò arbitrariamente la mappa dell'odierno Iraq, le pressioni sia scite che sunnite fecero sì che quella parte del Kurdistan settentrionale che originariamente doveva formare un Paese cristiano indipendente, venne semplicemente annessa alla nuova entità statale.

L'identificazione dei Cristiani con gli occidentali fece sì che nel nuovo Stato indipendente sotto il protettorato britannico essi fosse sempre più ghettizzati, venissero esclusi da qualunque funzione dirigenziale nell'apparato pubblico e non potessero accedere ai gradi più alti dell'esercito. Come conseguenza, negli anni tra il 1930 e il 1940 migliaia di Caldei decisero di emigrare negli Stati Uniti e in Europa e coloro che rimasero in patria tentarono di emanciparsi attraverso l'istruzione, tradizionalmente uno dei loro punti di forza, fondando, tra l'altro, alcune delle scuole più prestigiose del Paese e gestendo l'università gesuita di Bagdad e quella di Al-Hekkma. In qualche modo, essi riuscirono, per qualche tempo, a ritagliarsi un ruolo professionale privato all'interno della società irachena, ma anche questo ruolo era destinato ad assottigliarsi.

La monarchia irachena, che aveva intrapreso una politica filo-inglese, fu rovesciata una prima volta nel 1941 da un colpo di Stato sostenuto dalla Germania nazista e perciò represso dai britannici: i combattimenti fecero un migliaio di morti e, senza nessuna ragione apparente, l'evento portò ad una persecuzione anti-ebraica, il "Farhud" (dal 1 al 3 giugno del 1941) che coinvolse insensatamente anche i Cristiani, contro i quali si perpetrarono innumerevoli delitti e "regolamenti di conti" da parte dei Musulmani di entrambe le fazioni (filo-britannici e filo-nazisti).


Cessata la tutela britannica alla fine della seconda guerra mondiale, il 14 luglio 1958 un secondo colpo di stato, attuato dal Comitato degli Ufficiali Liberi guidati dal generale ʿAbd al-Karīm Qāsim (Kassem), istituì la repubblica giustiziando la famiglia reale e i suoi notabili e perseguendo una linea nazionalista e neutralista. Il nazionalismo del governo di Kassem ebbe come conseguenza un acutizzarsi dell'isolamento imposto ai Cristiani "anti-arabi" e troppo legati (ormai anche per vincoli familiari dovuti all'emigrazione), all'occidente: tra le nuove imposizioni, per quanto non formalizzate legalmente ma poi mantenute dai regimi successivi, spicca il tetto massimo di iscrizione di Cristiani alle università fissato al 5% per la maggior parte delle facoltà, in un chiaro tentativo di annullare l'unico vero vantaggio cristiano sul resto della popolazione, quello culturale.

L'8 febbraio 1963, infine, un terzo colpo di stato uccise Kassem e portò al potere il partito Ba'th, di ispirazione socialista e panaraba (e quindi sostenuto dall'Egitto di Nasser), segnando l'inizio della carriera politica di Saddam Hussein, che, negli anni a seguire, si sarebbe imposto come dittatore unico e incontrastato.

Paradossalmente (ma forse neppure troppo), proprio durante la dittatura di Saddam Hussein la situazione per i Cristiani sembrò almeno parzialmente stabilizzarsi: certo, continuò la regola del 5%, continuarono le difficoltà nel costruire o riparare chiese, continuò la ghettizzazione e la pretestuosa politica pan-arabista del Ba'th portò addirittura al divieto di insegnamento del siriaco e all'imposizione di nomi arabi che sostituissero quelli cristiani (con una "arabizzazione" anche formale dei Caldei nei documenti ufficiali), però, nell'insieme, Saddam appariva troppo concentrato nell'eliminazione degli oppositori curdi e sciti (nel primo caso con azioni direttamente di pulizia etnica) per aprire nuovi fronti e, infatti, non a caso scelse come ministro degli esteri e vice-primo ministro Tareq Aziz (il cui vero nome è Mikhail Yuhanna), un intellettuale caldeo moderato la cui funzione primaria, al di là della sua statura politica, doveva essere proprio quella di rassicurare il mondo occidentale sulla situazione di "libertà" dei Cristiani mesopotamici e sulla benevolenza del regime nei loro confronti.

