N. 33 - Settembre 2010
(LXIV)
La persecuzione dimenticata
I Cristiani Copti in Egitto
di Lawrence M.F. Sudbury
Quando
pensiamo
al
mondo
arabo,
qui
in
occidente,
tendiamo,
con
una
discreta
dose
di
manicheismo,
a
crearci
una
sorta
di
mappa
mentale
formata
da
"zone
buone"
e
"zone
cattive":
le
"zone
cattive"
sono,
naturalmente,
quelle
dei
"fanatici
islamici
nemici
dell'Europa"
(o
degli
Stati
Uniti,
il
che,
per
un
curioso
e
piuttosto
allarmante
fenomeno
di
sudditanza
morale
e
politica,
risulta
pressoché
sinonimico)
come,
solo
per
fare
qualche
esempio,
Iran
(ovviamente
in
primis),
Siria,
Yemen,
Afghanistan,
Pakistan
(anche
se
non
ufficialmente)
e
Palestina
(solo,
ovviamente,
i
nemici
dei
"moderati"
di
Al
Fatah),
mentre
le
"zone
buone",
amiche
della
civiltà
occidentale,
trovano
i
loro
campioni
in
Paesi
alleati
come
Arabia
Saudite
e
Giordania
e in
qualche
paradiso
turistico
alla
moda
e
adatto
ad
ogni
tasca,
dai
lussuosi
Emirati
Arabi
al
più
economico
Egitto.
Non
si
tratta
solo
di
una
visione
ultra-semplicistica:
è,
soprattutto,
una
visione
erronea,
che
mescola
connotazioni
politiche
a
questioni
sociali
e
religiose
che,
a
livello
popolare,
ben
poco
hanno
a
che
spartire
con
diplomazia
e
giochi
di
equilibri
globali.
Forse
l'esempio
più
eclatante
di
contraddizione
tra
immagine
moderata,
pacifica
e
addirittura
a
tratti
godereccia
offerta
ai
turisti
di
Hurgada
o
Sharm
El
Sheik
e
realtà
di
un
fermento
fondamentalista
che
cova
sotto
la
cenere
è
data
dall'Egitto,
soprattutto
laddove
si
prenda
in
considerazione
la
situazione
della
minoranza
cristiana.
Qualche
dato
di
fondo
può
essere
utile
per
inquadrare
meglio
la
situazione
nel
suo
complesso:
in
Egitto
la
popolazione
complessiva
ammonta
a
circa
78
milioni,
circa
il
90%
dei
quali
sono
mussulmani,
mentre
i
rimanenti
otto
milioni
circa
sono
cristiani
(92%
di
essi
Copto-Ortodossi).
La
minoranza
cristiana
rappresenta,
per
molti
versi,
la
parte
più
antica
della
popolazione
egiziana
odierna
dal
momento
che
la
storia
del
Cristianesimo
in
Egitto
risale
agli
inizi
del
Cristianesimo
stesso:
molti
ritengono
che
esso
sia
stato
portato
in
Egitto
dal
Santo
Apostolo
Marco
nella
prima
parte
del
I
secolo
d.C.
(Eusebio
di
Cesarea,
nella
sua
"Storia
Ecclesiastica"
afferma
che
San
Marco
compì
il
suo
primo
viaggio
apostolico
in
Egitto
tra
il
primo
e il
terzo
anno
del
regno
dell'imperatore
Claudio,
cioè
tra
il
41 e
44
d.C.,
e
che
tornò
ad
Alessandria
una
ventina
di
anni
più
tardi
per
predicare
ed
evangelizzare)
e
che
da
allora
la
successione
patriarcale
sia
stata
ininterrotta
(e,
in
effetti,
numerosi
papiri
biblici
in
copto
scoperti
nelle
regioni
periferiche
dell'Alto
Egitto
sono
ben
più
antichi
della
Bibbia
greca
ordinata
da
Costantino
nel
312
d.C.).
