[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 153 / SETTEMBRE 2020 (CLXXXIV)


filosofia & religione

PRIMO CRISTIANESIMO

DALLE REPRESSIONI AL RICONOSCIMENTO

di Francesco Biscardi

 

Origine di questo nome era Cristo, che sotto Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolaio di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore ogni cosa vi sia di turpe e di vergognoso” (Annales XV, 44).

 

Questo breve estratto degli Annales di Tacito mi sembra un buon punto di partenza per sintetizzare come veniva considerato il Cristianesimo agli inizi del II secolo: una superstitio propria di una setta fanatica, diffusasi inizialmente fra gli ebrei e i popoli siro-palestinesi grazie alla missione evangelizzatrice di San Pietro e fra i “gentili” (o “pagani”, vocabolo da noi prediletto ma cronologicamente posteriore) per opera di San Paolo.

 

Premesso che il Cristianesimo delle origini fu essenzialmente una “religione urbana”, in quanto le campagne rimasero sostanzialmente radicate nei loro antichi culti (definiti successivamente “pagani”, da pagus, villaggio), i primi nuclei di fedeli si radunarono attorno a delle “chiese locali”, godenti di sostanziale autonomia l’una dall’altra. A capo di queste comunità vi erano i preti o presbiteroi (anziani) assistiti da dei diaconi, laici con il compito di coadiuvare i primi nello svolgimento delle funzioni religiose e nell’assistenza ai poveri.

 

Successivamente, sentitasi l’esigenza di un’autorità che potesse coordinare l’attività dell’intera ecclesia (assemblea) dei fedeli, emersero delle figure carismatiche, denominate vescovi o episkopoi (sorveglianti), con il compito di amministrare e dirigere. Poi, fra III e IV secolo, essendosi moltiplicate le sedi vescovili, si precisò l’inquadramento della rete delle comunità in un doppio livello organizzativo: quello episcopale e quello delle provincie o metropoli, a capo delle quali vi era il metropolita o arcivescovo. In seguito, nel corso della Tarda Antichità, si affermò la supremazia di cinque sedi metropolitiche: Roma, Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria.

 

Se, da un lato, il Cristianesimo incontrò dei presupposti favorevoli alla sua affermazione (come l’unità politica e l’estensione dell’Impero romano o la conclamata decadenza del paganesimo), dall’altro lato, trovò anche non pochi ostacoli, come le persecuzioni.

 

Non siamo in grado di datare con certezza la nascita della prima comunità cristiana a Roma. Sappiamo però che nel 57 una matrona romana, tale Pomponia Grecina, fu accusata di professare la superstitio externa cristiana e il suo probabilmente non fu un caso eccezionale; possiamo così ipotizzare che alla fine degli anni Cinquanta il cristianesimo avesse già cominciato a impiantare le sue radici in una capitale che alternò ostilità, indifferenza e disponibilità all’integrazione verso quella che, ancora, altro non era che una setta.

 

Tuttavia, al contrario di quello che si è soliti pensare, nei primi due secoli dell’era cristiana è improprio usare il termine “persecuzione”: spesso i cristiani venivano accusati di varie colpe, come quella di non prestare omaggio all’imperatore e di radunarsi segretamente, suscitando conseguentemente diffidenza e ostilità, ma le autorità solevano limitarsi a intervenire per “correggere” i comportamenti devianti.

 

Paradigmatica è la vicenda di Plinio il Giovane che, in qualità di legatus pro praetore della Britinia, chiese all’imperatore Traiano come si dovesse comportare con questa setta “folle” e “superstiziosa”, che si rifiutava di sacrificare al princeps e di rispettare gli dei, dedita a orge, incesti e cannibalismo (accuse, queste ultime, riportate ma dubitate dallo stesso Plinio). La risposta del sovrano fu di limitarsi a perseguire solo i diretti interessati in caso di pubblica denuncia senza correre il rischio di degenerazioni.

 

Simili vicende testimoniano come il trattamento riservato ai cristiani non era dissimile da quello tenuto verso i fedeli di altri culti. Anche verso gli ebrei, visti con ostilità per il loro isolazionismo e per l’attività di proselitismo, le autorità erano solite limitarsi a stroncare i comportamenti indesiderati con atti che prevedevano divieti di proseliti o di circoncisione, fino ad ammende fiscali o, nei casi peggiori, espulsioni.

