N. 47 - Novembre 2011
(LXXVIII)
Crisi e povertà nel rapporto Caritas 2011
Uno sguardo al paese reale
di Benedetta Rinaldi
Lo spread raggiunge livelli ogni giorno più preoccupanti, il G20 cerca soluzioni a una crisi economica sempre più difficile da arginare.
Ma
in
termini
reali
cosa
significa
tutto
questo
per
gli
italiani?
Anche
quest’anno
la
Caritas
Italiana
prova
a
raccontarlo
nel
rapporto
annuale
sulla
povertà
e
l’esclusione
sociale,
arrivato
alla
sua
XI
edizione.
Il
titolo
scelto
per
questo
rapporto
2011
è
fortemente
evocativo:
Poveri
di
diritti.
Il
diritto
alla
casa,
al
lavoro,
alla
famiglia,
all’alimentazione,
alla
salute,
all’educazione,
alla
giustizia.
Tutti
diritti
di
cui
gradualmente,
anno
dopo
anno,
una
fetta
più
grande
della
popolazione
italiana
viene
privata.
Secondo
lo
studio
di
Caritas,
nel
2010
il
13,8%
degli
italiani
erano
poveri,
per
un
totale
di 8
milioni
e
272
mila
persone.
Una
crescita
rispetto
al
2009
dello
0,7%.
Dati
che
forse
possono
apparire
poco
chiari
se
non
definiamo
da
subito
cosa
intendiamo
quando
si
parla
di
povertà.
Possiamo
“classificare”
la
povertà
in
povertà
assoluta
e
povertà
relativa,
intendendo
con
la
prima
la
mancanza
dei
beni
di
cosiddetta
prima
necessità,
in
cui
rientrano
cibo,
acqua,
abitazione
e
indumenti,
con
la
seconda
il
parametro
con
cui,
in
base
a
consumo
pro
capite
e
reddito
medio,
si
misurano
le
difficoltà
dei
soggetti
nella
fruizione
di
beni
e
servizi.
Secondo
le
statistiche,
nel
2010
la
povertà
relativa
è
aumentata,
rispetto
all’anno
precedente,
tra
le
famiglie
di 5
e
più
componenti
(dal
24,9%
al
29.9%),
tra
le
famiglie
monogenitoriali
(dall’11,8%
al
14,1%),
tra
i
nuclei
residenti
nel
Mezzogiorno
con
tre
o
più
figli
minori
(dal
36,7%
al
47,3%)
e
tra
le
famiglie
di
ritirati
dal
lavoro
in
cui
almeno
un
componente
non
ha
mai
lavorato
e
non
cerca
lavoro
(dal
13,7%
al
17,1%).
Ma
la
povertà
è
aumentata
anche
tra
le
famiglie
che
hanno
come
persona
di
riferimento
un
lavoratore
autonomo
(dal
6,2%
al
7,8%)
o
con
un
titolo
di
studio
medio
alto
(dal
4,8%
al
5,6%).
Per
queste
ultime
è
aumentata
anche
la
povertà
assoluta,
passando
dall’1,7%
al
2,1%.
Crescono,
non
è
una
novità,
i
giovani
cui
viene
negata
la
possibilità
di
accedere
al
mondo
del
lavoro,
crescono
i
fenomeni
di
sottoccupazione
e
lavoro
nero.
Ma
cresce
e
persiste
anche,
cosa
ancor
più
desolante,
la
povertà
materiale
vera
e
propria:
se a
livello
nazionale
nel
2004
Caritas
registrava
che
il
75%
dei
problemi
di
povertà
si
riferiva
a
bisogni
di
carattere
primario
e
strutturale
(bisogni
abitativi,
alimentari,
economici,
sanitari,
ecc.),
nel
2010
questo
valore
raggiunge
la
quota
dell’81,9%.
Cresce
dunque
un’emergenza
di
tipo
abitativo,
che
colpisce
sicuramente
in
modo
più
gravoso,
anche
in
questo
caso,
i
giovani.
Cambia
anche
il
volto
della
povertà:
tra
i
nuovi
poveri
cresce
il
numero
di
famiglie
per
cui
la
povertà
non
è
sempre
cronica,
ma
rappresenta
una
situazione
episodica
del
proprio
percorso
biografico,
segno
che
la
crisi
pesa
e si
fa
sentire.
Aumenta
quindi
il
numero
degli
italiani
in
difficoltà
e
aumenta
di
pari
passo
la
spesa
assistenziale
dei
comuni,
che
cresce
di 4
punti
percentuali,
ma
purtroppo
con
risultati
assolutamente
scoraggianti.
Questo
perché
le
politiche
sociali
non
creano
sviluppo,
non
sono
organiche
e
organizzate,
ma
puntano
a
tamponare
un’emergenza,
a
mettere
una
toppa
anziché
risolvere
in
modo
strutturato
i
problemi
legati
alla
crescente
povertà.
Di
norma,
in
Italia
viene
preferita
l’erogazione
di
contributi
economici
all’attivazione
di
servizi.
Ed è
proprio
questo
sistema
che
rischia
di
rendere
croniche
alcune
situazioni
di
povertà,
dimostrato
dal
fatto
che
crescono
i
fondi
assistenziali
e
non
cala
il
numero
di
italiani
poveri.
Molto
è
stato
detto
negli
ultimi
mesi
sulla
crisi.
Tra
le
voci
più
insistenti,
quella
di
un
necessario
ripensamento
dei
nostri
stili
di
vita
consumistici.
Parole
al
vento
per
chi
non
sa
cosa
sia
il
lusso
di
avere
un
pasto
sicuro.
Se
in
qualche
modo
si
deve
ripensare
alla
gestione
delle
risorse
del
Paese,
di
certo
una
parte
di
questa
riflessione
deve
essere
concentrata
su
un
welfare
che
possa
rispondere
in
modo
più
efficace
ed
efficiente
ai
bisogni
degli
italiani.
Come?
Per
esempio
incrementando
il
rendimento
della
spesa
sociale
e
recuperando
i
crediti
di
solidarietà,
destinandoli
in
via
prioritaria
a
occupazione
di
welfare
a
servizio
dei
poveri.
Una
strada
potrebbe
certamente
essere
quella
della
professionalizzazione
dell’aiuto,
che
potrebbe
virtuosamente
sia
creare
nuovi
posti
di
lavoro
che
aiutare
in
maniera
più
concreta
i
bisognosi.
Un’altra
idea
potrebbe
essere
quella
di
utilizzare
in
modo
sempre
più
ampio
e
diffuso
il
microcredito,
dando
la
possibilità
a
nuove
energie
e
iniziative
imprenditoriale
valide
ma
che
altrimenti
non
avrebbero
modo
di
essere
finanziate
(essendo
ultimamente
le
banche
sempre
più
reticenti
nel
concedere
prestiti)
di
prendere
vita.
La
situazione
non
è
semplice,
e
non
saranno
dichiarazioni
esemplari
o
previsioni
apocalittiche
a
risolvere
i
problemi.
Ma
certo
un
poco
più
di
progettualità
e
semplice
buon
senso
potrebbero
forse,
se
non
eliminare,
almeno
ridurre
parte
dei
gravi
affanni
del
Paese.
Riferimenti
bibliografici:
Poveri
di
diritto,
XI
rapporto
su
povertà
ed
esclusione
sociale
in
Italia,
a
cura
di
Caritas
Italiana
–
Fondazione
Cancan,
ed.
Il
Mulino
2011