Certamente
la
scuola
catechetica
di
Alessandria,
la
"Didascalia",
fondata
tra
fine
del
I e
inizio
del
II
secolo
d.C.,
fu
il
centro
di
sviluppo
della
filosofia
cristiana,
con
maestri
del
calibro
di
Clemente
e
Origene
e
l'Egitto
fu
uno
degli
epicentri
della
persecuzioni
romane
da
Decio
a
Diocleziano,
da
Galerio
a
Massimino
e
fino
all'Editto
di
Tolleranza
di
Costantino
nel
313
d.C.,
cosa
che
non
impedì
al
Paese
di
divenire
il
luogo
di
nascita
del
monachesimo
cristiano.
Insomma,
Alessandria
e
l'Egitto
possono
essere
ritenuti
a
buon
diritto
uno
dei
più
importanti
centri
propulsori
dell'intera
Cristianità
primitiva,
un
centro
capace
di
informare
di
sé
l'intera
teologia
del
mondo
antico.
Poi,
a
partire
dal
Concilio
di
Calcedonia
del
451
d.C.,
le
cose
cambiarono
radicalmente:
a
causa
di
quella
che,
recentemente
(come
risultato
di
un
fondamentale
incontro
tra
Papa
Shenouda
III
e
Papa
Paolo
VI),
è
risultata
essere
una
incomprensione
terminologica
riguardante
l'assunto
sulla
natura
del
Cristo,
la
Chiesa
egiziana
(o,
con
termine
di
origine
greca,
"Chiesa
Copta")
si
distaccò
da
Roma,
rientrando
in
quell'insieme
di
Chiese
orientali
da
allora
in
poi
definite,
in
realtà
un
po'
impropriamente,
"monofisite"
e
assumendo
una
struttura
autonoma.
Tale
struttura
fu
predominante
a
livello
sia
religioso
che
politico
fino
al
639
d.C.,
cioè
fino
all'invasione
arabo-mussulmana
del
Paese,
che
portò,
nel
tempo,
alla
progressiva
conversione
di
gran
parte
della
popolazione
all'Islam,
soprattutto
per
ragioni
economiche:
in
quanto
"Popolo
del
Libro"
i
Cristiani
copti
erano
accettati
dalle
autorità
islamiche
(sebbene
con
intermittenti
episodi
di
violenza
e
vessazione),
ma,
in
quanto
"dhimmi"
(assoggettati)
erano
forzati
al
pagamento
di
una
tassa
annuale
("jizya")
estremamente
onerosa
e
che
ben
pochi
potevano
permettersi,
cosicché,
tra
mangiare
e
pregare
il
proprio
Dio,
gran
parte
optarono
per
la
prima
soluzione,
finendo
per
pronunciare
pubblicamente
la "Shahada"
(la
formula
di
sottomissione
ad
Allah).
Gran
parte,
ma
non
tutti
e
per
coloro
che
non
abiurarono
la
Fede
cristiana
la
vita
non
fu
sempre
facile.
I
governanti
arabi
e
turchi
delle
diverse
dinastie
continuarono
ad
imporre
un
pesante
prelievo
fiscale
che
impoveriva
i
Copti
e
fecero
di
tutto
per
sradicare
istituzioni
politiche,
lingua
e
cultura
legate
al
Cristianesimo,
giungendo
a
compiere
veri
e
propri
pogrom
contro
la
popolazione:
così
si
ebbero
la
distruzione
della
Biblioteca
di
Alessandria
e i
decreti
degli
Omayyadi,
che
imposero
l'uso
della
lingua
araba
invece
del
copto
in
tutte
le
funzioni
pubbliche
(sebbene
il
copto
continuasse
ad
essere
di
uso
corrente
fino
l
XIII
secolo),
la
continua
spoliazione
delle
chiese
e il
loro
abbattimento
forzato,
gli
attacchi
ai
villaggi
cristiani,
etc.
, a
cui
i
Copti
reagirono
con
numerose
ribellioni
(ad
esempio
contro
gli
Omayyadi
nel
725,
contro
gli
Abbasidi
nell'815,
contro
gli
Ottomani
nel
1176),
tutte
represse
nel
sangue.
Nonostante
questo,
a
causa
del
livello
culturale
dei
copti,
generalmente
superiore
a
quello
dei
loro
governanti,
furono
molti
i
Cristiani
impegnati
nell'amministrazione
statale
(sebbene,
anche
in
questo
caso,
con
fasi
alterne
e
spesso
con
subitanee
epurazioni)
che,
in
qualche
modo,
riuscirono
a
salvaguardare
la
loro
gente
e a
far
giungere
fino
all'età
contemporanea
la
minoranza
cristiana
d'Egitto.