La Prima Guerra del Golfo non ebbe conseguenze particolarmente devastanti sulla popolazione cristiana, se non dal punto di vista numerico: gran parte dei Cristiani decisero di raggiungere i loro parenti già precedentemente emigrati (non senza difficoltà per quanti volevano stabilirsi negli Stati Uniti, dal momento che il visto, già da prima dello scoppio delle ostilità, era difficilissimo da ottenere per gli iracheni), provocando una accelerazione nella continua emorragia di Caldei e Siriaci che dall'inizio del XX secolo a oggi ha portato il loro numero a scendere dal 22% della popolazione complessiva al misero 2% odierno.

In questo quadro, i Cristiani iracheni hanno condiviso la sorte di tutti i loro concittadini durante l'embargo e la seconda Guerra del Golfo, che hanno provocato oltre un milione di morti tra la popolazione civile, con l'aggravante di essere isolati e non partecipare alla rete di solidarietà organizzata dalle moschee, pur senza venir in alcun modo risparmiati dai bombardamenti che hanno distrutto numerose chiese in varie aree del Paese.

La fine delle ostilità ha lasciato una situazione scoraggiante, sia in termini sociali che di presenza concreta di Cristiani mesopotamici: su circa 27 milioni di iracheni (ultimo dato ufficiale, del 2005) si stima che i membri della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Assira d'Oriente siano 800.000, quelli della Chiesa Siro-Ortodossa siano 700.000 e quelli della Chiesa Caldea di Babilonia forse 1.000.000 (ma la mancanza di dati ufficiali può portare a pensare che siano già scesi a 800.000).

Soprattutto, per quanto incredibile possa apparire, dal 2003 ad oggi le condizioni dei Cristiani sono nettamente peggiorate. Il caos che regna nel Paese dopo l'intervento militare ha dato libero sfogo agli odi delle maggioranze musulmane e, soprattutto, la storica identificazione tra Cristiani e occidentali ha messo i primi nel mirino di tutte le frange nazionaliste e terroriste, con il risultato di una vita costantemente "sotto attacco".

L'elenco delle angherie subite negli ultimi sette anni sarebbe lungo e, comunque, risulterebbe incompleto, stante il fatto che praticamente ogni comunità ha subito azioni più o meno violente, ma tra i fatti che hanno avuto maggiore risonanza internazionale prima dell'attacco alla cattedrale di Bagdad possiamo ricordare:


- agosto 2004 - una serie di serie di attentati dinamitardi ha come obiettivo cinque chiese e uccide undici fedeli;


- ottobre 2006 - il sacerdote ortodosso Boulos Iskander viene rapito a Mosul da un gruppo mai identificato che esige un riscatto per la sua liberazione. Nonostante il pagamento di tale riscatto, il religioso viene trovato decapitato e con le praccia e le gambe amputate in segno di estremo spregio;


- giugno 2007 - Ragheed Ganni, un sacerdote cattolico segretario di Mons. Paulos Faraj Rahh, poi ucciso nel 2008, viene freddato nella sua chiesa insieme a tre fedeli;


- gennaio 2008 - attacchi dinamitardi vengono compiuti all'esterno di tre chiese siriache e caldee di Mosul, di due chiese di Kirkuk e di quattro chiese a Bagdad;


- febbraio 2008 - l'arcivescovo cattolico caldeo Paulos Faraj Rahh viene rapito e il suo corpo verrà ritrovato in una fossa poco profonda a poche centinaia di metri dall'arcivescovado due settimane più tardi;


- aprile 2008 - padre Youssef Adel, un sacerdote siro-ortodosso viene ucciso da ignoti;


- febbraio 2010 - almeno otto Cristiani muoiono in un'ondata di violenza con due settimane di attacchi nella città di Mosul.