 

Solo nella Tarda Antichità e solo quando il Cristianesimo era assurto a religione di stato iniziarono a essere varati provvedimenti repressivi contro il giudaismo, mentre precedentemente vere e proprie azioni di forza furono intraprese solo in episodi estremi (come accadde per le rivolte stroncate da Tito e Adriano).

 

Di solito si attribuisce a Nerone la responsabilità di aver dato il via alle persecuzioni, ma non è propriamente così: quello dell’imperatore fu più una sorta di pogrom fomentato nei confronti di una popolazione già vittima di sporadici episodi di ostilità e che, per le diffidenze cui si accennava, bene si prestava a essere incolpata dell’incendio del 64 e a svolgere il ruolo di capro espiatorio, ma non fu una vera e propria persecuzione anche perché concentrata nell’Urbe e destinata a cessare nell’arco di pochi anni.

 

Similarmente, secondo la storiografia recente, nemmeno quella di Domiziano può essere definita persecuzione stricto sensu: pare che il principe, adirato, si fosse scagliato contro alcuni nuclei di cristiani per essersi rifiutati di prestare omaggio alla sua persona. Sembra anche che lo stesso imperatore, incuriosito, si fosse premurato di saperne di più su quel Gesù che era riuscito a dare vita a questa setta così ostinata nel proprio credo da anteporre la morte all’abiura.

 

Fino alla metà del II secolo, a parte in eccezionali periodi come questi, le comunità cristiane non dovettero ritenersi particolarmente minacciate. Le cose cambiarono sotto Marco Aurelio: proprio l’“imperatore filosofo”, tradizionalmente riconosciuto come uno di più miti e saggi a essere asceso al trono augusteo, dette avvio a quella che può essere considerata la prima vera persecuzione, non limitata ad alcune zone circoscritte, ma estesa a tutte le province dell’impero. Era accaduto che, a partire dal 166, a causa del dilagarsi della peste, il princeps fu indotto dai sacerdoti pagani a considerare i cristiani i veri responsabili del morbo e a scatenare vendetta su di loro.

 

In realtà questi non doveva essere particolarmente felice e convinto dell’azione persecutoria: nel suo profondo probabilmente sentiva di non avere altra possibilità se non di additare ai sudditi un capro espiatorio, mentre, nel suo Ad se ipsum, si chiedeva come potessero i cristiani essere così irragionevoli da andare incontro a martirii ed eccidi.

 

Partendo da questo presupposto non sorprende che sul finire del suo principato decise di porre fine alle persecuzioni. Il pretesto fu offerto da un episodio occorso in occasione della guerra contro i marcomanni: una legione, composta da cristiani, invocò l’aiuto del proprio Dio contro i nemici e, alla preghiera, seguirono fulmini e grandine sugli avversari che facilitarono la vittoria romana.

 

Per un riacutizzarsi delle persecuzioni, fatta eccezione per una breve parentesi sotto Caracalla, dobbiamo fare un salto alla metà del III secolo, al principato di Decio, fervente sostenitore della necessità di un ripristino dell’ordine anche in materia di culto. Nel 250 questi emanò un editto, a noi non pervenuto ma dal contenuto ipotizzabile, in cui imponeva a tutti i sudditi dell’impero di comparire dinnanzi ad apposte commissioni o all’imperatore medesimo per compiere pubblico atto di devozione; i recalcitranti sarebbero stati sottoposti al carcere o alla tortura.

 

Il provvedimento ottenne buoni risultati giacché le abiure, secondo le fonti, furono numerose in ogni terra soggetta a Roma. Non furono pochi nemmeno i cristiani che si sottomisero al diktat dell’imperatore, per quanto la maggior parte avesse preferito andare incontro al martirio o fuggire sulle montagne, fino a costituirsi in bande “partigiane” aventi lo scopo di liberare i prigionieri. È nel quadro di questa persecuzione che si inserisce il celebre episodio dei “sette dormienti di Efeso”: sette cristiani murati vivi e, secondo la leggenda, miracolosamente sopravvissuti immersi in un sonno profondo.