Il
trend
dell'utilizzo
di
burocrati
copti
continuò
anche
dopo
che
i
francesi
di
Napoleone
lasciarono
il
Paese
e
Mohemet
Ali,
un
ufficiale
albanese
dell'esercito
ottomano
convertitosi
all'Islam,
assunse
il
potere
nel
1805,
quando
nel
1882
l'Egitto
passò
sotto
l'Impero
britannico
e,
nuovamente,
sotto
il
regno
della
dinastia
di
Mehemet
Ali
fino
al
1952,
cioè
fino
alla
"rivoluzione
dei
Liberi
Ufficiali"
di
Nasser.
In
tutto
questo
lungo
periodo
l'abolizione
della
jizya
(1815)
diede
un
po'
di
sollievo
ai
Copti,
che
vissero
un
epoca
di
ripresa,
di
rinnovamento
e di
riscoperta
dello
proprie
radici
culturali,
anche
attraverso
la
creazione
di
istituzioni
sociali
e
scuole
di
stampo
occidentale.
A
poco
a
poco,
in
un
periodo
di
sviluppo
di
forti
tensioni
nazionalistiche,
la
distanza
tra
egiziani
mussulmani
ed
egiziani
cristiani
sembrò
progressivamente
diminuire:
i
Copti
parteciparono
attivamente
alla
rivolta
del
1919
contro
il
governo
britannico
e
diversi
esponenti
politici
cristiani
sedettero
nei
parlamenti
democratici
di
breve
durata
della
prima
metà
del
secolo
ventesimo,
allorché,
dopo
la
rivoluzione
dei
Giovani
Turchi,
tutto
il
mondo
islamica
appariva
orientato
verso
una
secolarizzazione
della
società.
In
Egitto,
però,
come
reazione
a
questi
sviluppi,
già
dal
1920
si
sviluppò
la
Fratellanza
Mussulmana,
primo
tra
i
molti
movimenti
volti
a
resistere
all'influenza
della
civiltà
occidentale
sposando
un'interpretazione
fortemente
conservatrice
dell'Islam.
Dopo
il
colpo
di
stato
militare
del
1952,
Nasser,
più
in
funzione
politica
e
populista
che
per
reale
convinzione
religiosa,
accettò
molti
degli
insegnamenti
dei
Fratelli
Mussulmani
e,
nella
sua
politica
di
nazionalizzazione
di
gran
parte
delle
imprese
private,
colpì
duramente
l'imprenditorialità
copta,
da
sempre
particolarmente
attiva
nel
Paese,
dando
inizio
ad
un
esodo
cristiano
verso
le
Nazioni
occidentali
che,
da
allora
in
poi,
è
stato
ininterrotto.
Dopo
il
1970,
il
nuovo
presidente
Sadat,
la
cui
politica
estera
filo-occidentale
contrastava
notevolmente
con
quella
del
suo
predecessore,
alla
ricerca
di
alleati
nella
sua
lotta
per
il
potere
contro
la
corrente
nasseriana,
incoraggiò
fortemente
i
gruppi
militanti
islamici
in
Egitto,
portando
ad
una
recrudescenza
della
persecuzione
anti-copta
(e
mal
gliene
incorse,
visto
che,
come
indicato
da
Kepel
nel
suo
studio
sull'estremismo
islamico
in
Egitto,
i
fondamentalisti
che
misero
in
atto
il
suo
assassinio
impiegarono
come
fonte
di
finanziamento
per
l'esecuzione
del
loro
piano
l'oro
rubato
dai
depositi
di
proprietà
di
un
orafo
copto
depredato).
Di
fatto,
dall'inizio
degli
anni
'80,
la
situazione
dei
Cristiani
copti
è
andata
sempre
più
deteriorandosi
e
non
solo
a
livello
di
insorgenze
popolari,
ma
anche
a
livello
di
politica
governativa.