Si tratta, come detto, di un elenco assolutamente parziale, che non dà assolutamente conto del clima di terrore in cui, persino più di ogni altro cittadino iracheno, i Cristiani sono costretti a vivere.

Ciò che più preoccupa è che tutto ciò avviene nella più completa indifferenza da parte del governo e delle truppe di occupazione straniere. Anzi, vi è chi, tra i Cristiani, lancia pesanti accuse, due delle quali appaiono essere particolarmente ricorrenti.

In primo luogo, è impossibile non notare come l'intensificarsi delle violenze avvenga sempre in occasione o in prossimità di qualche appuntamento elettorale, nazionale o locale, e come le forze dell'ordine risultino in ogni occasione completamente assenti e disinteressate alle investigazioni fino al punto da far sospettare connivenze: appare, dunque, lecito pensare ad un tentativo da parte delle tre forze musulmane che si sono spartite il potere dopo la fine della dittatura (Sciti, Sunniti e Curdi) di intimidire i Cristiani perché disertino le urne e non rischino di indebolire i fragili equilibri politici che regnano in questo momento nel Paese.

La seconda accusa è specificamente mossa contro i Curdi. Esiste una sorta di linea di divisione non ufficiale tra territori curdi a nord e territori iracheni in senso stretto a sud. Il fatto è che la maggioranza dei Cristiani vive proprio a nord e, secondo molti, sarebbe in atto un tentativo curdo di scacciare il "corpo estraneo" caldeo dalla loro zona, in vista della possibilità di costituzione di uno stato indipendente.

Di fatto, anche all'esterno gli appelli vaticani per intervenire contro la persecuzione sono rimasti inascoltati da parte dei governi occidentali, inclusi quelli che mantengono truppe sul territorio iracheno. Significativo, in questo senso è stato l'iter della proposta di difesa delle minoranze cristiane presentata al Congresso statunitense dal deputato del Michigan Gary Peters: semplicemente la proposta è rimasta lettera morta e, rinvio dopo rinvio, a quasi due anni dalla sua presentazione non è stata ancora discussa in sede dibattimentale.

Senza una milizia propria, senza difesa governativa e senza grandi appoggi internazionali (soprattutto per quanto riguarda Siriaci e Nestoriani), i Cristiani delle diverse denominazioni tendono sempre più a rivolgersi alle loro Chiese per essere protetti, ma la Chiese possono davvero poco in un contesto in cui anarchia e legge del più forte regnano sovrani.

Christen Bleer, una volontaria che lavora in Iraq da oltre sei anni, ha scritto: "la progressiva scomparsa delle minoranze, inclusi i Cristiani iracheni, significa la disintegrazione dell'Iraq: è una violazione della sua composizione culturale e politica. Dobbiamo garantire che le minoranze non siano escluse per motivi religiosi o etnici, altrimenti si apriranno le porte dell'inferno".

 

Peccato che, al di là di qualche indignata manifestazione di solidarietà, ben pochi, all'interno e all'esterno del Paese, concordino concretamente con lei.
 


Riferimenti bibliografici:


K. Intrater, From Iraq to Armageddon, Destiny Image Publishers 2003
P. Jenkins, The Lost History of Christianity: The Thousand-Year Golden Age of the Church in the Middle East, Africa, and Asia - and How It Died, HarperOne 2008
B. Lewis, What Went Wrong?: The Clash Between Islam and Modernity in the Middle East, Harper Perennial 2003
H. C. Malik, Islamism and the Future of the Christians of the Middle East, Hoover 2010
C. Parenti, The Freedom: Shadows and Hallucinations in Occupied Iraq, New Press 2005
F. Strazzari, Dalla Terra dei Due Fiumi. Iraq-Iran. Cristiani tra l'Integralismo e la Guerra, EDB 2010
D. Thomas, Christians at the Heart of Islamic Rule: Church Life and Scholarship in 'Abbasid Iraq, Brill Academic Publishers 2003
C. Tripp, A History of Iraq, Cambridge University Press 2007
J. Yacoub, I Cristiani d'Iraq, Jaca book 2006


 

 

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