 

L’atteggiamento ostile verso il Cristianesimo si affievolì nelle decadi seguenti per tornare in auge sotto Diocleziano, fautore del più micidiale tentativo intrapreso dal potere imperiale di annientare la religione di Cristo. In questo caso è d’obbligo fare una importante precisazione: anche se per numero di morti questa è stata giustamente ribattezzata “la grande persecuzione”, non tutte le regioni dell’impero conobbero le stesse atroci azioni repressive, le quali rimasero prevalentemente confinate in Oriente.

 

Siamo nel periodo della “tetrarchia”, del “governo dei quattro”, e, sebbene le disposizioni principali avessero validità su tutte le diocesi, la diversa giurisdizione degli Augusti e dei Cesari non rese uniforme l’attività esecutiva. Anzi, la Gallia e la Britannia, per volere del Cesare Galerio, scamparono alle persecuzioni, le quali furono generalmente miti in tutto l’Occidente. Proprio questi, nel 311, divenuto Augusto e tramontata l’età dioclezianea, poco prima di morire, decise di promulgare un editto, anche a nome degli altri tetrarchi, nel quale si riconosceva ai cristiani libertà di culto e si restituivano loro le chiese e i beni confiscati.

 

Quel che seguì è cosa nota: Costantino risultò essere il vincitore delle lotte civili e il grande imperatore che emanò, insieme con il collega d’Oriente Licinio, l’editto di Milano del 313, sancente libertà di culto e inaugurando un nuovo corso nella storia romana che giungerà a compiuta maturazione con l’editto di Tessalonica del 380, con cui veniva ufficialmente stabilito che sola religione dell’impero dovesse essere quella che “il divino apostolo Pietro ha insegnato ai romani”.

 

Costantino fu un sovrano controverso e sulla motivazione della sua scelta filo cristiana sono stati avanzati i più svariati dubbi: era un fervente cattolico, come sua madre Elena, oppure fu sempre pagano e le sue scelte politico-religiose furono dettate da meri tatticismi?

 

Per cercare di rispondere al quesito è lecito partire con una precisazione: a inizio IV secolo, il Cristianesimo non si stava avviando a divenire la prima religione dell’impero come spesso si crede; sebbene ormai i cristiani si “annidassero” in ogni lembo della società, questo assunto è errato e anzi furono le scelte di Costantino a costituire presupposto essenziale per la piena affermazione della religione.

 

I calcoli più attendibili stimano, ai tempi dell’editto di Galerio, una popolazione di fede cristiana di circa 9 milioni, pari a più o meno il 15% dei sudditi dell’impero (per giunta non omogeneamente distribuiti: si andava da regioni dove la loro presenza era capillare a regioni dove era intermittente se non semiassente). L’imperatore sapeva bene che abbracciare la fede in Cristo non significava adeguarsi al credo della maggioranza dei suoi sudditi, né il suo temperamento irascibile e incline alla vendetta era consono ai dettami cristiani.

 

Due opposte tesi che hanno avuto entrambe i loro sostenitori in passato sono oggi respinte: sia una prima, che possiamo definire “paganeggiante”, la quale riduceva Costantino a cinico politico convertitosi per soli scopi politici, che una seconda, “cristianeggiante”, che lo dipingeva come un fermo fedele in trepidante attesa dell’occasione giusta per manifestare i suoi reali sentimenti, sono fuorvianti. È perciò giusto immaginarlo come un uomo dotato di grande acume e dominato dalla volontà di pacificare un impero sconquassato da crisi e guerre e di riportarlo all’antica auge: precondizione per la riuscita di questo disegno era la fine degli atti persecutori verso una religione che, ormai, aveva guadagnato alla sua causa fedeli di ogni rango sociale.

 

È dunque da Costantino che iniziò il vero cammino ascensionale del Cristianesimo, il quale, nonostante alcuni tentativi di estrema e anacronistica difesa del paganesimo come quello di Giuliano “l’apostata”, andò incontro a un mirabolante successo, sebbene non destinato a dare vita a un composito universo cristiano: domineranno le dispute teologiche, la volontà di autonomia delle principali sedi metropolitiche contro i tentativi di egemonia pontifici, la contesa fra Roma e Costantinopoli e fra Chiesa occidentale e orientale, destinata a dare vita a una frattura esistente ancora oggi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Cardini F., Cristiani perseguitati e persecutori, Salerno Editrice, Roma 2011.

Fraschetti A., La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Laterza, Roma-Bari 1999. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]