Il
problema
della
discriminazione,
infatti,
si
sviluppa
radicalmente
già
a
partire
da
una
contraddizione
pratica
presente
nella
Costituzione
egiziana:
se
essa,
all'articolo
46,
afferma
che
"lo
Stato
dovrà
garantire
la
libertà
di
culto
e di
espressione
di
tutte
le
ritualità
religiose",
tale
affermazione
di
democrazia
viene
in
pratica
annullata
dall'articolo
2
che
ricorda
come
la "Sha'aria"
(la
Legge
islamica)
sia
il
fondamento
della
Costituzione
stessa
e di
ogni
legge
dello
Stato
(e,
notoriamente,
la
Sha'aria
considera
gli
"infedeli",
"Popoli
del
Libro"
compresi,
come
cittadini
di
serie
B da
convertire).
Se a
ciò
si
assomma
la
dichiarazione
di
Sadat
del
1980
che
l'Islam
è
Religione
di
Stato,
è
facile
comprendere
come
ben
difficilmente
l'Egitto
possa
garantire
una
parità
di
trattamento
alla
parte
copta
della
sua
popolazione.
E,
all'atto
pratico,
la
disparità
è
quantomeno
evidente.
Alcuni
esempi
possono
rendere
più
chiaro
il
quadro
d'insieme:
-
pur
formando,
come
detto,
circa
il
10%
della
popolazione
egiziana,
i
Cristiani
hanno
solo
il
2%
dei
seggi
parlamentari
all'Assemblea
Popolare
Egiziana
e al
Consiglio
della
Shura
con
solo
5
deputati
su
440
,
per
altro
tutti
di
nomina
presidenziale
dal
momento
che
nessun
candidato
copto
ha
mai
vinto
una
tornata
elettorale
(e
si
tratta
di
un
dato
piuttosto
misterioso,
che
lascia
ampio
margine
alle
supposizioni
più
negative
sulla
libertà
di
voto
nel
Paese,
dal
momento
che,
da
più
parti,
si
lamenta
che
in
caso
di
vittoria
di
un
candidato
copto
in
una
circoscrizione,
vi
sia
stato
l'annullamento
del
risultato
per
supposte
irregolarità
e
minacce
fisiche
ai
Cristiani
per
non
recarsi
alle
urne
nella
seguente
tornata);
- è
ancora
in
vigore
un
decreto
dell'Impero
Ottomano,
datato
1856,
in
cui
si
richiede
che
qualunque
non-mussulmano,
in
caso
desideri
riparare,
ristrutturare
o
costruire
un
luogo
di
culto,
debba
preventivamente
ottenere
un
beneplacito
presidenziale.
Un
decreto
del
Ministero
degli
Interni
del
1934
ha
ulteriormente
complicato
la
questione,
richiedendo
che
per
il
rilascio
di
tale
beneplacito
debbano
essere
soddisfatti
almeno
una
decina
di
requisiti
che
comprendono,
tra
gli
altri,
il
divieto
di
costruzione
in
un
raggio
di
100
metri
da
una
moschea,
la
richiesta
del
permesso
di
costruzione
ai
responsabili
di
qualunque
azienda
pubblica
nelle
vicinanze
e
l'autorizzazione
di
qualunque
cittadino
mussulmano
del
circondario,
con
il
quale
si
attesti
che
egli
non
si
sente
offeso
dalla
costruzione.
La
conseguenza
è
che
l'ottenimento
del
beneplacito
comporta
attese
di
anni
e
spesso,
in
questo
lasso
di
tempo,
una
moschea
viene
appositamente
costruita
nell'area
così
da
bloccare
definitivamente
l'iter.
Recentemente
la
legge
ha
subito
una
modifica,
dando
la
possibilità
di
ottenere
i
permessi
direttamente
da
funzionari
locali,
ma
questo,
in
realtà,
ha
peggiorato
la
situazione
mettendo
la
questione
in
mano
a
burocrati
di
medio
livello
più
facilmente
influenzabili
da
elementi
estremisti;
-
tutti
i
cittadini
egiziani
devono
essere
muniti
di
una
carta
d'identità,
siano
essi
cristiani
o
mussulmani.
Tale
carta
d'identità
deve
essere
presentata
per
qualunque
atto
pubblico,
dall'iscrizione
di
un
bambino
a
scuola
alla
richiesta
d'assunzione
in
qualunque
posto
di
lavoro.
Purtroppo
una
delle
voci
presenti
sulla
carta
è la
religione
del
possessore
e,
indipendentemente
da
qualunque
osservazione
sulla
democraticità
di
tale
voce
e
sui
possibili
atti
discriminatori
che
ne
possono
derivare,
il
fatto
è
che
in
caso
di
conversione
al
Cristianesimo
di
un
Mussulmano
i
ritardi
nella
concessione
di
una
nuova
carta
d'identità
corretta
sono
di
mesi
(cosa
che
non
accade
in
caso
di
conversione
dal
Cristianesimo
all'Islam)
e,
nel
frattempo,
ogni
neo-cristiano
che
utilizza
la
vecchia
carta
d'identità
può
essere
accusato
di
falso
in
atto
pubblico
o di
falsificazione
di
documento,
essere
arrestato
e
subire
lunghissimi
interrogatori
in
cui
spesso
è
costretto
a
denunciare
altri
Cristiani
per
comportamenti
analoghi;
- le
televisioni
pubbliche,
pagate
dalle
tasse
di
tutti
i
contribuenti
(inclusi
i
milioni
di
Copti)
hanno
una
programmazione
di
matrice
cristiana
di
esattamente
due
ore
all'anno
(in
occasione
della
Pasqua),
mentre
la
programmazione
di
trasmissioni
di
matrice
islamica
è
estesa
lungo
tutto
il
corso
dell'anno,
in
alcune
occasioni
con
l'ostentazione
di
toni
ferocemente
anti-cristiani;
-
sebbene
il
proselitismo
cristiano
non
sia
illegale,
la
conversione
di
Mussulmani
è
duramente
scoraggiata,
in
numerosi
casi
utilizzando
un
articolo
del
codice
penale
che
proibisce
di "innescare
qualsiasi
disputa
religiosa,
denigrare
qualsiasi
Religione
o
nuocere
all'unità
nazionale
e
alla
pace
sociale"
(naturalmente
tale
articolo
non
viene
mai
utilizzato
in
caso
di
conversione
dal
Cristianesimo
all'Islam);
-
qualunque
bambino
viene
inserito,
nelle
scuole
pubbliche,
in
classi
islamiche
senza
tener
conto
del
parere
dei
genitori.
I
bambini
con
nomi
tipicamente
copti
possono
venire
duramente
discriminati
e
questo
porta
spesso
i
genitori
a
scegliere
nomi
"neutri"
utilizzati
da
entrambe
le
comunità
religiose,
solo
per
evitare
problemi
a
loro
figlio.
Se
questi
sono
solo
gli
aspetti
"legali"
della
neppure
così
sottile
discriminazione
dei
copti,
ben
più
problematici
sono
gli
aspetti
"illegali"
di
tale
discriminazione,
legati
in
massima
parte
a
gruppi
radicali
islamici
quali
la
già
menzionata
"Fratellanza
Islamica"
(il
cui
leader
Mustafa
Mashhour
ha
affermato
in
una
conferenza
all'università
Al-Azhar
che
i
Copti,
in
ossequio
ai
principi
della
Sha'aria,
non
dovrebbero
neppure
essere
accettati
nelle
forze
armate),
"Al-Gamaa
Islamiya"
(che
ha
come
principio
ispiratore
la
completa
islamizzazione
del
Paese)
e la
"Jihad
Islamica"
(che
dichiara
di
voler
eliminare
ogni
"contaminazione
non-mussulmana"
dalle
terre
dell'Islam).
Elencare
tutte
le
azioni
illegali,
di
violenza
e
intimidazione
verso
i
Cristiani
compiute
da
esponenti
islamici
radicali
vicini
a
questi
gruppi
(o
anche,
"semplicemente",
fanatici)
richiederebbe
una
trattazione
di
centinaia
di
pagine.
Giusto
a
titolo
puramente
esemplificativo
e
assolutamente
non
esaustivo,
si
possono
menzionare,
concentrandosi
solo
sull'inizio
dell'anno
in
corso,
alcuni
casi
particolarmente
eclatanti
riportati
dai
media
internazionali.
il 7
gennaio
2010
il
Washington
Post
dedica
un
lungo
articolo
ad
una
pratica
assai
diffusa
in
tutto
l'Egitto,
quella
del
rapimento
di
adolescenti
cristiane,
del
loro
stupro
e
del
forzato
"matrimonio
riparatore"
con
lo
stupratore
mussulmano,
con
conseguente
conversione
all'Islam
delle
vittime;
lo
stesso
giorno
(il
giorno
di
Natale
per
i
Copti
ortodossi),
a
Nag
Hammadi,
come
riferito
dall'agenzia
di
stampa
nazionale
egiziana
AINA
e
ripreso
da
tutti
i
giornali
occidentali,
sei
Cristiani
vengono
abbattuti
a
colpi
di
fucile
all'uscita
dalla
Messa;
il
13
gennaio
(ancora
secondo
l'AINA)
oltre
100
giovani
copti
che,
a
una
settimana
dall'eccidio
di
Nag
Hammadi,
protestavano
per
la
mancanza
di
sicurezza
dei
Cristiani
in
Egitto,
vengono
arrestati
e
incarcerati
dalla
polizia
(notoriamente
fortemente
infiltrata
dalla
Fratellanza
Islamica)
senza
alcuna
accusa
specifica;
il
16
febbraio
(fonte
CDN),
un
gruppo
di
estremisti
accusati
dell'omicidio
di
un
copto
viene
rilasciato
dopo
un
processo
farsa
in
cui
la
colpevolezza
degli
accusati
era
risultata
evidente;
il
13
marzo
(fonte
AINA)
una
folla
inferocita
attacca
una
chiesa
cristiana
provocando
venticinque
feriti,
ma
la
polizia
non
interviene;
in
compenso,
cinque
giorni
dopo
(sempre
fonte
AINA),
un
gruppo
di
Cristiani,
attaccato
da
una
folla
di
Mussulmani,
viene
proditoriamente
arrestato
per
turbativa
dell'ordine
pubblico
e
rissa
aggravata,
mentre
tutti
gli
Islamici
coinvolti
vengono
lasciati
liberi;
il
24
marzo
i
Servizi
di
Sicurezza
demoliscono
una
chiesa
evangelica
senza
motivazione
apparente
e,
nell'esecuzione
dell'azione,
massacrano
il
Pastore
responsabile
(AINA);
il
17
aprile
una
ragazza
appena
convertita
dall'Islam
al
Cristianesimo
viene
deturpata
con
l'acido,
ma
nessun
responsabile
dell'azione
viene
arrestato
(AINA);
il
30
aprile
la
ICC
denuncia,
con
un
abbondante
dossier
di
prove
legali,
che
nelle
Corti
di
Giustizia
egiziane
il
trattamento
riservato
ai
Cristiani
è
nettamente
iniquo
rispetto
a
quello
riservato
ai
Mussulmani.
E si
tratta,
lo
si
ripete,
di
pochi
esempi
concentrati
unicamente
nel
primo
quadrimestre
del
2010
e
riportati
solo
a
scopo
esemplificativo
di
una
situazione
che
perdura
da
anni.
Ciò
che
più
spaventa,
aldilà
di
condizioni
di
vita
assolutamente
intollerabili
per
una
minoranza
del
10%
degli
egiziani,
continuamente
minacciata
da
una
parte
(si
spera
anch'essa
minoritaria)
della
maggioranza
islamica,
è
l'assoluta
mancanza
di
provvedimenti
da
parte
dell'autorità
che,
praticamente,
non
prende
nessun
provvedimento
per
fronteggiare
le
insorgenze
di
odio
religioso.
Per
rendercene
conto,
tra
i
vari
casi
menzionati,
proviamo
ad
analizzare
brevemente
solo
il
più
grave,
quello
del
massacro
di
Nag
Hammadi.
Si è
detto
che,
all'uscita
dalla
Messa
sei
giovani
(e
un
poliziotto
trovatosi
accidentalmente
sul
luogo
dell'agguato)
sono
stati
uccisi
a
colpi
di
arma
da
fuoco
da
alcuni
Mussulmani
che
hanno
sparato
a
volto
coperto
da
una
macchina:
si è
trattato
del
più
grave
episodio
di
violenza
religiosa
dall'eccidio
di
Sohag
del
2000
(in
cui
21
Cristiani
sono
stati
uccisi
da
un
nucleo
di
attentatori
islamici)
ma
la
polizia
ha,
da
subito,
trattato
la
cosa
come
una
sorta
di
faida
locale
senza
grande
importanza.
La
conseguenza
più
immediata
è
stata
una
ondata
di
proteste
dei
Copti,
a
loro
volta
attaccati
da
folle
mussulmane
inferocite
che
si
sono
abbandonate
a
saccheggi
e
distruzioni
di
negozi
e
case
cristiane.
Ebbene,
l'unico
intervento
della
polizia
è
stato
l'arresto,
per
lo
più
durante
le
notti
successive,
di
decine
di
manifestanti
copti
che
sono
stati
comprovatamente
torturati
con
l'elettricità.
Perché?
Semplicemente
perché
questo
è il
comune
metodo
di
intimidazione
contro
i
Copti,
in
questo
caso
utilizzato
dalle
forze
di
sicurezza
per
costringere
il
Vescovo
dell'Alto
Egitto
Kyrollos,
che
aveva
in
precedenza
accusato
la
polizia
di
negligenza
e
che,
con
tutta
probabilità,
era
il
vero
obiettivo
dell'attentato,
a
ritirare
le
sue
accuse.
Ciò
che
indigna
è
proprio
questa
disparità
di
trattamento,
la
stessa
dimostrata
dopo
la
devastazione
dell'Istituto
Copto
di
Dairout
da
parte
di
studenti
di
Al-Azhar
al
grido
"Allah
akbar"
(24
ottobre
2009),
la
stessa
dimostrata
dopo
la
devastazione
di
3.000
negozi
copti,
il
rapimento
di
sette
donne
e
l'omicidio
di
un
uomo
a
Farshoot
(21
novembre
2009)
in
rappresaglia
di
un
presunto
stupro
di
una
ragazza
mussulmana
da
parte
di
un
giovane
cristiano
(e
numerosi
testimoni
hanno
parlato
di
un
rapporto
più
che
consenziente),
la
stessa
negligenza
dimostrata
in
qualunque
occasione
in
cui
le
vittime
siano
dei
cristiane
e
gli
attaccanti
siano
dei
mussulmani.
Sì,
questo
è
ciò
che
indigna:
l'esistenza
di
una
persecuzione
pressoché
quotidiana
attuata
ai
danni
di
una
minoranza
religiosa
(per
altro
consistente,
ma
sarebbe
lo
stesso
se
si
trattasse
di
un
minuscolo
gruppetto)
nella
più
assoluta
indifferenza,
anzi,
si
direbbe
nella
colpevole
connivenza
di
chi
dovrebbe
preservare
l'ordine
democratico
dello
Stato.
O,
forse,
in
uno
Paese,
qualunque
esso
sia,
che
ostenta
una
Religione
di
Stato
è
difficile
parlare
di
ordine
democratico...?
Tanto,
comunque,
anche
quest'anno
folle
festanti
di
vacanzieri
torneranno
dal
Mar
Rosso
felici
e
abbronzati,
certi
di
aver
trascorso
le
vacanze
in
una
Nazione
tranquilla,
occidentalizzata,
moderata
e,
probabilmente,
dei
Cristiani
Copti
non
avranno
neppure
sentito
parlare...
Riferimenti
bibliografici:
M.
Campanini,
Storia
dell'Egitto
Contemporaneo,
Edizioni
Lavoro
2005
C.
Cannuyer,
Coptic
Egypt:
The
Christians
of
the
Nile,
New
Horizons
2001
G.
Kepel,
Muslim
Extremism
in
Egypt:
The
Prophet
and
Pharaoh,
University
of
California
Press
2003
S.M.
Solihin,
Copts
and
Muslims
in
Egypt:
A
Study
on
Harmony
and
Hostility,
Islamic
Fundation
2007
J.Tajir,
Christians
in
Muslim
Egypt:
An
historical
study
of
the
relations
between
Copts
and
Muslims
from
640
to
1922,
Oros
1998
E.Wakin,
A
Lonely
Minority:
The
Modern
Story
of
Egypt's
Copts,
Backinprint
2000
B.
Ye'or,
Il
Declino
della
Cristianità
sotto
l'Islam,
Lindau
2008.